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Questo articolo è stato pubblicato, per la prima volta, nel lontano 3 dicembre del 2011. Perché “rimetterci mano”, dal momento che era già molto bello a leggersi? Forse perché, così come non ci si può bagnare due volte nella stessa acqua ma è sempre gradevole farsi accarezzare da un liquido così vitale, continuare a raccontarsi di come si può vincere la sfida contro le difficoltà che la vita ci propone (e ci impone) ci fa tornare bambini a guardare dalla finestra il 24 dicembre, aspettando Babbo Natale: speranze e buone propositi… con i piedi ben piantati a terra!

BUONA LETTURA.

Come una cosa felice che cada e silenziosa come la neve… Dal cielo immenso a una piccola strada… Non si è trattato di un viaggio breve. All’improvviso sono caduta, aprendo gli occhi a mia insaputa, c’era nell’aria l’eco di un canto: nessun giudizio nessun rimpianto. Come una cosa felice che cada, senza per questo sentirsi offesa e senza chiedersi mai dove vada o dove porti la sua discesa… Senza un motivo sono caduta, goccia su goccia precipitata e, arrivata in fondo al mare, ho cominciato cosi a scavare, fino ad avere la testa vuota il cuore gonfio e l’anima ignota, fino a sentire sotto le dita il senso della vita! Come una cosa felice che cada, un filo d’erba da un’altalena che, ricoperta da quella rugiada, sembra che scriva un suo poema… solo una frase, due righe appena… ma il suo mistero già m’incatena. Nella natura non c’è progresso il tempo passa ma è sempre adesso. Adesso sento, per tutto il mondo, la gratitudine e un bene profondo, adesso sento sotto le dita, il senso della vita! Stupendamente, come si sente il pianto acuto di un neonato che ci sveglia la notte (anzi, ci ha già svegliato): il senso della vita! (Elsa Lila)

E’ QUESTA, LA VERA FORZA DELLA VITA?

Cari lettori, se avete avuto modo, qualche volta, di seguire un documentario naturalistico sulla vita dei salmoni del Pacifico, avrete notato che essi risalgono la corrente dei fiumi, per tornare al punto dove sono nati e, dopo aver deposto e fecondato le uova (a differenza di quelli dell’Atlantico), non ridiscendono verso il mare perché la fatica è tale che i superstiti (sfuggiti ad orsi, pescatori e tante altre insidie disseminate sul percorso), dopo avere smesso di alimentarsi, si lasciano morire.

Cosa c’entra con l’aforisma di Ambrogio Fogar?

Come spiegato nell’editoriale “L’epopea del salmone”, c’è qualcosa che spinge questi esseri viventi a realizzare un progetto portando a termine un programma per raggiungere un obiettivo che, se non ci mettiamo ad analizzarlo dal punto di vista veramente “profondo”, sembra senza senso.

“Ma come scusa” – qualcuno potrebbe domandare – “Tu nasci nelle prossimità delle sorgenti ricche di ossigeno, scendi per centinaia di chilometri corsi d’acqua dolce, arrivi nell’oceano, diventi bello e forte, ti adatti alla salinità del mare… e, dopo quattro anni, risali per andare a morire!”

E invece, tutto ciò, ha un significato fondamentale…

…. e non solo per la prosecuzione della specie ma, soprattutto per un progetto più “ampio”. Questi pesci, infatti, durante il tragitto mantengono in vita una catena, dagli orsi a una serie di uccelli, ai pescatori e, in più, dopo aver deposto le uova, con la loro trasformazione post mortem, consentono il rilascio di sostanze indispensabili per l’ambiente.

Perché?

Dal momento che, dalle acque dolci scendono nelle acque salate, si arricchiscono di sostanze vitali (come l’azoto, il fosforo, il sodio, il potassio e altro) consentendo il nutrimento di specie vegetali che, altrimenti, non potrebbero sopravvivere perché in alto, sulle montagne, non arriva (dal mare, da cui è nata la vita) tutto quello che serve. Ecco la presenza di una nobile catena vitale. Da un “semplice” salmone!.

Torniamo all’aforisma di Fogar…

È il programma (da mettere in atto grazie all’energia di cui disponi alla nascita) che ti consente, ti “costringe” ad andare avanti anche quando sembra che non ci sia una motivazione essenziale. A differenza di molte altre specie animali, con molta probabilità, noi siamo gli unici a porci una domanda: che senso ha questo nostro andare?

