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Mi addormento. Forse non dovrei.

Le energie impiegate nella realizzazione del momento assorbono ogni altro respiro vitale e, a fatica, trovo la forza di sollevarmi al di sopra delle onde, che, ancora una volta, davanti a me, impediscono di vedere la riva, lontana.

Un’altra storia.

Ti prenderà, anche se non lo avevi previsto; non ci crederai, anche se impossibile non vederla; crescerà, senza alcuna possibilità di poterla riportare indietro.

Il suo tempo, a ciascuno il suo tempo. Lo ripeto in me ma non riesco a trovare una valida spiegazione, se non che nella paura di non poter tornare indietro, definendo l’irreversibilità delle cose, nelle cose.

Chissà cosa è che determina questo timore crescente che inevitabilmente sfocia nell’ansia del non ritorno!

Un momento di grande tenerezza mi pervade nel silenzio degli ambienti a me familiari. Ore ed ore di parole inseguendo il tempo, cercando di fermarlo, assaporandone ogni istante profumato, ogni intreccio di sguardi e, anche se spesso la mente fugge probabilmente nel tentativo di distogliere, mi ritrovo sempre qui a guardare intensamente.

Quante domande…

Come è possibile aver vissuto fra le luci tenui e delicate dell’accoglienza, fra le braccia forti della protezione, avvolta in ogni cuore della notte quando il tormento prende il sopravvento, e poi averne timore, talmente tanto da… spesso rinunciare.

Nulla di non definito o indecifrabile, solo tempo.

Adoperando la capacità di poter riflettere ricomincio a correre sorridendo dopo un lungo periodo di stasi. Divoro velocità innalzandomi, tocco il celeste senza sforzo alcuno e ritrovo il piacere di me stessa.

C’è però qualcosa che sfugge al mio sentire. Uno sguardo celato dietro una parola apparentemente inutile, un sorriso trattenuto e nascosto da un pensiero che trasporta, consapevolmente, su di un altro percorso. Affino la mia capacità di attenzione e cerco di capire.

Fino a che punto? Fino a dove è consentito? E sarà giusto?

La verità. Ne siamo sempre alla ricerca, in corsa per cercare di afferrare e non dimenticare, spesso senza capirne il significato più profondo, anche se… alla fine, poi, si finisce per sciogliersi nell’intensità di un abbraccio, tanto da non poter fare più niente, se non che lasciar fluire il sentimento. E liberarlo.

Il sentimento. Turbine di emozioni in sussulto, imprevedibili nelle manifestazioni, infinite le forme e le modalità di trasmissione, impossibile bloccarle. Il loro nutrimento dal tempo.

Senza fretta. Provo, per una volta, a non correre, lasciando che il tempo, ricamato dall’attesa dello scandire dei minuti, dolcemente mi conduca alla fine del percorso.

Notte. Nel silenzio dell’ora tarda un flebile respiro di vento accompagna una mano, che ricorda. Ritrovo, fra le ore del tempo, la solitudine del freddo e mi lascio avvolgere nonostante. Un bagliore a suggerire. Un’altra cosa.

Nello squallore del grigiore, una luce rossa in lontananza, dall’alto del cielo a catturare la mia attenzione.

E siamo lì a parlare, separati ma guardandoci negli occhi, anche se… i miei incontrano la finestra che da su suggerisce la speranza del domani.

Ancora e sempre le solite stesse paure. Questa volta, però, avrò pur imparato di più, un’altra cosa?

Provo ad ascoltare la voce che dall’interno mi suggerisce, indica la luce dove posare lo sguardo, invitandomi ad andare fino in fondo. E, dalle parole di conforto, viene fuori il fantastico meccanismo della trasformazione delle cose. Non so se è dentro di noi oppure lo vogliamo vedere a tutti i costi, ma… potrebbe funzionare.

Ogni cosa il suo tempo. Inutile tentare di stringere per avanzare. Il suo tempo.

 Fernanda (11 dicembre 2011)

 

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