Ti guardo mentre dormi. Sono accanto a te. Ti dico addio, il più lungo di tutti gli addii, bambolina mia. Non perdo tempo a guardare i fiori, guardo il tuo viso e penso che tu sia bella e che non lo sia mai stata così tanto come in questo momento.
Ti guardo mentre dormi. Mi dicono che tu sia morta. In che modo ne sono colpevole io?… Ci si pone sempre questa domanda davanti a qualcuno che si è amato e si ama ancora. Questa emozione ci sommerge, poi torna indietro e alla fine ci si convince che tutto sommato non si è colpevoli. Non colpevoli, ma comunque responsabili.
Era il 29 maggio 1982 quando Romy Schneider si spense al numero 11 di rue Barbet de Jouy, nel cuore di Parigi, a causa di un arresto cardiaco.
Venuto a sapere della morte dell’attrice, Alain Delon era solo riuscito a gettarsi al suo capezzale, non riuscendo a presenziare al suo funerale ma passando, il giorno dopo, ore e ore davanti alla sua tomba a Boissy-sans-Avoir, un piccolo paese vicino alla capitale francese. Un modo per rimanere insieme, ancora una volta.
Lo psicoanalista Massimo Recalcati ha spiegato che, secondo Freud e Lacan, l’essere umano manca di un programma istintuale capace di orientare la sua esistenza nel Mondo. E proprio su questo “difetto” che, sempre secondo il pensiero di questi Grandi della Psicoanalisi, prende corpo il programma dell’Inconscio.
Proviamo a capire
Al contrario di forme apparentemente meno evolute, non accettiamo passivamente l’idea che, il senso della nostra presenza sia, appunto, la nostra stessa presenza. Abbiamo bisogno di capire che lo scorrere dei granelli di sabbia nella clessidra che misura quanto ci resta, del variegato coacervo di stati d’animo, sia finalizzato al sentirsi delle “brave persone” (se si è cresciuti coi Valori di una volta) o al raggiungimento della possibilità di godere.
Entrambe queste posizioni, rispettano il motivo che guida il cammino di ognuno: il Principio del Piacere.
Tale “chimera” genera la nostra condanna alla vita (come disse Giovanni Russo, riprendendo concetti freudiani) intesa come scontro fra due estremi apparentemente inconciliabili: Eros (Amore e passione) e Thanatos (Morte).
Al primo, Sigmund Freud dava la valenza di pulsione volta alla conservazione della vita; nella seconda, individuava la pulsione che spinge verso la distruzione della vita stessa.
Non esiste solitudine più profonda del samurai, se non quella della tigre nella giungla.
Cari Lettori, con questa frase che appare all’inizio di uno dei capolavori dei noir francese, (“Le Samouraï”) il cui interprete principale è stato Alain Delon noi vorremmo, con questo editoriale (prendendo spunto dalla parabola esistenziale dell’affascinante attore francese e incrociandola coi pensieri di Robin Williams, altro “Grande e controverso”), camminare insieme a voi su quel pericoloso crinale rappresentato dal “prezzo della vita”, di cui si percepisce la ponderosità nel momento in cui (consapevolmente o meno) ci si sveglia dal torpore di quello che gli psicoanalisti chiamano “Ideale dell’IO” per andare verso il contatto con un più crudo esame di realtà.
L’Ideale dell’Io è un termine presentato da Sigmund Freud, che si riferisce a quell’istanza della personalità nella quale confluiscono il narcisismo, le identificazioni con i genitori, i loro sostituti e gli ideali che ci vengono imposti come sogni da raggiungere. L’Ideale dell’Io rappresenta, sostanzialmente, un modello verso il quale tendiamo, convinti di procedere verso lo Zenit infinito, accorgendoci troppo tardi che, camminando fidenti sul bordo di un burrone, siamo scesi nelle profondità del Nadir.
Alain Fabien Maurice Marcel Delon nasce l’8 novembre 1935 nel comune francese di Sceaux (nell’Hauts-de-Seine). Figlio di Fabien Delon (direttore di un piccolo cinema di quartiere) e di Édith Arnold (giovane commessa di farmacia), all’età di appena 4 anni, si ritrova a dover affrontare la separazione dei genitori, con un padre che “scompare” e una madre che lo affida a una famiglia adottiva.