“Io, chi sono?” I sassi non se lo chiedono. Non se lo chiedono le piante. E neppure gli animali, che per tanti versi sono gli esseri più vicini a noi nel creato, sembrano domandarsi: “Io, chi sono?”

Una mucca non cerca di avere un’opinione di sé, un corvo non si arrovella a capire che cosa lo distingue da una rana. Ma l’uomo? L’uomo – disse il Swami per presentare il Vedanta – l’uomo si è sempre interrogato sulla natura del suo essere. E, da sempre, è angosciato dall’incertezza della risposta.

La domanda nasce dall’esperienza. L’uomo si guarda attorno, vede il mondo e fa alcune considerazioni. La prima è che tutto ciò che vede è fuori da lui. Il mondo gli appare come distinto da sé, come qualcosa da cui si sente separato. Siccome tutto ciò che vede è infinitamente più grande di lui, l’uomo si sente misero, isolato, vulnerabile come una piccola onda che, intimorita dalla vastità dell’oceano, sogna solo di essere un’onda più grossa, più possente per non venire schiacciata dalle altre onde. In questa percezione di due entità distinte – colui che vede e ciò che viene visto, colui che conosce e ciò che viene conosciuto – è radicata la perpetua insoddisfazione dell’uomo. E la sua tristezza. (Tiziano Terzani – Un altro giro di giostra – TEA Ed.)

Perché lo devo fare? Che piacere ne provo? Che risultati avrò?

UN SENSO, A QUESTA VITA?

È nelle risposte a queste domande che riusciremo ad essere coerenti, mentre andiamo, a provare soddisfazione. Ecco perché le persone che, di solito, riescono a tirar fuori delle riflessioni interessanti, come Ambrogio Fogar, Jim Morrison e i tanti altri che ci sono riusciti, benché siano stati in grado di puntare l’attenzione su quello che “è veramente ciò che dovremmo fare”, poi si sono persi dal punto di vista pratico quotidiano.

Questo elemento di incoerenza è legato al fatto che sono stati in grado, questi personaggi, di andare ben oltre la qualità e la capacità della media, un po’ come quello che si è detto e scritto, a proposito della “depressione” di Vittorio Gassman.

Tutti i personaggi che superano, per capacità di riflessione, per sviluppo dell’intelligenza e altro, di molto la media, pagano un prezzo: il prezzo è quello legato al fatto che in altri settori della personalità poi sono carenti perché non ce l’hanno fatta a sviluppare in maniera equilibrata e armonica; e allora soffrono, creano delle problematiche generate da conflitti e poi riescono a riportare in equilibrio il sistema mediante la “sublimazione”: una sorta di trasformazione delle sofferenze tirando fuori quell’idea cosiddetta geniale, o quell’azione di valore artistico o scientifico elevatissimo.

Ma si può raggiungere il successo, senza perdersi, strada facendo?

“Ridere spesso e di gusto; ottenere il rispetto di persone intelligenti e l’affetto dei bambini; prestare orecchio alle lodi di critici sinceri e sopportare i tradimenti di falsi amici; apprezzare la bellezza; scorgere negli altri gli aspetti positivi; lasciare il mondo un pochino migliore, si tratti di un bambino guarito, di un’aiuola o del riscatto da una condizione sociale; sapere che anche una sola esistenza è stata più lieta per il fatto che tu sei esistito. Ecco, questo è avere successo.” (Ralph Waldo Emerson)

“PERO’… ZANARDI DA CASTELMAGGIORE!”

“Alessandro Zanardi è l’uomo delle sfide, incarna il mito del guerriero capace di condizionare gli eventi in modo a volte stupefacente. La sua storia sportiva si intreccia in maniera inequivocabile e singolare con la storia della sua vita. Le prime esperienze in kart, fino agli esordi in formula uno… sono il copione di una vita in salita fatta di successi e di traguardi: da campione d’altri tempi. È stato uno dei pochi piloti italiani che ha saputo esportare all’estero la purezza e la grinta dei campioni nazionali. Dopo Cristoforo Colombo, grazie alla formula kart ha conquistato l’America e gli Americani mettendo a segno, nel 1997 e nel 1998, due prestigiosi titoli della categoria. Poi l’incidente, il dramma, la disperazione e la rinascita: una sfida nei confronti della vita affrontata con la stoffa di un campione, con la testardaggine di chi si piega ma non si spezza. E poi, ancora il successo e, ancora una volta, alla guida di un bolide da competizione nel campionato Turismo con la BMW. Le sfide, per Alessandro Zanardi, sono soprattutto contro i luoghi comuni, le barriere mentali: ed è per questo che il suo agire è il prolungamento del suo pensiero. Un giro in pista in sella ad una moto, può trasformarsi in un allenamento mentale che travalica l’handicap e diventa forza, passione, competizione. Una passione, quella per i motori e per la vita che, spesso, diventa motivo di riflessione e di approfondimento nelle sue stesse autobiografie, che vedono al centro di tutto l’uomo e il campione”. (Fonte Wikipedia)

