La prima stesura di questo articolo risale al lontano 9 febbraio 2012, sulla scorta dell’omonima puntata della fortunata trasmissione “Mente Dintorni” trasmessa dall’emittente MetroSat. Sono trascorso 10 lunghi anni da allora e si è ritenuto di aggiornarlo e riproporlo, facendo tesori della seguente affermazione di
BUONA LETTURA
Da qui, mi piace calcolare le distanze. Da qui, proiettarmi nello spazio siderale. Da qui, da qui, da milioni ad occhio e croce di persone… Da qui, ho conosciuto la costellazione. Da qui, senza mai guardare dentro un cannocchiale, perché la mia vista vede: è una lente naturale. E ho fantasia e posso anche volare. La fantasia lo sai, ti fa volare… Guardastelle, guarda, in questo mare di stelle, mi perderò con te. Guardastelle, guarda, è un cielo di fiammelle, il buio più non c’è. Da qui, mi stacco da terra ad immaginare, da qui chissà… se c’è un mistero grande da scoprire; da qui, una libera preghiera per una pace da inventare! Ho fantasia… e posso anche volare; la fantasia, lo sai ti fa volare… Guardastelle, guarda, in questo mare di stelle, mi perderò con te. Guardastelle, guarda, è un cielo di fiammelle… e bruciano per te. Sotto il cielo… la terra.; ogni uomo… una stella; una speranza sospesa… tra la scienza e la guerra. Una speranza sospesa, tra la scienza e la guerra! Guardastelle, guarda, in questo mare di stelle, mi perderò con te. Guardastelle, guarda, è un cielo di fiammelle! (Bungaro)
I PREGIUDIZI
“Tu non lo sai com’è quando ci provi, ci provi e ci provi e non arrivi mai a niente! Perché tu sei nata perfetta e io, invece, sono nato così come sono! Le persone come te, non lo sanno cosa significa essere feriti. Perché non hanno emozioni, non provano niente!”
“Tu credi davvero di avere il monopolio della sofferenza umana? Allora ti spiego una cosa, sulla gente come me. La gente come me, si sente persa… e piccola… e brutta. Completamente inutile. La gente come me, ha certi mariti che si scopano un’altra donna che è molto più perfetta di me. La gente come me, ha dei figli che la odiano… e io urlo dicendo cose orribili ad un bambino di sette anni perché non vuole salire in macchina, alla fine della giornata. È come se, ogni mattina, io mi svegliassi e fallissi! Poi, mi guardo intorno… e sembra che tutti quanti ce la facciano… io, invece, non ce la faccio anche se ce la metto tutta! È come se io non fossi mai abbastanza.”
“Tu sei abbastanza. Sei molto di più di abbastanza!” (Da “Mi chiamo Sam”)
Nella vita, la sfida più importante che ognuno di noi affronta è con se stesso. Perché alcune persone vivono più infelicemente di altre?
Perché sentono di non essere abbastanza rispetto alle aspettative. Aspettative che hanno fatto proprie in base a quello che, fin da piccoli, è stato trasmesso come criterio di rispondenza a degli standard di qualità emotivi, caratteriali, comportamentali, etc.
“Mi aspetto da te, visto che sei intelligente e sei così bravo al computer, che le tue capacità globali nel rapporto con gli altri (a scuola e, poi, per tutto quello che sarà il tuo percorso di vita) che faccia grandi cose!”. Questo ci viene detto, ogniqualvolta il nostro ruolo è subalterno. Ovviamente, si omette la seguente aggiunta illuminante: “Ho queste aspettative, perché io non mi sento abbastanza; non sono abbastanza! Quindi, è chiaro che, tu e io, insieme, formiamo una squadra”.
Ma è chiaro per chi? È chiaro per il genitore ma non per il figlio; soprattutto perché, a quest’ultimo, non è stato nemmeno chiesto se è disponibile e, tra l’altro, cosa vorrà fare del proprio percorso.
E allora, perché non mi sento abbastanza?
Non c’è peccato più grande della presunzione di aver in tasca la verità assoluta senza saper ascoltare le altre verità possibili. (S.Stremiz)
Perché sono il risultato di aspettative che costituiscono la trasmissione di altre aspettative all’interno di una catena che potrebbe avere come nome: “il senso di inadeguatezza”.
Qualche giorno fa, all’interno di una conversazione privata, il mio interlocutore, cercando di alleggerire il peso di un mio stato d’animo (sovraffaticato da impegni e problemi organizzativi) ha concluso, ad un certo punto: “Ma di che ti preoccupi? Sei un uomo di successo! In virtù di ciò, i problemi, per te, sono inezie!”
Ascoltando questa affermazione, ho provato momenti caratterizzati da stati d’animo differenti.
- Incredulità (nel consapevolizzare che, per qualcuno, sei una persona di successo!)
