Questa settimana, ci siamo impegnati per spiegare nella maniera più chiara come si “digeriscono” i fastidi lavorativi, quelli relativi al “gravame” familiare e quelli che derivano dalla difficoltà di impegnare correttamente il proprio tempo libero.
Continua, dopo la pausa estiva, il dialogo fra l’analista e la misteriosa avvocatessa, per capire la vita e renderla più agevole.
Come si fa a metabolizzare quotidianamente le tossine che si assorbono, tenuto conto anche del fatto che una persona che non ha un grado sufficiente di maturità non riesce ad usare sempre, o usa in parte, le griglie di protezione di cui mi hai parlato negli incontri precedenti? Quali accortezze è opportuno mettere in atto tutti i giorni, per “digerire” i fastidi accumulati?
Per attuare quello cui ti riferisci, bisogna mettersi in condizione di utilizzare prevalentemente l’aspetto razionale, quello neutrergico, della propria mente; in questo modo si riesce meglio a valutare l’entità, del fastidio prodotto dagli ostacoli della vita. Quante volte mi capita di ascoltare lamentele di persone che dicono di sentirsi insoddisfatte, irrealizzate perché, durante il mese di agosto, non possono fare una crociera o recarsi in un villaggio turistico per mancanza di disponibilità economiche. Ecco, anche queste sono frustrazioni del vivere quotidiano ma, se queste persone riflettessero, rendendosi conto anche di ciò che sono riuscite a realizzare nell’arco di un anno, anche dell’ultimo semestre e di quante cose positive possono disporre (buona salute, serenità familiare, etc.), non si lamenterebbero di non riuscire ad andare in vacanza perché si renderebbero conto che rispetto all’anno precedente hanno, magari, privilegiato investimenti legati ad esperienze di vita, a formazione personale, a miglioramento del proprio lavoro o della propria casa, rispetto alla spesa di una vacanza. Quindi, applicando ciò che ho detto all’inizio, questo fastidio verrebbe assorbito meglio perché riconosciuto come derivante da mancato appagamento di desideri e non di bisogni importanti.
Le frustrazioni, per poter essere risolte, vanno prima riconosciute (stabilendo qual è il motivo determinante) e accettate (senza negare di avere il problema) per potere essere assorbite e poi metabolizzate. Perché assorbite? Perché se già tu, a livello inconsapevole, non accetti che un determinato evento ti abbia potuto produrre un fastidio, non puoi neanche lavorare per risolvere dentro di te le conseguenze di questo fastidio. Nel momento in cui accetti l’idea che una cosa, anche se di poco conto ti abbia potuto produrre un disagio, allora puoi attivarti per digerirla per risolverla. Con l’esempio di prima ti ho dimostrato come si può risolvere una frustrazione da mancata vacanza. Per te può sembrare di poco conto, ma molta gente, di questi tempi, va in crisi per questo motivo.
Magari, più che per la mancata vacanza forse, si può andare in crisi se non si riescono a trovare le condizioni, anche nel luogo di residenza o in una casetta fuori città – se posseduta-, per rilassarsi, per godere di momenti piacevoli.
Ti faccio presente che, per godere momenti piacevoli, non è indispensabile andare in questa casa fuori città, perché basterebbe riuscire a godere del tempo libero, del tempo in cui non vai ad espletare un’attività lavorativa che, dopo un anno, ti ha intossicata, anche se è stata piacevole. Basterebbe riuscire ad apprezzare il tempo da trascorrere con se stessi già per essere soddisfatti; inoltre si potrebbe impegnare questo tempo per recarsi in un posto dove non si è mai stati, o dove non si è stati da tempo. Chi può permettersi di andare in montagna, anche per una giornata, e godersi quella giornata, di tutti i momenti che può dare un viaggio in montagna, con i panorami, con gli aromi, con i suoni, con la possibilità di esperienza toccando l’erba, camminando a piedi scalzi sul prato, o, come dice qualcuno, abbracciando gli alberi, per ricaricarsi. E, in definitiva, chi, con la macchina, col treno, con un autobus, non può permettersi di andare un paio di volte alla settimana in montagna, a meno che uno non abiti nella pianura padana e debba fare parecchi chilometri? Comunque, anche in quel caso si potrebbe andare al mare e fare un’esperienza simile a quella della montagna. In definitiva, non è cosa fai a renderti felice, ma come lo fai.
