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Ho scritto questo articolo il 24 novembre 2010 sotto forma di dialogo con la mia secondogenita Valentina la quale, all’epoca, al contrario della sorella Mariarita, non amava particolarmente studiare e, addirittura, era conosciuta e apprezzata, nei Social del tempo, per il fatto di considerare la Scuola come acronimo di Società Che Uccide ogni libero Alunno.

A differenza di qualche suo docente di allora, io sapevo che avrebbe apprezzato il piacere del Sapere. Si sarebbe dovuto, soltanto, attendere il Tempo giusto. Oggi, Valentina si è incamminata sulla strada dell’aiuto verso gli altri (studiando Medicina, all’Università) ed ha rivisto il “famoso” acronimo trasformandolo in Struttura Che Umanizza Ogni Lungimirante Allievo e sintonizzandosi, in tal modo con Mariarita che (sulla scorta della nonna omonima) ha deciso di fare della Scuola, una sua ragione di Vita e di Lavoro

BUONA LETTURA

Ogni tanto attraverso dei momenti in cui temo di non avere più nulla da dire o da scrivere. Forse perché non vorrei ripetere concetti già espressi, forse perché sono solo un po’ stanco…

Dimmi, quand’è l’ultima volta che ti sei fermato un po’? Dimmi, quand’è l’ultima volta che ci hai riso un po’ su? E quella volta che tuo padre era lì… o quando hai detto di no? Dimmi, quand’è che hai vissuto le piccole cose che fanno grande la tua vita? Dimmi, quand’è l’ultima volta che sei stato un po’ da solo, serenamente? Quando, per un amico avrei dato tutto di te… o l’ultima volta che hai ascoltato tuo figlio spegnendo quella tv? Dimmi, quand’è che ti sei divertito davvero? Prova a dirmi quand’è che hai gettato ogni dubbio nel vento! Dimmi, quando hai fatto più felice il bambino che hai dentro…e vissuto le piccole cose che fanno grande la tua vita? (Enrico Ruggeri)

Ora che ci penso… mi è capitato di attraversare uno di quei momenti che, dopo, non sei più lo stesso! E in quel momento, ho scoperto una delle donne più importanti della mia vita: Valentina! Già, capace di ascoltarti senza giudicarti, in grado di risponderti al volo, con poche parole, sensate. Che, dopo, non sei più lo stesso!

La mia vita interiore (quella di un tipo solitario, anche se immerso continuamente nel sociale) è sempre stata molto piena di Mariarita (una sorta di clone psicobiogenetico della mia persona) ma, come per incanto, nei momenti più… che non saprei definire… ho incontrato lei, la piccola, grande Vale. Eppure, tutto mi parla di Rita, le sue foto, i suoi lunghi discorsi, la sua prorompente personalità. I miei scritti, i miei pensieri.

Sono in debito con Vale ! E sono a corto di ossigeno mentale!

Ehi, papi, hai bisogno di una mano?

No, cioè, si… non so da dove iniziare… vorrei dirti di me, parlare con te, trasfonderti un po’ di quelle cose che, sento, possono cambiare l’andamento di una vita. Che, dopo, non sei più lo stesso!

Interessante, papi. Allora, sai che facciamo?

No!

Avvicinati, Papi!

Dove?

Vieni, vieni! Non aver paura di perderti, prova ad entrare nel mio mondo!

Scusa… ma, come si fa?

Prova a fare come me. Gioca un po’ con la vita! Chiudi gli occhi, su… respira… Secondo te, di cosa ho bisogno?

Di volare, come il gabbiano Jonathan Livingstone, che ha osato sfidare le leggi della fisica ed è andato più veloce di un falco, per dimostrare che, quando credi in te stesso, nulla ti è precluso.

Bene, ora sei pronto. Possiamo cominciare.

Che strano, Vale, temevo di non sapere individuare il bandolo della matassa. Ora scopro che io sono come te. Vivo costruendo ideogrammi caleidoscopici in cui perdermi, riuscendo a ritrovarmi. È cominciato quando avevo la tua età. E ho dovuto inventarmi una “sceneggiatura”. Il mio percorso di vita, quello di un ragazzo che non capiva perché avrebbe dovuto far finta di essere “sano” tentando di omologarsi per compiacere quello che, gli altri, si aspettavano da lui. E ha scoperto che, attraverso il rendimento scolastico, avrebbe potuto surclassare, dominare, difendersi… senza, però, imparare nulla! Eppure io sono come te, con tanta voglia di essere “logicamente libero di andare”, provando a perdermi, riuscendo a ritrovarmi.