- Gratificazione (con aumento temporaneo dell’autostima)
- Ritorno alla realtà (ma… “di successo”, rispetto a chi o a cosa?)
Se per successo intendiamo il participio passato del verbo succedere, allora si, ci siamo! Come tutti gli esseri umani mi adopero perché qualcosa succeda ma, di quel qualcosa… quanto resto soddisfatto e quanto, invece, mi aspetto ancora che accada perché mi imbatto in difficoltà poste da ambienti sociali. Ho, infatti, dei programmi che coinvolgono altri aspetti della mia professione, oltre quella di specialista in psicoterapia… e, in quel caso, devo aspettare i tempi (per esempio) della burocrazia. Anche nella mia professione di psicoterapeuta i problemi non mancano. Ad esempio, non posso sapere cosa accadrà nell’incontro a due che, quotidianamente, si ripete con tutte le persone che incontro: è una partita che mi gioco, conoscendo le regole ma sapendo, anche, che, non sempre verranno rispettate, dall’altro.
E allora?
Ammetto le mie limitazioni, il mio senso di inadeguatezza. Ma, questo, non solo non mi blocca quanto, piuttosto, rende il tutto interessante, dal momento che voglio dimostrare a me stesso di esser capace di affrontare le mie preoccupazioni che diventano, a quel punto, un punto di forza e non elemento che mi induce alla fuga. Ecco, allora, non ritengo di essere una persona di successo; mi considero, piuttosto, un individuo alla ricerca di tutto ciò che serve per potersi riconoscere un valore: l’onestà.
Nella vita, la sfida più importante che ognuno di noi fa, è con se stesso. Si parla e si sente parlare spesso di “autostima” al punto tale da svilirne il vero significato. Quanto incide, l’autostima, nel credere in se stessi, nella qualità della propria vita, nelle sofferenze?
Effettivamente se ne sente dire tanto. Però, molte volte si confonde questo termine con una sua sfaccettatura che è l’autoesaltazione e che deriva da una scarsa consapevolizzazione di quanto si vale. In quel caso, si cerca di buttare giù l’ostacolo dietro il quale riteniamo ci siano dei pericoli; quindi, ci fa paura sia l’ostacolo, sia i probabili o possibili pericoli, cercando di convincersi di essere un leone quando invece, ci si crede una pecorella.
Stimare se stessi. “Stimare”, significa cercare di scoprire quanto vale una determinata cosa, o persona, per poi stabilire quanto deve essere protetta.
Dunque, l’autostima risulta da una valutazione delle qualità percepite (in maniera corretta) come proprie, utili per sé e non dannose per gli altri. In sostanza, una considerazione positiva generale che un essere umano può avere di sé. Sempre che, da piccoli, qualcuno per noi molto importante ci abbia trasmesso il piacere di averci tra le sue braccia….
Per cercare di capire al meglio, poniamoci delle domande sulla definizione sopra riportata.
Cosa vuol dire valutazione?
La vera follia è fare sempre la stessa cosa e aspettarsi ogni volta un risultato diverso ! (A.Einstein)
Con tale termine, ci riferiamo ad un apprezzamento qualitativo e quantitativo che consente di dare un apprezzamento a qualcosa, in questo caso, a se stesso, cercando di consapevolizzare tutto ciò che efficacemente, si realizza, per l’appagamento degli standard che servono per la costruzione di un’identità matura.
E cioè?
Per quanto riguarda le qualità razionali, cognitivo – neutrergiche (diremmo, anche, di “mentalizzazione”), mediante l’applicazione pratica delle proprie conoscenze per vivere in maniera matura ed equilibrata.
In merito all’area delle capacità legate al proprio dinamismo costruttivo, attraverso il perseverare in attività utili e gratificanti.
Rispetto all’area affettiva, attraverso rapporti produttivi, realizzati con amore.
E tutto questo, in pratica, cosa comporta?
La capacità di costruire con criterio, validi rapporti sociali, superando rancore, ostilità e meschini risentimenti. Valutando, inoltre il positivo ed il negativo, chiarendo eventuali disagi.
A queste condizioni, una buona autostima consente di sentirsi sicuri di sé, di considerarsi “solidi”, di sentirsi realizzati nel lavoro prescelto, di sentirsi integrati in maniera corretta nell’ambiente in cui si vive.
Come ci si rende consapevoli di essere stimabili, agli occhi della Società?
Senza troppi giri di parole, basta seguire almeno i punti sottoelencati:
- applicandosi con serietà al proprio lavoro;
- risolvendo i motivi che tengono ancorati ad aspetti di immaturità evidente;
- rendendosi conto della validità che, il proprio operato, rappresenta all’interno della Società in cui si vive;
- migliorando se stessi, continuamente.
Cominciamo dal primo punto: Applicandosi con serietà al proprio lavoro.
