Pubblicato su Lo SciacquaLingua
Mai, come in questi ultimi anni, un vocabolo della nostra lingua è stato piú adoperato dai massinforma (mezzi di comunicazione di massa) per mettere in evidenza il malcostume che ha imperversato (e imperversa) nel mondo politico: la corruttela (con corrotti e corruttori, ovviamente).
Ma non è di questo esecrabile fenomeno che intendiamo parlare, non è questa la sede adatta e non è nostro costume invadere il campo di sociologi ed esperti vari. Vogliamo parlare della “nascita linguistica” del corrotto. Se, come il solito, apriamo un qualsivoglia vocabolario alla voce in oggetto leggiamo: “scostumato, viziato, infetto, impuro”.
La persona corrotta, quindi, è moralmente “infetta”, vale a dire che il suo animo è stato “guastato”, “infettato”, “disfatto” – naturalmente in senso figurato – perché “corrotto” non è altro che il participio passato derivato dal verbo latino “cum-rumpere” (’corruptus’, corrotto) che vale “guastare”, “disfare”. Il corrotto, però, non sempre è… corrotto.
E ci spieghiamo.
Nei tempi andati – e parliamo di secoli – con il termine corrotto si intendeva il pianto “ad hoc”, il lamento funebre che i parenti del morto “recitavano” davanti alla salma. Questa usanza è spiegata magistralmente dal Boccaccio nell’introduzione al “Decamerone”: “le donne, parenti e vicine, nella casa del morto si ragunavano, e quivi, con quelle che piú gli appartenevano (cioè con le parenti strette del defunto, ndr) piangevano…”. Lo stesso pianto che nel mondo latino ’emettevano’ le prèfiche (o piagnone), con una differenza: il lamento funebre era a pagamento. Le donne dei tempi del Boccaccio facevano quell’ufficio, invece, gratuitamente: chi per mera compassione, chi per voglia di curiosare. Questo pianto, dicevamo, ebbe il nome di “corrotto”, cioè di “animo rotto”, “disfatto”, “spezzato” e deriva, appunto, dal verbo “cum-rumpere”: guastare, disfare, corrompere.
Con il passaggio, per tanto, dall’idea di corruzione all’altra di agitazione, di tormento. Il Tommaseo, a questo proposito, azzarda l’ipotesi che il termine (corrotto) altro non sia che la… corruzione linguistica di “corruccio” (sdegno, irritazione, rabbia repressa), come dal latino ’Cruce’ si è fatto il termine… corrotto ’Croce’.
Ma non finisce qui.
Per estensione il “corrotto” era anche colui che indossava abiti neri, luttuosi, tanto che si diceva “vestire il corrotto”, come oggi si dice – anche se l’usanza sembra tramontata – “mettersi il bruno o il lutto”.
Il corrotto moderno oggi piange solo quando varca le soglie delle patrie galere; non sappiamo, però, se è un pianto… corrotto, cioè “ad hoc” o un lamento sincero di pentimento per aver… corrotto, cioè infettato il suo animo.
A cura di Fausto Raso ( 3 Marzo 2019)
Giornalista pubblicista, laureato in “Scienze della comunicazione” e specializzato in “Editoria e giornalismo” L’argomento della tesi è stato: “Problemi e dubbi grammaticali in testi del giornalismo multimediale contemporaneo”). Titolare della rubrica di lingua del “Giornale d’Italia” dal 1990 al 2002. Collabora con varie testate tra cui il periodico romano “Città mese” di cui è anche garante del lettore. Ha scritto, con Carlo Picozza, giornalista di “Repubblica”, il libro “Errori e Orrori. Per non essere piantati in Nasso dall’italiano”, con la presentazione di Lorenzo Del Boca, già presidente dell’Ordine nazionale dei giornalisti, con la prefazione di Curzio Maltese, editorialista di “Repubblica” e con le illustrazioni di Massimo Bucchi, vignettista di “Repubblica”. Editore Gangemi – Roma.