“Proprio quando mancano le idee, arriva una parola al momento giusto” (Johann Wolfgang von Goethe)

“Il suo agire è il prolungamento del suo pensiero”. Quindi, quello che pensi, poi, in qualche modo, puoi realizzare. Le risorse mentali: intanto cos’è accaduto a questo signore che un po’ di anni fa, durante una gara automobilistica, senza un motivo specifico, dopo essersi fermato ai box, per cambiare gomme e fare rifornimento, riparte e la macchina non ha più controllo, smette di accelerare e si ferma in mezzo alla pista, dove viene investita ad oltre 400 km orari. La sua autovettura viene distrutta, lo estraggono a fatica, dopo tanto tempo, dall’abitacolo; lo portano in ospedale, gli devono amputare le gambe e, quello che i medici trovano di particolarmente strano è che sia riuscito a sopravvivere nonostante nel suo organismo fosse rimasto soltanto un litro e mezzo di sangue! Qualcuno sostiene che, evidentemente, fosse arrivato un periodo della sua vita in cui qualche motivazione doveva essere venuta meno per cui, chissà! Un momento di distrazione, una riduzione di pressione sanguigna, insomma qualcosa che lo ha portato a estraniarsi da quello che stava facendo anche a costo di rimetterci la vita…

“Ma che sto facendo? Ma non lo so! Mi sto annoiando? Forse non vale la pena andare avanti!”

Qualunque cosa sia accaduta, probabilmente “quell’urto globale” che ha subito, lo ha spronato creando un effetto simile a ciò che, con un computer, si dice reset. Cioè, tu lo fai “ripartire”… se poi, il sistema è buono, riprende le attività, altrimenti non ci riuscirà e bisognerà formattarlo.

Per quanto concerne l’essere umano la formattazione, ovviamente, è impossibile. E allora, da dove la prendiamo questa energia? Dal fatto che, all’interno di ciascuna cellula, esistono delle caldaie che producono energia ad altissima densità e consentono il lavoro della cellula stessa, la sua duplicazione e la trasmissione di segnali che stimolano le cellule vicine a lavorare in sinergia, stimolando i tessuti che formeranno gli organi a creare una collaborazione con gli apparati: con il singolo apparato di cui fanno parte e con tutti gli altri apparati per un programma.

QUALE?

Mantenersi in vita al meglio possibile, il più a lungo possibile. È un po’ come quando un soldato viene istruito, in guerra, su quelle che saranno le sue mansioni e, a quel punto, si programma per riuscire a portarle a termine quale che siano le difficoltà, quale che siano le energie residue: si vede nei film, verrà colpito, si trascinerà, in quel momento non starà valutando che morirà per emorragia, non gli interesserà, nel senso che il suo progetto, il suo programma, il suo autocomando è di maggiore importanza.

E allora, come si fa a ripristinare le energie che ci consentono di andare avanti?

Bisogna andare a ripescare le motivazioni, quando ci sentiamo svuotati, perché evidentemente le abbiamo perse. Quante volte, vedendo il filmato di Alessandro Zanardi, ci domandiamo: “Ma come è possibile che un individuo, menomato, riesca a trovare spinta, forza per concedersi degli allenamenti fisici che noi tralasciamo?”

Ma perché li tralasciamo?

Perché siamo impegnati in altro.

È vero! È così!

Evidentemente “quell’altro” per noi è più importante di ciò che dovrebbe venire prima: il mantenimento e l’autoconservazione. Siccome è innaturale, più ci dedichiamo a “quell’altro” (che sia l’hobby, che sia il lavoro), tralasciando le cose più importanti più andando avanti genereremo delle crisi interiori che possono farci smarrire la via del corretto rapporto con noi stessi. Per riuscire a vivere bene, bisogna imparare a conoscere e rispettare una graduatoria di valori, per restare connessi alle Leggi di Natura e vivere, di conseguenza, nel migliore dei modi possibili.