Mettiti comoda, Vale, voglio “raccontarti” una storia, la mia storia. Seguendo un canovaccio particolare, però. Quello di un uomo che ha scoperto, che ha capito… il valore della conoscenza, attraverso lo studio che diventa un amico e non più un ostacolo.

Tendimi le braccia, Vale, che ti porto in volo con me.

Devi sapere che, molti anni fa (e precisamente il 28 gennaio del 2002), dopo una lunga esperienza in qualità di consulente psicologico scolastico, ho pubblicato un articolo col quale provavo a spiegare come si potesse fare pace con quell’applicazione della mente che (attraverso metodo e continuità) possiamo chiamare “studio”. A distanza di tanto tempo proverò a riproporlo a te, arricchito di esempi, per sottoporlo alla tua attenzione e al tuo giudizio.

In fondo a questa storia, ti porterò un esempio pratico, attraverso l’applicazione di quanto enunciato fino a quel momento (circa le varie tecniche), per provare ad indovinare la trama dettagliata di un romanzo, partendo dal nome dell’autore e dal titolo (in questo caso, alquanto vago). Tutto ciò per dimostrare che, con le giuste “coordinate”, si possono ottenere risultati che “sanno” di magia.

Molti dubbi sulla reale necessità di studiare hanno accompagnato il mio cammino di studente, dalle scuole elementari fino ad almeno i primi anni di specializzazione post laurea (che fatica!)

Non di rado mi sono domandato perché mai avrei dovuto sacrificare la mia giovinezza davanti ai libri i quali, a detta dei pragmatici convinti, non mi avrebbero procurato né pane né companatico.

Difficilmente potrò dimenticare la mia prima lezione di Anatomia Umana Normale all’università: il docente (un vero lupo mannaro…) ci avvertì subito del fatto che, per diventare medici, bisognava essere dotati anche di un fisico resistente perché, a causa delle tante ore da passare al tavolo per studiare, saremmo ingrassati notevolmente (forse per via di disfunzioni ormonali da sforzo!) e avremmo dovuto salutare, con biglietto di sola andata, molti dei nostri capelli!

Cara Valentina, anche se non sono proprio da buttar via, se guardi qualche mia fotografia di quando avevo poco più della maggiore età (e che ha fatto perdere la testa a qualche amica di tua sorella), posso dire di avere centrato abbastanza il primo punto e sono a buon punto per quanto riguarda il secondo…

Nonostante queste premesse, ogni tanto (veramente di rado!) mi accorgevo di provare gusto ogniqualvolta capivo quello che stavo studiando. Il mio problema principale, però, consisteva nel trovare una motivazione giusta allo stare tante ore sui libri (studére, studére… post mortem quid valére?).

Finalmente, dopo la laurea (meglio tardi che mai), attraverso il mio percorso di specializzazione ho incontrato un uomo (che tu hai conosciuto perchè te ne parlavo, quando eravate piccole, tu e tua sorella, raccontandovi la favola del saggio sulla montagna) che mi ha insegnato che studiare può non solo non essere frustrante ma, a certe condizioni, addirittura divertente!

Ho cominciato a costruire i miei libri, fatti di tanti disegni, con cui assemblare storie fantastiche. Il concetto di apprendimento, in questo caso, svolge un ruolo fondamentale: come potrai notare dall’immagine che ti mostro, per apprendimento, infatti, identifichiamo quel meccanismo operativo che consente di fornire informazioni al pensiero, per consentirgli di costruire idee. Questa operazione ricorda molto il trasferimento di dati tramite supporto esterno (floppy disc, Cd, DVD, pen drive, etc.) al computer, per istruirlo su determinati programmi .

A questo punto, cara Valentina, proviamo a porci la seguente domanda: “A che serve studiare?”. Secondo indiscrezioni, alcuni miei compagni di classe del liceo, per avere soddisfazione si sarebbero rivolti all’oracolo di Delfi!