Dopo altri 4 anni, viene trasferito nel collegio di suore a Issy-les-Moulineaux, dove aumenta la base ribelle antisociale che, per tutta la vita tenterà di soffocare attraverso un ideale autorepressivo.
Da questo scontro interiore, nascerà il fascino “perverso” del viso angelico con gli occhi di ghiaccio che gli aprirà le porte del Cinema, fin dall’età di 22 anni, dopo una conflittuale parentesi nella marina francese, da cui si congeda dopo 5 anni e quasi un anno di prigione per indisciplina.
Ognuno sta solo sul cuor della Terra trafitto da un raggio di sole. Ed è subito sera (Salvatore Quasimodo).
Quando ti costringono ad impararle a memoria, nei primi passi della scuola primaria ti sforzi di recitare un copione che non ti è affatto chiaro. Poi, le ritrovi lungo il cammino della vita e ti accorgi che una poesia, soprattutto se contiene un certo tipo di messaggio, può trasportarti in un mondo più vasto di quello che avevi immaginato.
E, se è vero che le cose della vita fanno piangere i poeti, il raggio di sole di Salvatore Quasimodo, altro non è che l’illuminazione. Quando, cioè, capisci più di quello che saresti in grado di contenere. Nel tuo cuore, nel tuo animo… e nel tuo cervello.
Non leggiamo e scriviamo poesie perché è carino: noi leggiamo e scriviamo poesie perché siamo membri della razza umana; e la razza umana è piena di passione. Medicina, legge, economia, ingegneria sono nobili professioni, necessarie al nostro sostentamento; ma la poesia, la bellezza, il romanticismo, l’amore, sono queste le cose che ci tengono in vita (Robin Williams)
Praticamente, ognuno di noi è “sostanzialmente” solo.
Fra le sagome degli alberi che si stagliavano sulle mura bianche dei monasteri, vidi l’ombra di un passante riflessa dalla Luna. Camminava lento, con la testa un po’ curva come chi, assorto negli inutili pensieri sul senso della vita, segue un funerale. Ero io. (Tiziano Terzani)
Per quanti sforzi si possano fare, non riusciremo a trasmettere, ad esempio, l’intensità di un sentimento che, per antonomasia, è un’emozione che nasce e si diffonde in ogni ansa del nostro essere ma che, al momento di varcare la soglia della barriera della propria identità, ci fa capire quanto analfabeti possiamo diventare, sul piano emozionale.
Inoltre, di fronte alla voglia di condivisione che si crea in coloro che cercano il valore del “noi” rispetto all’assoluto “io”, si presenta immancabilmente la difficoltà che nasce da codici della comunicazione tarati su frequenze personali di cui nessuno, purtroppo, ha fornito le coordinate di avvicinamento…
Sai quel posto che sta tra il sonno e la veglia, dove ti ricordi ancora che stavi sognando? quello è il luogo dove ti amerò per sempre… (James Matthew Barrie – Peter Pan)
Ci sono cose alle quali non dobbiamo abituarci. Ad esempio, alla rassegnazione, alla fatalità, al dolore, alla sofferenza. Ad un’esistenza interrotta per la paura della solitudine, pur in mezzo alla moltitudine.
La memoria, a volte, può essere uno splendido rifugio e, man mano che invecchi, godrai nell’andarci a frugare. Come si fa con un mobile dimenticato in soffitta. Se mai diventerai vecchio…
Ma, la memoria, però, può essere, anche, un terribile peso. Perché non possiamo mentire sulle promesse non mantenute.
Come chiunque altro, io non dispongo che di tre mezzi, per valutare l’esistenza umana: l’osservazione degli uomini (i quali, nella maggior parte dei casi si adoperano per nasconderci i loro segreti o per farci credere di averne); i libri (con gli inevitabili errori di prospettiva che sorgono fra le righe); lo studio di sé stessi (è il metodo più difficile, il più insidioso ma, anche, il più fecondo) (Marguerite Yourcenar – Memorie di Adriano)
Forse è per questo che, quando fai i conti con te stesso, arriva un momento che, credi, essere il peggiore. Come quando, di notte, è troppo tardi per considerarti parte di ieri ma, al tempo stesso, è ancora troppo presto per rapportarti col domani.