Ciò presuppone che l’essere umano lavori con piacere, pertanto è importante fare un lavoro che soddisfi le proprie aspettative oppure cambiarlo nel tempo, costruendosene uno più adeguato. All’inizio può capitare di lavorare per la necessità di “sbarcare il lunario” poi, raggiunto l’appagamento di questa necessità, si può cominciare a pensare ad un’attività che consenta una realizzazione.
A questo punto, diventa necessario un inciso, a proposito delle persone sotto-occupate o disoccupate: dipende da uno scorretto rapporto e un’incompleta valutazione fra domanda e offerta.
Il secondo aspetto da centrare: superare le cosiddette “fasi di immaturità”.
Cominciamo col dire che si definiscono in tal modo perché costituiscono una tappa di passaggio durante il corretto processo di maturazione di un essere umano, consentendogli, attraverso un meccanismo di imitazione rispetto all’ambiente contestuale, di acquisire degli schemi elaborativi e comportamentali che saranno riveduti e corretti, in termini più logici e di autonomia di pensiero, man mano che si diventa più maturi.
Secondo leggi naturali, infatti, ogni forma di sviluppo prevede un periodo di trasformazione e di “rodaggio”, al fine di consentire aggiustamenti e adattamenti. Noi non possiamo venir meno a questa regola. Inoltre, tale “caratteristica” dimostra che, sul piano psicologico, non esiste nulla di completamente innato, escluso, ovviamente, la personalità di base che rappresenta un elemento potenziale tutto da sviluppare in base alle esperienze di vita.
Quindi, si tratta di momenti di vita che connotano un essere umano in una fase non ancora accettabilmente matura, che presentano delle condizioni notevolmente limitanti (identificazione e dipendenza psicologica; studio solo per obbligo sociale, senza prospettive pragmatiche; competizione con gli altri ed ambizione scorretta; sesso degradante ed egocentrico; gregarietà; autoritarismo; ricerca di protezione e sicurezza in funzione di altri; autostima in funzione del giudizio altrui; etc.).
Siccome nessun essere umano contemporaneo può definirsi completamente libero da questi condizionamenti, il cammino da intraprendere consiste nell’emanciparsi da questi fardelli e procedere sempre più verso l’acquisizione di capacità definite di “mentalizzazione” (assenza di pregiudizi e di inutili paranoie; capacità di contemplazione e riflessione e di assumere il punto di vista altrui; interesse reale per il mondo dell’altro; apertura alla scoperta; capacità pedagogiche e di ascolto; continuità autobiografica; ricchezza della vita interiore, etc.)
In parole povere Acquisire la “Competenza generale di sé”. Cioè, sviluppare il sentimento di morbidezza e conciliazione con se stessi, riuscendo ad andare verso gli altri.
Il terzo punto: riconoscere la validità di ciò che rappresenta il proprio operato all’interno del contesto in cui si vive
Questo è un discorso ampio: l’utilità di ciò che fai, la si può estrinsecare nel lavoro, nelle relazioni interpersonali e nella gestione del proprio tempo libero nell’utilità che tu puoi rappresentare.
Tutto può andare bene: dalla tua occupazione prevalente all’insegnamento che puoi trasmettere ai tuoi figli, o a quello che fai nei momenti in cui sei da solo con te stesso per riuscire a migliorarti ed essere d’esempio per chi sta attorno, affinché ti possa usare come parametro di riferimento. In questo modo, migliorerai le tue capacità globali per essere più saggio e sempre più utile ad una evoluzione sociale come emittente di messaggi ordinanti e maturi, perché prodotti da un’interiorità ordinata e matura, in grado di produrre un effetto a catena.
L’ultimo punto: adoperarsi in una competizione positiva con se stessi, per migliorarsi continuamente.
Partendo dal principio che considera il termine competizione come “Evento limitato nel tempo, sottoposto a regole (uguali per tutti),in cui si concorre per ottenere qualcosa”, questo evento limitato nel tempo è la nostra vita che ha, come regole, le Leggi di Natura. L’obiettivo per cui si concorre, è quello di migliorarsi per dare un senso alla sua esistenza e lasciare una traccia utile a far crescere gli altri.
In sintesi, le vie per il raggiungimento dell’autostima.
- Interne: impegnarsi per diventare maturi
- Esterne: avere avuto (o aver “recuperato”) figure di riferimento che dimostrino disponibilità, accettazione, approvazione, incoraggiamento.
In conclusione, per autostimarmi, quindi, dovrò aver valutato quello che sono, rispetto alla media sociale, rispetto all’ambiente in cui abito, rispetto a quanto può essere il mio sviluppo sostenibile (cioè che non mi rovini la qualità della vita ma che, al tempo stesso, mi consenta di sentirmi una persona in evoluzione e, quindi, capace di proteggere me stesso senza fermarmi dal raggiungere altri traguardi).