Studiare serve ad impinguare il nostro conto corrente nella banca della psiche, per avere più valuta mentale da spendere nell’appagamento di bisogni e desideri. Ogni materia scolastica, per quanto apparentemente inutile è, invece, necessaria a sviluppare le nostre qualità mentali (ad esempio, l’Italiano aiuta lo sviluppo del pensiero; la Matematica e la Fisica, quello della logica e della capacità di capire; lo studio della musica contribuisce allo sviluppo ed alla esternazione dei sentimenti e così via…). Qualunque mente umana possiede, al momento della nascita, un potenziale di infinite possibilità.

Napoleone Bonaparte soleva dire: “Ogni soldato, nel suo zaino, porta un bastone da maresciallo”.

In ogni essere umano si cela un genio: è necessario rispettare i tempi di apprendimento, che sono personali e dipendono dall’ambiente in cui si vive (o da eventuali disfunzioni organiche) ed è indispensabile chiarire l’obiettivo che si vuole raggiungere.

Studiare sotto sforzo senza capirne la necessità, produce risultati modesti rispetto all’impegno profuso. Il motto dello studente felice e realizzato, dovrebbe essere: CAPIRE PER AGIRE!

Per entrare in maniera più tecnica nel discorso, utilizzerò, estrapolandola dal ricco contesto, la sintesi della metodologia di Giovanni Russo (medico psicoterapeuta, ricercatore e, come sai, mio maestro di vita) che ha consentito al sottoscritto di trasformarsi, un po’ alla volta, da studente sofferente in studioso “gustoso”. Per non appesantirti, ripeterò spesso alcuni concetti (quelli più importanti), nel corso della nostra “passeggiata”.

ALCUNE INDICAZIONI PRELIMINARI

  • Il nostro compito consisterà nell’imparare a studiare utilizzando al meglio le risorse del pensiero ed evitando di impegnarci al sopraggiungere della stanchezza o, peggio, della demotivazione.
  • Sarà importante ricordare di non avere premura: è necessario lavorare per gradi, come si fa quando si pianta un chiodo nel muro: la nostra mente ha bisogno di essere rispettata, studiando tranquillamente, senza fretta.
  • Studiare significa esercitare e sviluppare la mente.
  • Studiare tutti giorni per un tempo non eccessivo è preferibile alla concentrazione in tempi brevi perché, l’assorbimento in piccole dosi di materiale nuovo, favorirà la sua comprensione.

Applicazione della mente su qualcosa di motivazionalmente valido, con metodo e continuità: questo è ciò che i dizionari della lingua italiana, definiscono con il termine studio. Viene spontaneo concludere, quindi, che probabilmente, il rapporto fra noi e ciò che dobbiamo imparare (per scelta e necessità), possa essere meno sofferto di come crediamo (o ci hanno fatto intendere!).

Riflettiamo.

Ci hanno detto che bisognava studiare per “andare avanti”, per diventare qualcuno, per non rimanere ai margini di quel terreno di gioco che si chiama vita. Poi, però, ci siamo accorti del fatto che molti laureati passeggiano in attesa di prima occupazione

Dove sta la verità?

Il problema nasce dal fatto che, la nostra Società non è più in grado di assorbire nel suo ciclo produttivo, individui generalisti disposti a fare di tutto ma, in fondo, poco avvezzi a capire il concreto rapporto fra domanda specialistica e offerta flessibile ma autorevolmente in grado di soddisfare richieste sempre più specifiche.

Conclusione.

La risposta alle esigenze del ventunesimo secolo risiede in un’adeguata preparazione alla vita, senza la paura di “mettersi alla prova”, dopo essersi adeguatamente preparati, imparando ciò che serve grazie ad uno studio “agile”, utile e mirato.

Come si fa?

La cosa più importante, consisterà nell’imparare a studiare utilizzando al meglio le risorse della mente ed evitando di impegnarsi al sopraggiungere della stanchezza o, peggio, della demotivazione. Sarà importante ricordare di non avere premura: tranquillità e sicurezza nella riuscita, devono accompagnarci, sempre!

Lo studio si divide in tre momenti essenziali

Acquisizione dati: è necessario che sia uno studio attivo e consapevole.

Elaborazione (riflessioni di vario genere per costruire le idee di conoscenza): è uno studio che, tranne per le meditazioni approfondite, si determina anche mentre noi non ce ne accorgiamo.