Accade, soprattutto se ti senti in colpa per ciò che presumi di aver fatto e, contestualmente, impreparato per quello che potrà succedere.
Chissà cosa accadrebbe se riuscissimo ad incontrare i bambini che eravamo e chieder loro un parere sugli adulti che, poi, siamo diventati…
Probabilmente scopriremmo di aver impattato col prezzo della vita, quell’insieme di istanti che “vanno a senso unico” colorando e dando un peso a quel misuratore indifferente che è il tempo, creandoci l’illusione di essere in quella condizione di fare ciò che piace e che fa star bene: la libertà.
Ma siamo realmente liberi nel decidere i nostri percorsi di vita?
Cari Lettori, in linea di massima, la risposta potrebbe essere affermativa nel senso che basterebbe poter scegliere ciò che più piace e verso cui ci sentiamo più “legati”. Nella realtà dei fatti, qualunque attività decidiamo di intraprendere, dovremo sopportare dei costi pur traendone dei vantaggi.
Quali potrebbero essere questi costi?
Innanzitutto il tempo da dedicare per prepararci ad affrontare una determinata professione; poi, le difficoltà da affrontare per inserirsi in un circuito lavorativo dignitoso; inoltre, c’è da considerare le frustrazioni con cui, inevitabilmente, ci si scontra durante un percorso occupazionale; infine, non si può trascurare la necessità di sapersi barcamenare tra il tempo da dedicare al lavoro e quello da utilizzare per dare alla propria vita una dimensione di completezza ed equilibrio (affetti, amicizie, tempo libero, miglioramento personale, etc.)
Guardo il mondo, vedo quanto possa essere spaventoso, a volte, e comunque cerco di affrontare la paura. La comicità può aiutare ad affrontare la paura, senza paralizzarti ma anche senza dirti che tutto il male sparirà. È come se dicessi: ok, posso scegliere di ridere di questa cosa, e una volta che ci avrò riso sopra avrò cacciato il demone e potrò affrontarla davvero (Robin Williams).
Il nuovo, in quanto tale, ci costringe a venir fuori dagli schemi delle abitudini che sono nate per darci le sensazioni tipiche di un comodo paio di pantofole, la sera, di ritorno da una giornata di impegni…
L’ignoto, come ambientazione ricca di fattori potenzialmente pericolosi (perché, anche nelle migliori condizioni, ciò che non conosciamo ci può “mettere alla frusta”), aumenta lo stato di disagio tensivo.
Al tempo stesso, alla lunga, anche le cose che si ripetono finiscono per darci la percezione di vivere in un recinto dove tutto è scontato. E si va avanti, stancamente, in attesa della fine!
Nel rapporto fra fatica (costo) e gusto (beneficio) ci muoveremo, come Diogene con la lanterna a cercare l’uomo, in tutti i suoi significati.
Come descritto altre volte, probabilmente, la nostra esistenza ricalca la guida di un aereo. Diventa prioritario restare ai comandi qualunque cosa accada. Il problema nasce nel momento in cui la situazione ci sfugge di mano per aver commesso errori nella strategia di conduzione delle cose che facciamo. A quel punto, l’aereo (cioè la nostra vita) può piombarci addosso come una mina vagante.
L’importante è evitare lo stallo.
Lo stallo è quel momento in cui un velivolo non ha più spinta inerziale per cui comincia a precipitare. La bravura del pilota consiste nel riuscire a volare manovrando la cloche in maniera da raggiungere l’equilibrio fra la spinta dei motori e la durata dell’accelerazione, restando all’interno di una curva disegnata fra la “salita” e la “discesa” evitando, nel contempo, di finire fuori rotta.
Così scorre il nostro tempo, fra la ricerca di “un posto al sole” e il doversi difendere dal peso del successo, che potrebbe farci perdere. In tutti i sensi.
Ci sono cose alle quali non vogliamo abituarci, mai. Ma, soprattutto non vogliamo abituarci a dimenticare.
Per esempio, le persone che ci hanno reso felici per un attimo o per un’ora, le persone che abbiamo imparato ad amare, che facciano parte del nostro quotidiano o se, in quel quotidiano, magari siamo andati a cercare attraverso uno schermo, attraverso una scena, per cercare un senso alle cose della vita, “ci deve essere un motivo per cui io sono come sono”.