Il senso dell’autostima va vissuto in maniera corretta perché, se io mi considero una “gran cosa” (a torto o ragione) e corro per centrare obiettivi uno dopo l’altro, è vero probabilmente avrò trovato il modo per trascorrere in maniera piena il tempo che è stato messo a mia disposizione e che mi concedo, però non avrò scandagliato tutti i reconditi della vita umana che è fatta di autostrade ma anche di percorsi tortuosi, di mulattiere, di zone dove puoi andare a piedi per ammirare i panorami e quindi non soltanto di piste sulle quali correre. Il senso dall’autostima, quindi, in estrema sintesi, significa individuare il “perché” io debba concedermi qualcosa.
A questo punto (e a queste condizioni) il senso di inadeguatezza si trasforma in un principio per continuare a migliorarmi, perché io mi sento non adeguato nei confronti di qualcosa che debbo fare o nei confronti di qualcuno con cui mi debbo relazionare se le mie aspettative superano la mia capacità di esprimermi o di pensare.
C’è una differenza fra ciò che dico, ciò che faccio e quello che penso; poi c’è una differenza fra quello che penso e di cui mi rendo conto e quello che penso senza rendermene conto ed è quello che determina il tono dell’umore. A monte di tutto c’è quello che penso senza che me ne accorga, perché è lì che avviene la nascita delle idee quindi la costruzione della mia persona.
Io, come prototipo di essere umano, penso (nei meandri dell’inconsapevole) a velocità altissime; poi, quando comincio a “seguire” le mie idee, consapevolizzandole, mi accorgo che la velocità rallenta di molto. Infatti, un conto è ciò che avviene negli atomi (dove nascono gli input della comunicazione, che vanno quasi alla velocità della luce) e un altro paio di maniche è quello che avviene nei filamenti neurali, dove la velocità scende di molto.
Tra le altre cose, mentre io sto cercando una soluzione per risolvere un problema ho costruito delle nuove idee per traguardi che ritengo essere più interessanti e per rispondere ad interrogativi sempre più pressanti. Il risultato sarà, quindi, quello di vivere uno stato d’animo frustrato perché, da una parte mi sentirò capacissimo e voglioso di andare, da un’altra parte mi percepirò incapace di realizzare.
Ma in tutto questo percorso può capitare di cadere. E allora, bisogna avere la forza di rialzarsi A quale parte di noi attingiamo quando, dopo una caduta, ce la facciamo a rialzarci?
LA FORZA DI RIALZARSI
Non è importante come colpisci. L’importante è come sai resistere ai colpi e, se finisci al tappeto, hai la forza di rialzarti. In piedi! (Rocky Balboa)
Facile rispondere che la troviamo dentro di noi. La vita ci insegna che è normale cadere perché, se non cadessimo, vorrebbe dire che non abbiamo fatto alcuna esperienza. È normale andar giù; è altrettanto normale rialzarsi, altrimenti non avresti mai cominciato né a gattonare, né a camminare. È solo che devi avere un buon motivo per farlo. Il piacere di andare oltre quel “muro”, deve essere superiore alla fatica, al sudore e alla polvere che si mangia. È una questione di dignità!
L’entrata è sempre quella ma, portiere, io non ti conosco! Io che vivevo qui, io che ormai scordare più non posso! Dalla cucina una voce cara: mia madre che mi dice…”Non farti cadere le braccia, corri forte, vai più forte che puoi! Non devi voltare la faccia, non arrenderti né ora né mai!”. Su per le scale è buio… ma la luce corre dentro agli occhi! Sono un bambino io con ancora i graffi sui ginocchi! Dalla cucina una voce cara: mia madre che mi dice…”Non farti cadere le braccia, corri forte, vai più forte che puoi! Non devi voltare la faccia, non arrenderti né ora né mai!” Non so se ti è capitato mai di dovere fare una lunga corsa e, a metà strada, stanco dire a te stesso: adesso basta! Eppure, altri stan correndo ancora intorno a te… allora: “Non farti cadere le braccia, corri forte, vai più forte che puoi! Non devi voltare la faccia, non arrenderti né ora né mai!” Non puoi fermarti ora… Lo so, ti scoppia il cuore, dici anche di voler morire dici: “E’ meglio che correr così!”. Ma no, non puoi fermarti… Non farti cadere le braccia, non arrenderrti né ora, né mai! (Edoardo Bennato)
Paure, timori, incertezze, sfiducia nelle proprie capacità, demotivazione, ansia, stress. E, in più, la sensazione di essere inadeguati. Queste sono le più comuni sfide che siamo chiamati ad affrontare e risolvere.
TU, VORRESTI ESSERE COME ME?
“Tu cosa vuoi fare a Natale? A me piacerebbe andare a sciare, anche se non ne sono capace. Certo, dovrei imparare. Ma io, non imparo mai niente!”
“Non ti sembra che sia un po’ troppo presto, per pensarci?”
“Tu vorresti essere come me?”
“In che senso?”