Esposizione (nel momento in cui trasformiamo le idee in parole): richiede allenamento specifico mediante tecniche di comunicazione efficaci.

Fase dell’acquisizione dei dati

Quando si inizia lo studio di una nuova materia, diventa necessario soffermarsi adeguatamente sui vocaboli non conosciuti. Questo lavoro consente di creare, nella nostra memoria, dei ganci su cui poggiare i molti elementi della materia in questione: nel caso in cui si voglia appendere un quadro su una parete, il lavoro più accurato ( e, talvolta, difficile ) deve essere quello che consiste nel piantare il chiodo nel muro; su quel gancio (se è solido) potremo appendere ogni tipo di cornice. Nella nostra mente, i ganci sono rappresentati dai vocaboli, dalle idee base su cui appendere tutte le altre idee. Ogni volta che non si capisce quello che si studia, bisognerebbe interrompere la lettura ed analizzare la conoscenza dei vocaboli che si stanno leggendo e la presenza di eventuale stanchezza con conseguente demotivazione. Risolto questo aspetto, si determina la possibilità di capire ciò che si legge. A questo punto, possiamo affermare che, se imparassimo il significato di un vocabolo (con un lavoro non superiore ai 10 – 15 minuti), tutti i giorni della nostra vita, avremmo risolto il problema del leggere e capire riferito alla maggior parte delle nostra attività di interesse. Nel momento in cui, noi, avremo imparato un centinaio di vocaboli inerenti una materia specifica, lo studio di quella materia diventerà molto facile: infatti, dopo un po’ i vocaboli si ripetono.

Studiare tutti giorni per un tempo non eccessivo è preferibile alla concentrazione in tempi brevi perché, l’assorbimento in piccole dosi di materiale nuovo, favorirà la sua comprensione.

Regola base: La motivazione

Alla base del successo di ogni iniziativa, nella vita, esiste una triade fondamentale: Motivazione / Acquisizione di dati corretti / Allenamento per una messa in opera impeccabile.

Da non dimenticare

Pause ogni 20 – 30 minuti di lavoro (quello dell’apprendimento è il momento più stancante. Durante la fase della comunicazione, invece, si può lavorare anche per ore senza fermarsi).

Ora vediamo come si procede nello studio di un libro

Innanzitutto, bisogna leggere con attenzione il titolo (ovviamente!) e le definizioni dei capitoli e dei paragrafi (per cominciare a determinare una “ricognizione” mentale dell’argomento che affronteremo e di come l’autore ha deciso di spiegarlo.

Successivamente, all’interno del paragrafo scelto, per ogni pagina, è necessario individuare un periodo del testo in esame che sia sufficientemente breve (Verificando la conoscenza dei vocaboli del periodo in oggetto : se è il caso, ci si può fermare prima del punto.

Quindi, cerchiamo di leggere e capire, individuando le parole chiave (senza le quali non regge il senso del discorso), domandoci “cosa vuole dire quello che sto leggendo?”, ripetendo l’argomento in esame con parole proprie NON A MEMORIA (si può creare uno schema essenziale per ricordare solo le cose veramente importanti: le parole chiave)

Il risultato di tale lavoro porta alla comprensione di quello che si è letto, facendolo diventare patrimonio delle proprio mondo di conoscenze, in maniera chiara, così da poterlo ricordare al momento del bisogno. Si determina dopo avere capito bene e dopo avere ripetuto sufficientemente il concetto in esame. Avviene inconsapevolmente, soprattutto quando dormiamo.

Ehi, papi, sei sicuro di quello che dici? È davvero così semplice? Io comincio a stancarmi!

Hai ragione, Vale, è solo che mi sono un po’ lasciato andare. Prendila come una deformazione professionale. Per coinvolgerti nuovamente ti propongo una serie di disegni che ti spiegano come esporre in pubblico.

Nella fase dell’esposizione

Si deve tenere conto del fatto che quello che dici (il significato del contenuto) incide per il 7%, come lo dici (il significante del paraverbale: tono della voce, tempo, volume) incide per il 38%, come ti mostri mentre parli (il non verbale: la coloritura del temperamento, che fa trasparire sicurezza e coerenza) incide per il 55%.

Ultime raccomandazioni

La comunicazione di quanto abbiamo preparato, richiede una strategia opportuna, in grado di valorizzare ciò che sappiamo. Prima di parlare quindi, proviamo a dare delle risposte adeguate ad alcune delle seguenti domande:

Con chi devo parlare?

