“Vivere non è difficile potendo poi rinascere, cambierei molte cose un po’ di leggerezza e di stupidità. Fingere tu riesci a fingere quando ti trovi accanto a me, mi dai sempre ragione e avrei voglia di dirti ch’è meglio se sto solo… Ma l’animale che mi porto dentro non mi fa vivere felice mai si prende tutto anche il caffè mi rende schiavo delle mie passioni e non si arrende mai e non sa attendere e l’animale che mi porto dentro vuole te. Dentro me segni di fuoco è l’acqua che li spegne se vuoi farli bruciare tu lasciali nell’aria oppure sulla terra”. (Franco Battiato)
C’era una volta un circo..
..ma non si trattava del classico circo che ognuno di noi immagina, era diverso: si pieno di animali, però animali particolari.. non teneri e sfruttati, bensì malvagi e insensibili; avevano il dono della parola, ma non il dono di riflettere prima di parlare!, perché richiedeva loro troppo impegno; provocavano, in tal modo, un’iperbolica espansione di continui litigi. Pronti nello scattare, disinvolti nel raggirare, capaci nell’aggredire, abili a sbranare, coordinati nel ferire; ogni bestia metteva in scena il proprio numero in base alle predisposizioni che la contraddistinguevano.
Amavano sfilare inconsapevoli del fatto che parate, mostre ed esibizioni di cui bramavano fare sfoggio non deliziavano affatto il pubblico intervenuto; anzi: stimolavano un malessere triste e desolante, che andava diffondendosi sempre più, esortando gli spettatori a perdere fiducia l’uno nei confronti dell’altro e provocando, addirittura, moti di ribellione profonda. Era un pubblico ingenuo e ignaro del desolante spettacolo a cui avrebbe assistito e che, dopo la visione, diceva tra sé e sé, “ci vorrebbe una scossa, un terremoto delle coscienze” così da spingere quegli animali a consapevolizzare lo sconfortante sfoggio!.. Il dato era lampante agli occhi dell’esiguo pubblico, colpito da una delusione cocente mentre quelle bestie esultavano e gongolavano soddisfatte..
I numeri rappresentati durante le esibizioni a volte facevano rabbrividire coloro i quali assistevano e, rappresentazioni che pareva portassero ad una evoluzione sfociavano, alla fine, in una misera visione; ecco: quella miseria, quella povertà dell’animo aveva, oramai, preso dimora sotto quel tendone.
Nel circo, oltre gli animali, non vi erano artisti, ma clown e domatori.
I clown.. taluni bizzarri e divertenti, altri sbadati e con la testa fra le nuvole e altri ancora.. malinconici e scoraggiati, a volte perfino infelici; il gigante sorriso truccato sul volto faceva ridere e divertire gli spettatori e anche gli animali; essi, però, ritenevano ciò penoso, perché conoscevano bene il proprio dolore e anche quello di alcuni degli animali in cattività, ma non potevano far niente per cambiare ciò che loro feriva.. forse, se lo avessero desiderato col giusto fervore, avrebbero potuto imparare a vedere il bello anche nello spiacevole. Purtroppo, avvolti dal loro vittimismo, non riuscivano ad aprire le porte delle prigioni in cui si sentivano rinchiusi, consapevoli di averne in tasca le chiavi, ma incapaci di sfilarle per poterle infilare nelle serrature.
Insomma, lungo la pista, sotto gli occhi di attoniti spettatori sfilava la “fiera delle fasi transitorie“, dalle più semplici alle più tortuose; purtroppo spesso non erano così “transitorie”, quindi non momentanee..
I domatori.. non ammaestravano solo i leoni, ma tutte le specie presenti. Erano i leaders dell’intera arena. Davano il buon esempio, insegnando a compiere piccoli passi veicolati al raggiungimento di messaggi maturi da comunicare, concedevano momenti di aggregazione che potessero portare ad una crescita culturale e ad un desiderio di arricchirsi, circondati da chi, però, non riusciva proprio per niente ad “imitarli”.
Se ne ricercava l’appoggio e li si corteggiava in tutti i modi, ma il divario tra i domatori e tutto il resto era smisurato.
Ognuna delle feroci bestie sapeva che anche una minima azione l’avrebbe potuta avvantaggiare rispetto ad un’altra bestia feroce, dato che, in fondo, questo cercavano: la gara e.. la vittoria, tramite ogni piccola chance, si giocava al trasformismo, fingendo di formare in loro una “coscienza”.
Gli esperti domatori non avevano difficoltà ad interagire con le bestie feroci seppur queste inscenassero di continuo numeri rischiosi che mettevano a repentaglio la sorte dello spettacolo. Durante gli esercizi, lo scopo dei domatori era “ammaestrare” per preparare e istruire, “addomesticare” per rassicurare e addolcire, ma spesso – troppo spesso – gli animali (ignari del concetto di moderazione) non erano in grado di controllare l’aggressività negativa che portava loro ad essere convinti, boriosamente e saccentemente, di essere superiori a coloro che costituiscono una fonte di pericolo presunto. Probabilmente perché non abituati a vivere in una condizione di distensione dell’animo, e privi, in alcuni casi, di una seppur minima grazia nel modo di porsi, erano presi solo dal desiderio di far bella mostra di alcuni aspetti del loro comportamento, ricorrendo all’esposizione di concetti quali l’autostima e l’autoaffermazione quando, in realtà, la principale qualità che caratterizzava loro era l’orgoglio (sentimento procedente da eccessiva stima di sé e poca o nessuna degli altri)!
Si evince, a questo punto, che ciò di cui ho raccontato non ha nulla a che fare con la tradizionale cultura circense e che questa “favoletta” non avrà, forse, un lieto fine. Si tratta, “semplicemente”, di una visione, di alcuni spaccati di società, elaborata da chi scrive e osserva, in questo momento, da una deludente angolazione; da chi crede che ognuno di noi ha dentro “un animale che lo rende schiavo e che non si arrende” (come narrava un cantante), da chi pensa che cambiare è possibile, ma raro..
“Anche se… metto il dubbio nei pensieri, combatto con la voglia di racimolare la saggezza e la necessità di liberare l’istinto, slegarlo senza trascinarsi dietro i sensi di colpa. Mi posiziono un po’ più in là, aspetto con pazienza e cercando l’equilibrio mi ritrovo a sbandare nelle curve” (Fernanda Annesi).
(11 maggio 2008)