“Invece di maledire il buio, è meglio accendere una candela” (Lao Tzu)

C’è un altro uomo, uno veramente speciale, che non si è arreso mai. La sua storia viene, in un certo qual modo, raccontata nel film “Invictus”, del 2009, di Clint Eastwood, interpretato da Morgan Freeman. L’opera è tratta da fatti realmente accaduti e la trama si sviluppa attorno agli eventi che ebbero luogo in occasione della coppa del mondo di rugby del 1995 tenutasi in Sudafrica poco tempo dopo l’insediamento di Nelson Mandela.

– “Dimmi Francoise qual è la tua filosofia della leadership? Tu come ispiri la tua squadra a dare il meglio?”

“Con l’esempio, ho sempre dato l’esempio per guidarli!”

“Questo è giusto! Si! Questo è sacrosanto! Ma come fare a renderli migliori di quanto loro credono di essere? È questo che io trovo difficile! Con l’ispirazione è possibile ma come facciamo a ispirarci alla grandezza quando niente di meno ci può bastare? Come facciamo a ispirare quelli che ci circondano? A volte io credo che la risposta sia nel lavoro di altri. Di solito, quando le cose si mettevano male, trovavo ispirazione in una poesia.”

– “Una poesia?”

“Una poesia vittoriana, sono parole ma… mi davano la forza di stare in piedi quando tutto ciò che volevo era lasciarmi andare. Però tu non sei venuto fin qui per stare a sentire un vecchio che parla di cose prive di senso!”

– “No, no! La prego, Signor Presidente! Ha molto senso per me! Prima di una grossa partita ché so! Di un test, sul pullman, andando allo stadio, non parla nessuno.”

– “Ah, ecco! Si stanno preparando!”

“Esatto! Ma quando sento che siamo pronti io chiedo al nostro autista una canzone, una di mia scelta che conosciamo tutti e insieme ascoltiamo le parole e ci aiuta.”

“Io ricordo, quando mi invitarono alle Olimpiadi del ’92 a Barcellona, tutti i presenti allo stadio mi accolsero con una canzone. A quei tempi il futuro, il nostro futuro, sembrava molto fosco ma a sentire quella canzone intonata dalle voci di quelle persone provenienti da tutto il pianeta mi fece sentire orgoglioso di essere sudafricano, mi diede l’ispirazione di tornare a casa e fare meglio e mi incoraggiò a pretendere di più da me stesso.”

“Posso chiederle che canzone era, signore?”

“Beh! Era una canzone che ispira chi l’ascolta. Abbiamo bisogno di ispirazione, Francoise! Perché per poter costruire la nostra nazione dobbiamo tutti cercare di superare le nostre aspettative!”

L’ispirazione è quella che ti crea, poi, la motivazione, indispensabile per ricordarti che stai facendo qualcosa che è giusto portare avanti. Nelson Mandela ha trascorso una vita in carcere. Come ha fatto a sopravvivere? Come ha fatto a non lasciarsi andare? E perché, una volta rimesso in libertà, ha avuto la forza di iniziare a portare avanti un programma di ristrutturazione sociale oltre che politica e, veramente, organizzativa.

Ogni giorno che ha trascorso privo di libertà è riuscito a trovare l’ispirazione per continuare; cioè, avrà detto a se stesso: “Io sono diventato un simbolo; più a lungo resterò in vita e starò qui dentro, più a lungo potrò stimolare gli altri a capire quanto è importante combattere contro le regole ingiuste; questo nobilita quello che io sto facendo all’interno di un luogo che per molti sarebbe insopportabile”.

La storia. Un evento che è l’insieme di tanti eventi che determinano il resoconto di un racconto, dandoti la possibilità di valutarlo per trarre ispirazione per tutto ciò che verrà. Ogni giorno è “farsi un giro in ciò che è stato” per metterti in condizioni di far si che ciò che accadrà ti possa vedere protagonista o, quanto meno, co-sceneggiatore, perché tu condizioni tutto quello che hai intorno.

Questa, riportata nell’immagine, è un’allegoria, capace di dare un senso morale che vada al di là di ciò che è stato scritto, partendo proprio dall’analisi di quello che è stato il messaggio di Jim Morrison.

Ti mostro la mia parte più intima. Ecco il concetto allegorico della pioggia.