È così che, a volte, ci si sente meno soli, “il pensiero è reale, la materia è illusione…”
Puoi perdere te stesso. Tutto. Ogni limite. Ogni tempo. ancora lì. Quello è il miracolo. Puoi andare in Paradiso e tornare indietro vivo. Ritornaci ogni volta che vuoi … o capitano , mio capitano.
Diventando più responsabili, si perde una parte di libertà?
Sì, quella libertà egocentrica, a costo zero (chè, tanto, qualcuno pagherà per noi). No, perché acquisiamo la libertà del diritto di scelta (pagando di tasca propria).
La verità è una coperta che ti lascia scoperti i piedi. Tu la spingi, la tiri e lei non basta mai, anche se ti dibatti, non riesci a coprirti tutto… Dal momento in cui nasci piangendo al momento in cui esci morendo, ti copre solo la faccia. E tu piangi e gridi e gemi!
Cari Lettori, l’icona Alain Delon, bello, con gli occhi di ghiaccio, ha interpretato film che resteranno per la qualità artistica complessiva.
In un mondo ove l’apparire stava tra “il centro del salotto e l’essere giù in cantina”, il nostro angelico tenebroso attore di successo prende la scena e, per un po’ di tempo, si sente al centro del mondo. Mogli, amanti, avventure, alcool: questo il rosario sgranellato dai rotocalchi che sul gossip fanno la loro fortuna.
Per decenni ha accompagnato la nostra vita e, anche il lettore distratto, veniva a contatto con i problemi della sua vita.
Dall’arroganza della gioventù, è passato al fascino brizzolato dell’uomo maturo che affascina, col suo controverso bagaglio di chissà quale esperienza di vita…
Poi arriva un giorno in cui la malattia (ictus) interrompe questa vitalità che il tempo stava già rendendo sempre più temperata e scatta il dramma.
Alain, abituato a “dirigere”, si trova di colpo a dipendere dagli altri e a vedere litigare i figli nati da storie diverse. In più c’è la donna del momento, badante, amica, compagna che dir si voglia.
Un cocktail ad alto gradimento alcolico con, al centro, una vertiginosa eredità su cui mettere le mani.
Quest’uomo ha accumulato molte ricchezze ma, dopo una vita legata all’effimero, indifferente ai reali valori dell’esistenza, si trova solo con sé stesso. Un sé stesso che forse non ha mai visitato a fondo, perché la sua filosofia di vita era, probabilmente, incentrata su altro.
Luis Gongora, nel Seicento, dopo la morte improvvisa di una delle donne più belle del tempo, scrisse un verso famoso che può essere di epigrafe ad ogni vita vissuta sul vacuo e sull’etereo: “Ieri divinità umana, oggi nuda terra”.
In fondo, un’ icona è come una foto, una volta splendente, che il tempo inesorabilmente corrode e in modo “crudele” manda in frantumi.
L’attenzione è la forma più rara e più pura della generosità. La capacità di prestare attenzione è cosa rarissima, difficilissima; è quasi un miracolo, è un miracolo.
Quasi tutti coloro che credono di avere questa capacità, non l’hanno. Il calore, lo slancio del sentimento, la pietà non bastano.
Nella prima leggenda del Graal è detto che il Graal apparterrà a chi per primo dirà al custode della pietra: “Qual è il tuo tormento?”. La pienezza dell’amore del prossimo è semplicemente l’essere capaci di domandargli: “Qual è il tuo tormento?”.
Per questo è sufficiente, ma anche indispensabile, saper posare su di lui un certo sguardo…(Simone Weil)
Eppure, Cari Lettori, crescere e invecchiare, per definizione significa aumentare trasformando, in bene o in meglio: ma, come andrà, noi non lo sappiamo mai all’inizio; un po’ come quando si fa una torta o una pizza: si lascia lievitare, si mette in forno facendo attenzione a non aprire lo sportello per evitare d’interromperne la cottura. A volte, però, la pietanza (per qualche errore di procedura) non “cresce” adeguatamente e allora il risultato lascia a desiderare.