“Ecco, lo vedi? Non ha senso! Lo sapevo che era una cosa senza senso. Chi, vorrebbe essere come me? Nessuno. Nemmeno io.”
“Smettila. Esageri!”
“IO esagero sempre. È il mio unico pregio!”
A queste condizioni, come si fa a puntare su se stessi?
Bisognerebbe domandarsi: “Perché non mi piace essere come me? Che cosa non mi piace e quanto è giusto che sia così?”
Proverei ad invitare chi, in questo momento sta leggendo, a registrare la propria voce mentre si legge un brano qualsiasi e, successivamente, a riascoltarla. A meno che, già non abbiano effettuato operazioni del genere, nel 100% dei casi, si concluderà: “Ma non è possibile…è bruttissima!”
Questo accade perché noi, da quando eravamo piccoli ad oggi, abbiamo ascoltato la nostra voce per via prevalentemente transcranica, cioè attraverso la vibrazione delle ossa del cranio, che altera le frequenze e ci “inganna” nella percezione. La nostra “vera” voce non ci piace, soltanto perché non l’abbiamo mai ascoltata e, quindi, non la riconosciamo come nostra. E, se io vivo secondo principi non corretti ma che mi sono stati trasmessi, “condizionandomi” che, però, non mi “appartengono” (rispetto a come dovrei essere, se fossi più “libero”), finirò per vivere come vogliono gli altri (e, per me sarà lo standard come la voce “falsata” che, credo, essere la mia) e, paradossalmente, quando andrò a contattare (in momenti particolari, ad esempio di crisi interiore) chi sono veramente, non vorrei essere come me soltanto perché non ci sono abituato e, quindi, non mi riconosco.
Eppure, a volte, si teme il giudizio degli altri al punto da farsi condizionare la vita. In questi casi cosa è consigliabile fare?
Domandarsi perché diamo il consenso e ritroveremo molte delle cose di cui abbiamo già parlato. Molte volte, siccome non siamo contenti di quello che facciamo, per tantissimo motivi addebitabili a noi oppure no, siccome, a livello inconsapevole non siamo contenti allora, quasi per espiare, una sorta di senso di colpa, ci lasciamo in balia degli altri, sottoposti al giudizio altrui. A quel punto, quando qualcuno ci fa del male criticandoci o utilizzandoci in maniera poco corretta noi, pur soffrendo, staremo paradossalmente meglio perché sappiamo che stiamo “espiando”.
Riflettere significa mettere insieme tutto quello che abbiamo memorizzato su di un determinato argomento e scandagliarne i reconditi per riuscire a costruire qualcosa che ci porti da qualche parte in maniera produttiva. Questo meccanismo è laborioso e, soprattutto se non abbiamo fiducia in noi stessi, rifiutiamo di farlo. E allora giudichiamo, l’operato degli altri, ovviamente. Giudicare, significa esprimere ciò che pensiamo di qualcosa, molte volte, senza aver avuto il tempo e la capacità di analizzarla a fondo, di studiarla quindi di apprezzarne aspetti positivi e aspetti negativi. Questo non è soltanto un problema del rapporto con gli altri, questo è un problema del rapporto con noi perché a furia di nasconderci le verità altrui finiremo col nascondere le nostre verità e quindi smarriremo il filo conduttore della nostra vita.
BARACK OBAMA
Discorso agli studenti per l’inaugurazione dell’anno scolastico 2009
So che per molti di voi questo è il primo giorno di scuola. E per chi è all’asilo o all’inizio delle medie o delle superiori è l’inizio di una nuova scuola, così un minimo di nervosismo è comprensibile.
Non importa a quale casse siate iscritti, qualcuno tra voi probabilmente sta pensando con nostalgia all’estate e rimpiange di non aver potuto dormire un po’ di più stamattina. So cosa vuol dire. Quando ero giovane la mia famiglia visse in Indonesia per qualche anno e mia madre non aveva abbastanza denaro per mandarmi alla scuola che frequentavano tutti i ragazzini americani. Così decise di darmi lei stessa delle lezioni extra, dal lunedì al venerdì alle 4,30 di mattina. Ora, io non ero proprio felice di alzarmi così presto. Il più delle volte mi addormentavo al tavolo della cucina. Ma ogni volta quando mi lamentavo mia madre mi dava un’occhiata delle sue e diceva: “Anche per me non è un picnic, ragazzo!”
