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Uno schermo protettivo. Faccio di tutto per trovarne uno che mi copra interamente, senza lasciare il minimo spiraglio a respirare. Ma sono io a cercarlo per indossarlo oppure vengo dolcemente invitata a…?

Propongo una fuga dal lucernaio più alto, la via meno facile.

Mi guardo intorno. Oggetti a me familiari, sento però che non mi appartengono.

Persa. Dopo tanto, punto e a capo. Oppure al cuore del problema?

Tutto quello che porto con me!

Con cura lo sistemo nella borsa dei pensieri e, nel mio caos virtuale, provo a dare un ordine ad ogni cosa. Sistemate a seguito dell’importanza che rivestono, facili da afferrare, in modo da essere prendibili al momento giusto e, prima che le difficoltà che accompagnano spesso le mie emozioni, mettano un freno. Creando un movimento all’interno difficilmente gestibile.

Le lacrime che non liberano.

Sbircio senza troppo sollevarmi e vengo avvolta da un’alba di colori smaglianti di dolcezza. Arrivano a me quasi ad accarezzare, stimolando la creatività e la voglia di portare tutto fuori. Anche le lacrime che non danno libertà.

Riprovo, a distanza di pochissimo tempo, la stessa sensazione di amaro abbandono.

Sola. In un luogo dove ho sempre pensato di essere in compagnia di me stessa. Di tutto quello che compone il mio spirito e la mia mente, senza paura di arrivare in qualsiasi angolo nascosto.

Il fuoco del giorno dopo: spento e un po’ bagnato. Non c’è più la scintilla che brucia, ha perso la brace che arde.

Scavo nella memoria dei ricordi e trovo finalmente la motivazione che mi ha sospinto in questo tempo.

Le stagioni trascorse. Autunni di malinconia e di equilibrio frantumato, inverni di riscoperta e di rinascita, primavere smaglianti di colori, ma preludio ad estati di fuoco, roventi.

Un istante di smarrimento. Cerco di afferrare quello di cui ho bisogno. È nelle leggi di Natura, a dispetto di tutto e di tutti, senza urtare ma rispettando.

Una espressione di dolore sul mio viso annuncia le lacrime sul mondo. Quelle che vengono fuori spesso, non tutti riescono a vederle. Le libero, condividendo il profondo dispiacere che accompagna loro. Non è così semplice definire chi si sposta un po’ più in là, chi sistema intorno a se un bel recinto invalicabile, chi porta una difficoltà da cui non riesce a separarsi.

Troneggia, fra i rami neri ed ormai secchi dell’inverno che sta per arrivare. Si regge a fatica, fra i suoi petali che la sostengono verso l’alto, a voler raggiungere il cielo. Rossa, di forte contrasto col contorno in cui si trova immersa. E’ l’unica e la più bella, e mostra una tale delicatezza che la lascia vedere per quello che è.

Luce soffusa si espande nell’ambiente, riposando su ogni oggetto, adagiandosi sulle cose avvolgendole di un colore quasi innaturale. Un odore unico, misto di varie fragranze che assumono le sembianze delle voci che si propagano all’interno. A volte l’aria è troppo densa, troppo piena di parole, troppo carica di emozioni, troppo satura di slanci.

Tutto quello di cui ho bisogno. Senza pretendere, al contrario nel tentativo di afferrare ciò che potrebbe trasferire sicurezza, tranquillità, del calore.

Il freddo. Sento freddo ancor prima di avvertirlo sulla pelle. Una smorfia di dolore si disegna sul mio viso. Sono stanca per fuggire, mi fermo ad ascoltare il battito del cuore.

In punta di piedi mi aggiro negli ambienti a scoprire la dolcezza. Che ritorna.

Fernanda (20 novembre 2010)

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