Cosa devo proporre?

Qual è il motivo?

Dove avverrà la discussione?

Quando avverrà?

Io, però, adesso sono stanca.

 Si, anch’io. D’altronde ti ho descritto, in poco tempo, quello che ho impiegato qualche anno per scoprire e applicare. Ma tu, però, rispetto a me, sei più giovane e più in gamba. Facciamo una pausa. Ti vado a preparare una colazione alla Jacob’s. Tramezzino gustoso, macedonia col gelato e un po’ di succo di frutta.

Si, va decisamente meglio! che ne diresti di una partita alla Wii?

Si… ma tanto sei imbattibile! Lo sai che facciamo? Ti lascio gli ultimi appunti sull’esperimento di cui ti parlavo all’inizio e, quando ne avrai voglia, gli darai un’occhiata.

Come se non ti conoscessi! Poi, così ci resteresti malissimo!

E si, un po’ si. E allora cercherò di raccontare al meglio che posso. Allaccia le cinture. Ora applicheremo il punto 1. dello schema precedente, per dimostrare cosa si può evincere (con l’aiuto di un dizionario enciclopedico) dall’analisi del titolo di un testo e dai dati ricavati da una ricerca riguardante l’autore del testo medesimo…

Aspetta, papi, voglio fornirti io il titolo e l’autore. Li abbiamo studiati a scuola: Rafael Sanchez Ferlosio – Il Vento e L’Olmo

Ma guarda che combinazione… mi è già capitato di lavorarci su, qualche anno fa… proprio una strana combinazione!

E in effetti lo sapevo. Cosa credi, lo leggo anche io il tuo giornale! Volevo solo vedere se racconti bugie… o sei corto di memoria! Comunque, spiegamelo lo stesso, perché non è che l’ho capito tanto bene.

Ah, per questo avevi quell’aria così sorniona! Va bene, ti mostro tutto il procedimento che ho seguito allora e che può essere applicato su altri libri. Il lavoro è stato eseguito su un testo riportato dall’antologia Un mondo da leggere – Nuova Italia editrice.

Rafael Sanchez Ferlosio – Il Vento e L’Olmo

ANALISI DELL’AUTORE

  • Ha scritto il romanzo nel 1952 : è, quindi un contemporaneo.
  • Dovrebbe essere un Castigliano o, comunque, un profondo conoscitore della Castiglia (parte centrale della penisola iberica pianeggiante, arida e brulla, dove gli abitanti si accentrano in grossi borghi rurali o in nuclei urbani distanti fra loro; colonizzata dai Romani e dai Celtiberi, di derivazione celtica, dove esiste una forte tradizione di racconti fantastici: spiriti, gnomi, misticismi vari, ed iberica dove è forte la tradizione picaresca: saltimbanchi, imbroglioni, zingari, etc.);fu unita, nel tempo, al regno aragonese.
  • Romanziere (Romanzo: opera letteraria che consiste nella narrazione di vicende umane che, ispirandosi alla vita reale, sono per lo più frutto della fantasia di chi scrive).
  • Saggista ( Saggio „³ opera in cui viene esaminato, approfonditamente, un determinato argomento).
  • Giornalista Politico

CONCLUSIONI

Si dovrebbe trattare:

  • di uno studioso che affronta argomenti in maniera approfondita (Saggista);
  • di un acuto osservatore della vita reale (Giornalista Politico);
  • di uno scrittore che, partendo da racconti di realtà, “spazia” con un ampio “respiro” verso un mondo di fantasia.

ANALISI DEL TITOLO

  • Vento: massa d’aria prevalentemente “laminare” e “orizzontale” , che si sposta da zone di alta pressione a zone di bassa pressione
  • Olmo : albero delle regioni a clima caldo – temperato, che si trova prevalentemente lungo viali o dentro parchi; ha delle foglie ovali con margine seghettato

CONCLUSIONI

Ci deve essere un rapporto fra il vento e l’albero: una massa d’aria laminare ed orizzontale (prevalentemente) che investe l’albero interessando le foglie, le quali potrebbero “idealmente” catturare un po’ di quest’aria che passa attraverso il margine seghettato delle foglie stesse.