Ora, io ho fatto un sacco di discorsi sull’istruzione. E ho molto parlato di responsabilità. Della responsabilità degli insegnanti che devono motivarvi all’apprendimento e ispirarvi. Della responsabilità dei genitori che devono tenervi sulla giusta via e farvi fare i compiti e non lasciarvi passare la giornata davanti alla tv. Ho parlato della responsabilità del governo che deve fissare standard adeguati, dare sostegno agli insegnanti e togliere di mezzo le scuole che non funzionano, dove i ragazzi non hanno le opportunità che meritano. Ma alla fine noi possiamo avere gli insegnanti più appassionati, i genitori più attenti e le scuole migliori del mondo: nulla basta, se voi non tenete fede alle vostre responsabilità. Questo è quello che voglio sottolineare oggi: la responsabilità di ciascuno di voi nella vostra educazione. Parto da quella che avete nei confronti di voi stessi. Ognuno di voi sa far bene qualcosa, ha qualcosa da offrire. Avete la responsabilità di scoprirlo. Questa è l’opportunità offerta dall’istruzione. Magari sapete scrivere bene, abbastanza bene per diventare autori di un libro o giornalisti, ma per saperlo dovete scrivere qualcosa per la vostra classe d’inglese. Oppure avete la vocazione dell’innovatore o dell’inventore, magari tanto da saper mettere a punto il prossimo i Phone o una nuova medicina o un vaccino, ma non potete saperlo fino a quando non farete un progetto per la vostra classe di scienze.
Oppure potreste diventare un sindaco o un senatore o un giudice della Corte suprema ma lo scoprirete solo se parteciperete a un dibattito studentesco. Non è solo importante per voi e per il vostro futuro. Che cosa farete della vostra possibilità di ricevere un’istruzione deciderà il futuro di questo Paese, nulla di meno. Ciò che oggi imparate a scuola domani sarà decisivo per decidere se noi, come nazione, sapremo raccogliere le sfide che ci riserva il futuro. Avrete bisogno della conoscenza e della capacità di risolvere i problemi che imparate con le scienze e la matematica per curare malattie come il cancro e l’Aids e per sviluppare nuove tecnologie ed energie per proteggere l’ambiente. Avrete bisogno delle capacità di analisi e di critica che si ottengono con lo studio della storia e delle scienze sociali per combattere la povertà e il disagio, il crimine e la discriminazione e rendere la nostra nazione più corretta e più libera.
Vi occorreranno la creatività e l’ingegno che vengono coltivati in tutti i corsi di studio per fondare nuove imprese che creeranno posti di lavoro e faranno fiorire l’economia. So che non è sempre facile far bene a scuola. So che molti di voi devono affrontare sfide tali da rendere difficile concentrarsi sui compiti e sull’apprendimento.
Mi è successo, so com’è. Mio padre lasciò la famiglia quando avevo due anni e sono stato allevato da una madre single che lottava ogni giorno per pagare i conti e non sempre riusciva a darci quello che avevano gli altri ragazzi. Spesso sentivo la mancanza di mio padre. A volte mi sentivo solo e pensavo che non ce l’avrei fatta. Non ero sempre così concentrato come avrei dovuto.
Ho fatto cose di cui non vado fiero e sono finito nei guai. E la mia vita avrebbe potuto facilmente prendere una brutta piega.
Ma sono stato fortunato. Ho avuto un sacco di seconde possibilità e l’opportunità di andare al college e alla scuola di legge e seguire i miei sogni. Qualcuno di voi potrebbe non godere di questi vantaggi. Può essere che nella vostra vita non ci siano adulti che vi appoggiano quando ne avete bisogno. Magari nelle vostre famiglie qualcuno ha perso il lavoro e il denaro manca. O vivete in un quartiere poco sicuro, o avete amici che cercano di convincervi a fare cose sbagliate. Ma, alla fine dei conti, le circostanze della vostra vita (il vostro aspetto, le vostre origini, la vostra condizione economica e familiare) non sono una scusa per trascurare i compiti o avere un atteggiamento negativo. Non ci sono scuse per rispondere male al proprio insegnante, o saltare le lezioni, o smettere di andare a scuola. Non c’è scusa per chi non ci prova.
Il vostro obiettivo può essere molto semplice: fare tutti i compiti, fare attenzione a lezione o leggere ogni giorno qualche pagina di un libro. Potreste decidere di intraprendere qualche attività extracurricolare o fare del volontariato. Potreste decidere di difendere i ragazzi che vengono presi in giro o che sono vittime di atti di bullismo per via del loro aspetto o delle loro origini perché, come me, credete che tutti i bambini abbiano diritto a un ambiente sicuro per studiare e imparare. Potreste decidere di avere più cura di voi stessi per rendere di più e imparare meglio.
Qualunque cosa facciate voglio che vi ci dedichiate. So che a volte la tv vi dà l’impressione di poter diventare ricchi e famosi senza dover davvero lavorare, diventando una star del basket o un rapper, o protagonista di un reality. Ma è poco probabile, la verità è che il successo è duro da conquistare.
Non vi piacerà tutto quello che studiate. Non farete amicizia con tutti i professori. Non tutti i compiti vi sembreranno così fondamentali. E non avrete necessariamente successo al primo tentativo. È giusto così. Alcune tra le persone di maggior successo nel mondo hanno collezionato i più enormi fallimenti. Il primo Harry Potter di JK Rowling è stato rifiutato dodici volte prima di essere finalmente pubblicato. Michael Jordan fu espulso dalla squadra di basket alle superiori e perse centinaia di incontri e mancò migliaia di canestri durante la sua carriera. Ma una volta disse: “Ho fallito più e più volte nella mia vita. Ecco perché ce l’ho fatta!”