Anche i momenti tristi, in realtà, sono bellissimi perché ci consentono di far venir fuori il meglio di noi quando, in altri momenti, siamo costretti a mascherarci, a nasconderci, a proteggerci e tenere lontano gli altri, anche contro le nostre intenzioni.

 E’ L’ORA.


È l’ora in cui s’ode tra i rami
La nota acuta dell’usignolo;
È l’ora in cui i voti degli amanti
Sembrano dolci in ogni parola sussurrata
E i venti miti e le acque vicine
Sono musica all’orecchio solitario.
Lieve rugiada ha bagnato ogni fiore
E in cielo sono spuntate le stelle
E c’è sull’onda un azzurro più profondo
E nei Cieli quella tenebra chiara,
Dolcemente oscura e oscuramente pura,
Che segue al declino del giorno mentre
Sotto la luna il crepuscolo si perde.

George “Lord” Byron (1788-1824)

 

INVICTUS – Sono il capitano della mia anima!

Dal profondo della notte che mi avvolge, buia come il pozzo più profondo che va da un polo all’altro, ringrazio gli Dei, chiunque essi siano, per l’indomabile anima mia. Nella feroce morsa dalle circostanze, non mi sono tirato indietro né ho gridato per l’angoscia. Sotto i colpi d’ascia della sorte, il mio capo è sanguinante, ma indomito. Oltre questo luogo di collera e lacrime incombe solo l’Orrore delle ombre; eppure la minaccia degli anni mi trova, e mi troverà, senza paura. Non importa quanto sia stretta la porta, quanto piena di castighi la vita. Io sono il padrone del mio destino; io sono il capitano della mia anima! (Ernest Henley)

COOL RUNNINGS – QUATTRO SOTTOZERO

Derice Bannock, atleta giamaicano, non riesce a superare (per un incidente in gara) la qualificazione dei 100 metri piani, alle Olimpiadi. A quel punto, dopo aver scoperto, incidentalmente, che il padre, anni prima, aveva tentato di creare una squadra di Bob che rappresentasse la Giamaica ai giochi olimpici, decide di provare a riuscire dove il padre aveva fallito.

Riuscito nell’impresa della qualifcazione alle Olimpiadi invernali di Calgary del 1988, inizia l’avventura per non giungere ultimi in classifica.

Dopo un pessimo inizio, i quattro atleti che compongono l’equipaggio del Bob, ritovano la fierezza e l’orgoglio e, liberi da timori reverenziali cominciano a guadagnarsi il rispetto di tutti. Purtroppo, nella gara decisiva, subiscono un grave incidente per la rottura di un particolare meccanico, fermando la loro corsa a pochi metri dall’arrivo. Nonostante l’accaduto, i quattro, malconci, tagliano il traguardo con il bob portato a spalla, fra gli applausi scroscianti del pubblico, commosso da tanta dignità.

Da questa avventura, è stato tratto un film diretto, nel 1993, da John Tuteltaub.

L’UMILIAZIONE

“Io mi sento molto olimpico, oggi! Voialtri no?”

“Uno sport che è praticato da atleti che sfiorano il pericolo, a volte oltre ogni limite ed è per questo che prevediamo tre giorni di grandi, entusiasmanti competizioni. E già il primo giorno, John cominciamo con la squadra favorita per la medaglia d’oro!”

– “Gli svizzeri hanno avuto la fortuna di entrare in gara per primi: sulla carta sono i grandi favoriti per l’oro; d’altra parte, i tedeschi dell’est vengono dall’oro vinto nell’84, i canadesi corrono in casa e sono favoriti anche loro, hanno fatto molto bene negli allenamenti.”

– “Partiti! Vi sembrerà strano ma qui tra i ghiacci e le nevi di Calgary, stà per scendere in campo la squadra della piccola isola di Jamaica! È già un miracolo che siano arrivati qui, sono sbucati fuori dal nulla e ci sono diverse squadre qui alla pista di bob che non vedono di buon occhio questi jamaicani!”

“Ehi!”

“Ehi! Ma che fai? La pianti? Si può sapere che ti è preso?”

“Gli svizzeri fanno così per concentrarsi meglio!”

“Beh, fanno anche la cioccolata al latte… ma perché lo dovremmo fare anche noi?”

– “Ok ragazzi! Tocca a noi!”

“Sta’ fermo! Piantala! Basta! Va bene?”