Se noi non siamo adeguatamente aiutati nel capire che la vita è difficile (ma lo è in funzione di quello che non sappiamo fare) cerchiamo delle strade alternative frenando le nostre aspirazioni, i nostri sogni, la nostra voglia di crescere per paura di trasformarci in qualcosa che potrebbe anche non piacerci.
Quanto incide la nostalgia di momenti del passato che non potranno essere mai più vissuti, a frenare la voglia di crescere?
Partendo dall’assunto che la paura di crescere può essere legata non solo ad alcuni aspetti intuibili (invecchiare, morire, perdere i propri cari, non sapere affrontare l’ignoto, non sopportare di sbagliare), possiamo aggiungere che, una forte componente possa essere legata anche alla nostalgia di momenti del passato che non potranno essere mai più vissuti.
Intanto si resta in bilico tra gli attimi di ieri e il domani incerto. Che fare per evitare rimpianti?
Come abbiamo proposto in altre occasioni, partendo dal principio che:
- Il passato costituisce il pianeta dei ricordi (che, in genere, si vivono con nostalgia o rammarico).
- Il futuro rappresenta l’occasione per sperare in qualcosa.
- Il presente “incarna” l’opportunità di concretizzare.
I criteri da usare per organizzare al meglio la propria vita, diventano, se ci riusciamo:
- Il Tempo a disposizione;
- Le risorse da destinare;
- La motivazione all’agire.
Ma non sempre, è facile come sembra…
Cari Lettori, come al solito il momento del commiato ci vede alla ricerca di un messaggio significativo in grado di sintetizzare le emozioni di quanto espresso.
E allora, questa volta, vorremmo proporvi un piccolo esperimento, condividendo, con voi, due testi poetici.
Il primo riguarda una significativa lirica del poeta Francesco de Gregori e, il secondo, un passo fondamentale di “Al di là dei sogni”, interpretato da Robin Williams e che, idealmente, si lega alla lettera iniziale di Alain Delon a Romy Schneider.
Proviamo a osservare, insieme, la suggestiva immagine di copertina; se riusciamo a chiudere gli occhi per un attimo e ad aprire un po’ di più il “cuore”, ci sembrerà che il “giovane” Delon si trasformi nell’ombra del “vecchio” che si è sempre portato dentro, mentre interpreta per noi, questi due bellissimi “passi”.
Guarda che non sono io…
Guarda che non sono io, quello che stai cercando, quello che conosce il tempo e che ti spiega il mondo
Quello che ti perdona e ti capisce, che non ti lascia sola e che non ti tradisce. Guarda che non sono io, quello seduto accanto che ti prende la mano e che ti asciuga il pianto
Cammino per la strada, qualcuno mi vede e mi chiama per nome: si ferma e mi ringrazia: vuole sapere qualcosa di una vecchia canzone…
Ed io gli dico: “Scusami però non so di cosa stai parlando, sono qui con le mie buste della spesa… Lo vedi? Sto scappando! Se credi di conoscermi non è un problema mio E guarda che non sto scherzando
Guarda come sta piovendo, guarda che ti stai bagnando, guarda che ti stai sbagliando; guarda che non sono io quello che mi somiglia: l’angelo a piedi nudi o il diavolo in bottiglia, il vagabondo sul vagone, la pace fra gli ulivi e la rivoluzione
Guarda che non sono io, la mia fotografia, che non vale niente e che ti porti via
“Mi dispiace, piccola, ci sono delle cose che devo dirti e mi restano solo pochi momenti. Mi dispiace per tutto ciò che non potrò mai darti, non ti comprerò mai un hamburger gigante a 4 piani… Non ti farò mai sorridere. Volevo soltanto invecchiare insieme a te come due vecchie tartarughe che ridono, contandosi le rughe insieme, al capolinea, sul lago del tuo dipinto: quello, era il nostro Paradiso. Grazie per la tua forza, per la tua dolcezza, per come eri e come sei, per come ho sempre desiderato toccarti. Dio, eri tutta la mia vita! E ti chiedo scusa per tutte le volte che ho fallito con te, specialmente questa.” (Al di là dei sogni)
Enzo Ferraro – già Dirigente Scolastico, Letterato, Umanista, Politologo
Giorgio Marchese – Direttore La Strad@
Un ringraziamento ad Amedeo Occhiuto per l’affettuosa collaborazione