Nessuno è nato capace di fare le cose, si impara sgobbando. Non sei mai un grande atleta la prima volta che tenti un nuovo sport. Non azzecchi mai ogni nota la prima volta che canti una canzone. Occorre fare esercizio. Con la scuola è lo stesso. Può capitare di dover fare e rifare un esercizio di matematica prima di risolverlo o di dover leggere e rileggere qualcosa prima di capirlo, o dover scrivere e riscrivere qualcosa prima che vada bene. La storia dell’America non è stata fatta da gente che ha lasciato perdere quando il gioco si faceva duro ma da chi è andato avanti, ci ha provato di nuovo e con più impegno e ha amato troppo il proprio Paese per fare qualcosa di meno che il proprio meglio.
È la storia degli studenti che sedevano ai vostri posti 250 anni fa e fecero una rivoluzione per fondare questa nazione. Di quelli che sedevano al vostro posto 75 anni fa e superarono la Depressione e vinsero una guerra mondiale. Che combatterono per i diritti civili e mandarono un uomo sulla Luna. Di quelli che sedevano al vostro posto 20 anni fa e hanno creato Google, Twitter e Facebook cambiando il modo di comunicare.
Così, vi chiedo, quale sarà il vostro contributo? Quali problemi risolverete? Quali scoperte farete? Il presidente che verrà di qui a 20, 50 o 100 anni cosa dirà che avrete fatto per questo Paese? Le vostre famiglie, i vostri insegnanti e io stiamo facendo di tutto per fare sì che voi abbiate l’istruzione necessaria per saper rispondere a queste domande. Mi sto dando da fare per garantirvi classi e libri e accessori e computer, tutto il necessario al vostro apprendimento. Ma anche voi dovete fare la vostra parte. Quindi, da voi, quest’anno mi aspetto serietà. Mi aspetto il massimo dell’impegno in qualsiasi cosa facciate. Mi aspetto grandi cose, da ognuno di voi. Quindi non deludeteci, non deludete le vostre famiglie, il vostro Paese e voi stessi. Rendeteci orgogliosi di voi. So che potete farlo.
Un giorno, un esperto di comunicazione incontra un cieco seduto sui gradini di una chiesa: un cappello fra le gambe e un cartello ai suoi piedi con su scritto “Fate la carità”.
“Come va?”
“Male, caro signore… nessuno ha pietà di un povero vecchio!”
L’esperto, dopo aver chiesto e ottenuto di poter modificare il cartello, ripassò di là, dopo una settimana e alla stessa domanda, la risposa, questa volta, fu diversa: “Caro signore, deve essere accaduto un miracolo. Ognuno che passa, mi lascia qualcosa. Come avete fatto?”
“Semplice ho scritto la stessa cosa ma in maniera diversa!”
“E cioè?”
“E’ primavera, i prati sono in fiore. Voi potete vederli. Io no!”
LA NOSTRA PIU’ GRANDE PAURA
“Signor Carter, è sicuro di volerlo fare? Spesso abbiamo avuto opinioni contrastanti ma lei ha fatto un lavoro così importante con questi ragazzi, che mi sembra inopportuno che vada via!”
“Senza offesa, Preside, ma tutto il lavoro fatto, è stato vanificato quando hanno interrotto la serrata. Il Consiglio ha mandato un messaggio molto chiaro: vincere partite di basket, è molto più importante che diplomarsi e andare al college. Mi dispiace, io non approvo questo messaggio.”
“Hanno tolto la catena dalla porta. Ma non possono obbligarci a giocare. Abbiamo deciso di finire quello che lei ha cominciato, Signore. Perciò, ci lasci lavorare, abbiamo un bel po’ di cose da fare coach!”
“La nostra più grande paura non è quella di essere inadeguati. La nostra più grande paura è quella di essere potenti al di là di ogni misura. È la nostra luce, non la nostra oscurità che più ci spaventa. Agire da piccolo uomo non aiuta il mondo, non c’è nulla di illuminante nel rinchiudersi in se stessi così che le persone intorno a noi si sentiranno insicure. Noi siamo nati per rendere manifesta la gloria che c’è dentro di noi, non è solo in alcuni di noi è in tutti noi. Se noi lasciamo la nostra luce splendere inconsciamente diamo alle altre persone il permesso di fare lo stesso. Appena ci liberiamo dalla nostra paura la nostra presenza automaticamente libera gli altri. Signore, volevo solo dirle grazie. Mi ha salvato la vita!”
“Grazie a voi, signori. A tutti voi!”