– “Ok! Andiamo! Coraggio! Ai vostri posti!”

“Pronto!”

“Pronto!

“Pronto!”

– “Partiti!”

– “Salite! Salite!”

“La squadra jamaicana affronta la sua prima gara olimpica e guardate che scena! Non riescono a salire sul bob! Mai visto niente del genere! C’è poco da ridere, lo spettacolo è sconfortante. Beh! Meno male, per un attimo ho pensato che non ce l’avrebbero mai fatta a salire tutti e quattro sul bob e sarebbe potuto finire in tragedia. L’importante, quando si sale sul bob è farlo con estrema scioltezza restando rilassati…impattano sulla parete come una pallina da flipper! Sembra che sia il bob a guidare il pilota! Gli atleti sembrano sballottati come bambole di pezza. È incredibile! Tagliano miracolosamente il traguardo con un tempo di 58″ e 4 centesimi: buono per l’ultimo posto!”

“Sapete! Quando gli svizzeri vogliono rilassarsi!”

“Ohhh!! La vuoi piantare con questi svizzeri del cavolo! Io dico che è proprio quella scemenza dello scimmiottarli, che ci ha fatto bloccare!

“Ehi! Sta’ a sentire! Io dico solo che dobbiamo partire con il piede giusto!”

“Beh! Il piede giusto per noi non è un piede svizzero! Lo vuoi capire, Dennis, che non dobbiamo copiare lo stile di nessuno? Abbiamo il nostro, di stile!”

“E tu lo chiami stile, baciare un uovo? Sono le Olimpiadi queste, non stiamo più a correre sui gokart a spinta!”

“Stammi bene a sentire, Dennis, non sono venuto qui per dimenticare chi sono e da dove provengo!”

– “E neanche io! Sto solo cercando di dare il meglio di me”

“Anch’io! E il meglio di me, è jamaicano! Senti! Io ti conosco da quando July Jaffries ti ha chiesto di farle vedere il pisellino e te lo dico da amico: se sembriamo jamaicani, camminiamo da jamaicani, parliamo da jamaicani e siamo jamaicani dobbiamo anche correre sul nostro bob da jamaicani!”

“Jamaica, siamo la tua squadra di bob! Nessuno ancora crederci potrà, Jamaica la sua squadra di bob avrà! Nessuno ancora crederci potrà, Jamaica: la sua squadra di bob avrà!”

 Da quanto osservato, si può concludere che, quando non si riesce ad ottenere quello che ci si aspettava… beh! O ci si è preparati male o c’è qualche errore nell’esecuzione! Quando ti identifichi in altri, per quanto gli altri siano dei vincenti, tu non sei quelle persone; per cui, quello che va bene a loro, con estrema probabilità non andrà bene a te e, soprattutto, non ha senso che ti identifichi in qualcuno perdendo di vista la tua identità.

Forse non vincerai?

Ma rispetto a cosa? Rispetto a chi? Rispetto al mondo esterno? Ma qualora tu dovessi vincere plasmandoti sulla personalità di altri, non saresti stato tu a vincere… ma il “fantasma” di qualcos’altro. È meglio raggiungere quello che sarà, qualunque cosa sarà… però da solo, con le tue forze! Senza dimenticare chi sei, perché sei lì e quanto ti è costato.

IL RISCATTO.

“Va bene signori, ora basta!”

“Rispetto!”

– “Rispetto!”

– “Rispetto!”

– “Andiamo!”

“Si, forza!”

“Siamo alla seconda possibilità per i quattro intrepidi giovanotti della Jamaica: qual è il tuo pronostico John?”

“Non credo che i jamaicani abbiano qualche possibilità di vincere una medaglia.”

“Signore! Falli andare meglio di ieri!”

“Pronti?”

“Pronti!”

“Via col ritmo, via col vento, Jamaica vince! Io me lo sento!”

“Partiti! Sembrano più veloci degli svizzeri. Però! Che cambiamento rispetto a ieri!”

– “Beh! Sono sorpreso anch’io! Ieri hanno cominciato a perdere colpi appena partiti, oggi sembrano scatenati. Ieri le loro teste ondeggiavano scompostamente a destra e sinistra; oggi si muovono quasi all’unisono. Ma è tutto vero quello che stiamo vedendo? Che differenza, superano volando la curva omega, sembrano imbardati: non è lo stesso equipaggio che abbiamo visto ieri!”

“Forza Jamaica!”