COSA POSSIAMO RICAVARE

  1. Dovremmo trovarci di fronte ad un romanzo in cui, partendo da elementi reali (il vento e l’olmo), si dovrebbe raccontare qualcosa che sconfina nella fantasia della tradizione mistica del Nord Europa; è possibile che, durante la trattazione emergano temi riguardanti la ricerca di una dimensione interiore corretta (tradizioni celtiche e Newage).
  2. Teatro del racconto dovrebbe essere, con molta probabilità, la Castiglia.
  3. Dovremmo aspettarci scenari desertici, nuclei urbani e zone rurali, ma anche qualche zona di verde, dove trovare gli olmi.

Commento del romanzo, contenuto all’interno dell’Antologia di Italiano “Un Mondo da Leggere”, usata al Liceo Europeo di Cosenza [Tra parentesi, in maiuscolo e sottolineati, saranno riportati gli elementi previsti durante il lavoro precedente ed effettivamente ritrovati ]

Noto come romanziere, saggista e giornalista politico, Rafael Sanchez Ferlosio ha scritto, nel 1952, Imprese e vagabondaggi di Alfanhui, divenuto un classico della letteratura spagnola. Il libro racconta la scoperta del mondo (ELEMENTO DI REALTA’) da parte di un bambino che attraversa la Castiglia (ELEMENTO PREVISTO) in compagnia di vari animali (ELEMENTO DI FANTASIA). Si tratta di un viaggio in cui il bambino accumula una serie di esperienze che gli permettono di costruire la propria identità, diventando il maestro di se stesso (ELEMENTO PREVISTO). La sua capacità di intuizione e la sua sete di comprendere, gli consentiranno di cogliere aspetti delle cose che sfuggono agli occhi degli adulti (ACUITA’ DA GIORNALISTA POLITICO: ELEMENTO PREVISTO). La storia è un contenitore di tante storie in cui si intrecciano: fiaba, avventura, umorismo, fantascienza (ELEMENTO PREVISTO). Il romanzo riprende le antiche tradizioni picaresche (ELEMENTO PREVISTO) trasfondendole in un clima fantastico. Nel brano che presentiamo, un olmo imprigiona e libera i venti, per offrire frescura agli abitanti di un villaggio (ELEMENTO PREVISTO)

Cara Valentina, sembra proprio una storia scritta per te, che ami il mondo, la Natura, gli animali e il piacere della scoperta!

Sei stato simpatico e interessante. Ma adesso basta. Voglio restare un po’ da sola.

Hai proprio ragione. È importante darsi modo di riflettere. Anche quando sembra che non pensiamo a nulla. Cara vale, compagna dei tempi, nei tempi, per ogni tempo, ho pensato di trascriverti il testo di una canzone di Freddy Mercury. Me l’ha segnalata una acuta osservatrice che ti somiglia e che si chiama Emanuela. A te piacerebbe. Sono le ultime riflessioni di un uomo che si trova alla fine di una storia (quella della sua vita) che, al tempo stesso, può diventare un nuovo inizio.

Spazi deserti: per cosa viviamo? Luoghi abbandonati… scommetto che noi conosciamo la realtà dei fatti. Avanti e… avanti ancora. Qualcuno sa cosa stiamo cercando? Un altro eroe, un altro crimine insensato, dietro le quinte, nella pantomima. Dobbiamo resistere: c’è qualcuno che ce la fa ancora? Lo spettacolo deve continuare. Dentro, mi si spezza il cuore; il mio trucco si sta sciogliendo ma il mio sorriso indugia ancora…. Qualunque cosa succeda, lascerò tutto al caso. Un altro dolore, un’altra storia d’amore fallita… avanti e… avanti ancora! Qualcuno sa per cosa stiamo vivendo? Forse sto imparando. Devo addolcirmi, ora… presto girerò l’angolo… Ecco, adesso! Fuori sta sorgendo il sole ma, dentro, nell’oscurità, soffro per essere libero. Lo spettacolo deve continuare. La mia anima è dipinta come le ali di una farfalla; le fiabe del passato cresceranno ma non moriranno mai… riesco a volare, amici miei! Lo affronterò con un ghigno, non mi arrenderò mai. Avanti con lo spettacolo! Sarò l’attrazione principale, esagererò; devo trovare la volontà di andare avanti!” (Freddy Mercury)