A volte abbiamo paura di riuscire, più che di non farcela. Questo perché non siamo preparati ad andare oltre quel “muro”, siamo relativamente attrezzati a combattere per avvicinarci all’ostacolo ma poi… che faremo una volta raggiunto quello che non sapremo gestire, cioè il successo?
Il nuovo, è inutile negarlo, fa paura. Il nuovo che, in realtà, tu hai dentro da sempre, però per uno sbagliato sistema (legato a ciò che hai appreso), senti che non ti appartiene perché ti mancano le coordinate. Ed è per questo che la nostra potenza è quello che ci fa più paura perché è la nostra voce interiore, il nostro grillo parlante che è come se ci dicesse: “Ragazzo non ti puoi fermare, non ne hai il diritto, ti è stato concesso un enorme potenziale, ora vai e usalo!”
PER QUALE MOTIVO NON DOVREMMO CREDERE IN NOI STESSI?
Una bella galleria di personaggi. Nerio Alessandri (Technogym), Armando Arcangeli (Valleverde), Luigi Cremonini (Gruppo Alimentare Cremonini), Leonardo del Vecchio (Luxottica), Missoni, Michele Placido… Tutta gente “nata senza camicia”, che ha costruito dal nulla, individuando spazi in cui entrare e puntando sulle proprie capacità. Nulla di più, niente di meno.
MONOLOGO SULLA VITA
“Goditi potere e bellezza della tua gioventù. Non ci pensare. Il loro potere lo capirai solo una volta appassite, bellezza e gioventù. Ma, credimi, tra vent’anni guarderai quelle tue vecchie foto e in un modo che non puoi immaginare, adesso. Quante possibilità avevi, di fronte… e che aspetto magnifico avevi! Non eri per niente grasso come ti sembrava. Non preoccuparti del futuro. Oppure preoccupati, ma sapendo che questo, ti aiuta quanto masticare un chewing-gum per risolvere un’equazione algebrica. I veri problemi della vita saranno sicuramente cose che non ti erano mai passate per la mente. Di quelle che ti pigliano di sorpresa, alle quattro di un pigro martedì pomeriggio. Fa’ una cosa, ogni giorno che sei spaventato. Canta. Non essere crudele col cuore degli altri. Non tollerare la gente che è crudele col tuo. Lavati i denti. Non perder tempo con l’invidia. A volte sei in testa. A volte resti indietro. La corsa è lunga e alla fine… è solo con te stesso.
Ricorda i complimenti che ricevi, scordati gli insulti. Se ci riesci veramente, dimmi come si fa! Conserva tutte le vecchie lettere d’amore, butta i vecchi estratti conto. Rilassati. Non sentirti in colpa se non sai cosa vuoi fare della tua vita. Le persone più interessanti che conosco, a ventidue anni non sapevano che fare della loro vita. I quarantenni più interessanti che conosco, ancora non lo sanno.
Prendi molto calcio. Sii gentile con le tue ginocchia, quando saranno partite ti mancheranno. Forse ti sposerai o forse no. Forse avrai figli o forse no. Forse divorzierai a quarant’anni. Forse ballerai con lei al settantacinquesimo anniversario di matrimonio. Comunque vada, non congratularti troppo con te stesso, ma non rimproverarti neanche. Le tue scelte sono scommesse. Come quelle di chiunque altro. Goditi il tuo corpo. Usalo in tutti i modi che puoi. Senza paura e senza temere quel che pensa la gente. È il più grande strumento che potrai mai avere. Balla. Anche se il solo posto che hai per farlo è il tuo soggiorno. Leggi le istruzioni, anche se poi non le seguirai. Non leggere le riviste di bellezza. Ti faranno solo sentire orrendo. Sii cauto nell’accettare consigli, ma sii paziente con chi li dispensa. I consigli sono una forma di nostalgia. Dispensarli è un modo di ripescare il passato dal dimenticatoio, ripulirlo, passare la vernice sulle parti più brutte e riciclarlo per più di quel che valga. Ma accetta il consiglio… per questa volta”.
Direttore Responsabile “La Strad@” – Medico Psicoterapeuta – Vicedirettore e Docente di Psicologia Fisiologica, PNEI & Epigenetica c/o la Scuola di Formazione in Psicoterapia ad Indirizzo Dinamico SFPID (Roma/ Bologna) – Presidente NEVERLANDSCARL e NEVERLAND “CAPELLI D’ARGENTO” ETS (a favore di un invecchiamento attivo e a sostegno dei caregiver per la Resilienza nel Dolore Sociale) – Responsabile Progetto SOS Alzheimer realizzato da NEVERLAND “CAPELLI D’ARGENTO” ETS – Responsabile area psicosociale dell’Ambulatorio Popolare (a sostegno dei meno abbienti) nel Centro Storico di Cosenza – Componente “Rete Centro Storico” Cosenza – Giornalista Pubblicista – CTU Tribunale di Cosenza.
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