“Fantastico! Il loro tempo è 56 secondi e 53 centesimi!”

“Non sei l’unico ad entusiasmarti tanto! Credo che ormai tutti siano contagiati da una grave forma di febbre jamaicana.”

– “Si! Anche io!”

“Anche noi!”

“Rispetto!”

“Jamaica alla partenza! Con i tempi di spinta di cui sono capaci i nostri ragazzi potremmo anche vedere i jamaicani vincere una medaglia olimpica. Stanno per partire! Potremmo assistere ad un evento storico!”

– “ Via col ritmo, via col vento, Jamaica vince! Io me lo sento!”

“Partiti! Una partenza perfetta! Perfetta! Stanno letteralmente volando! Hanno rosicchiato un altro paio di centesimi alla partenza, stanno migliorando di gara in gara. Guardate come escono dalle curve! Senza scosse, è come se il pilota non avesse fatto altro da dieci anni a questa parte! Beh! Al diavolo! Forza Jamaica! Attenzione c’è qualcosa che non va… Ah!”

Una bella lezione su come ci si rialza dopo una caduta!

Accolti, in piedi, con l’applauso di tutti. Per restare nella storia, con l’onore delle armi. Caro lettore, qualunque sia la tua pena, non ha importanza quello che ti trovi a vivere in questo momento… l’importante è darsi da fare per continuare a far si che, tutto il tempo che avrai, fra te e la soluzione, o fra te e la “fine” di tutto, abbia un senso… e tu te lo sia meritato! A quel punto, qualsiasi cosa accadrà, anche se dovessi lasciare questa vita, lo farai fra gli applausi. In fondo, sarai meglio di un salmone, no?

Annalisa Minetti nasce il 27 dicembre 1976 a Rho, in provincia di Milano. A cinque anni inizia un corso di danza che, però, non durerà molto. Così, a quindici anni, aiutata dallo zio Michele che negli anni sessanta aveva intrapreso la carriera di cantante, scopre il mondo della musica e la grande possibilità di affermarsi come cantante. Comincia ad esibirsi nei pianobar tra Crema e Cremona proponendo cover di Prince, Ray Charles, Celine Dion e Aretha Franklin, sua cantante preferita. Nel frattempo, si iscrive a ragioneria conseguendo il diploma. Nel 1995, con i PerroNegro, partecipa a Sanremo Giovani. 1996. Anno in cui Annalisa viene messa a dura prova dalla vita: nella musica ottiene svariati rifiuti dalle case discografiche e, tra aprile e maggio dello stesso anno, le diagnosticano la retitinite pigmentosa e la degenerazione maculare (problemi che la portaranno a diventare, in tempi brevi, non vedente). Annalisa non demorde. Nel 1998 vince a Sanremo, con la stessa canzone (unico caso, nella storia del festival), “Senza te o con te”, in entrambe le categorie: “Big” e “Nuove proposte”. Dopo una serie di successi artistici, decide, contestualmente, di dedicarsi all’atletica leggera con l’intento di qualificarsi, nei 1500 metri piani, per i Giochi Paraolimpici di Londra 2012 e vincendo altri prestigiosi trofei nel 2015 e nel 2017.

È sembrato giusto concludere “La forza della vita” proponendovi la lettura e l’ascolto di una canzone di riscossa. Per non arrendersi. Mai.

 Cerco sulla radio la mia “onda del cuore”, gioco col mio gatto per sentire rumore, sono solo attimi… proprio difficili. Sola in questa stanza grigia senza colori, Laura sta cantando storie di strani amori, sono solo attimi… proprio difficili. Ti cerco nei miei mille pensieri, ricordo com’eri, ti perdo e non ti ho avuto mai. Senza te o con te, la mia vita è difficile ma non è finita; in salita, lo so… ma penso che ce la farò; senza te o con te io volerò. Senza te sento che, la mia vita, è difficile ma non è finita. Qualche cosa farò anche se poi sbaglierò, e senza te io volerò. Poi mi viene in mente una fotografia, immagini sbiadite della nostra allegria, sono solo attimi… proprio difficili. Ti cerco nei miei mille pensieri, ricordo com’eri, ti perdo e non ti ho avuto mai. Senza te sento che la mia vita,è difficile ma non è finita. In salita, lo so, penso che ce la farò, Senza te o con te io volerò. Senza te o con te sento che ce la farò. Senza te o con te io volerò. Senza te o con te.