Se io rimango sempre nello stesso ambiente che mi ricorda il lavoro, nella casa dove vivo tutto l’anno, che è anche il luogo di lavoro, posso lo stesso rilassarmi o è necessario passare qualche giornata – o delle ore- in un ambiente diverso?
Dipende dalle tue effettive condizioni globali, perché se tu mettessi a disposizione casa tua, in cui passi molto tempo anche per lavoro, a chi casa non l’ha mai avuta, puoi star tranquilla che si troverebbe benissimo, nel mese di agosto, in città e non si lamenterebbe di non essere potuto andare in montagna o al mare. Tu già hai questa condizione di partenza, quindi cerchi qualcosa di diverso, perchè l’abitudine ti crea noia; il tuo problema deriva dal fatto che ti puoi permettere anche la noia perché, in definitiva non hai l’assillo di doverti procurare i soldi che ti servono a mettere insieme un pasto. Cioè la noia è un lusso, che non tutti si possono permettere.
Ma più che noia è il fatto di stare in un ambiente che ti ricorda sempre il lavoro!
Siamo d’accordo, ma rifletti su questo: per produrre questo disagio, vuol dire che hai un posto dove vivi e dove lavori, al punto da essere appesantita; se tu ti ritrovassi un solo cliente ogni anno non avresti questa difficoltà!
Ma io, più o meno vivo delle difficoltà lavorative simili!
Ecco che ti manifesti in tutto il tuo “splendore” disfattistico. No, non è così! Tu hai del lavoro, solo che ti pagheranno chissà quando, ma, comunque, esplichi una notevole attività professionale: cerca di non farti intenerire e…non lavorare più gratis! Il tuo problema consiste nel non sapere come creare i presupposti per un corretto rapporto professionale che preveda una giusta ricompensa, ma non ti manca lavoro. Allora, riflettendo su quello che ti ho detto, già la frustrazione, cioè il fastidio che provi di fronte a quest’ostacolo, viene affrontata in maniera diversa. Tu hai a disposizione un’automobile con cui ti puoi recare, tutto sommato, dove vuoi. Ma se ti porti “l’inferno” dentro, anche se avessi un jet privato, ti schianteresti contro un grattacielo, com’è successo a Milano, pur di farla finita. Ecco cosa significa metabolizzare le frustrazioni del vivere quotidiano.
…E qualche altro esempio, oltre alla vacanza?
Tutti quelli che vuoi. Il vivere quotidiano può determinare:
- frustrazioni lavorative (e di questo ne abbiamo parlato ampiamente);
- frustrazioni familiari (e, di questo se vuoi, ne possiamo parlare ancora se ci rifletti un po’ e mi fai domande);.
- frustrazioni relative alla difficoltà di impegnare correttamente il proprio tempo libero (e, di questo, ne stiamo parlando).
Quale settore vuoi affrontare in maniera più approfondita?
Le frustrazioni familiari, durante l’anno riesco a gestirle bene perché frequento poco genitori e sorella (che mi procurano tanti problemi); nel periodo estivo le frustrazioni aumentano perché li vedo un po’ di più andando ogni fine settimana al mare, seppure mi ci fermo poco perché vado lì il sabato pomeriggio tardi e la domenica pomeriggio già ritorno in città. Però anche lì vorrei trovare il modo per godere degli aspetti positivi, perché mi piace stare al mare, dove riesco anche a studiare bene. Perché non godere di quegli aspetti solo perché i miei familiari sono così fastidiosi? C’è un sistema per avere meno disagi?
Quello che mi hai descritto, è un ambiente da frequentare poco. Man mano che tu andrai avanti nel tempo, negli anni, costruendoti un’attività sempre più gratificante e ponendo le basi per un buon rapporto di coppia e, quindi, per una tua famiglia, non ci penserai più ai fastidi che ti può dare la famiglia d’origine perché, in te, inciderà molto di meno…avrai altro di cui occuparti.
Ma loro saranno sempre così, forse peggio.
Ma incideranno di meno perché le tue attenzioni saranno rivolte altrove. Incideranno molto di meno di quanto incidono oggi come importanza.
E, al momento, quando ci sto, oltre a ridurre il tempo, cosa posso fare?
Pensare ad altro.
E quando parlano e ripetono le stesse cose fastidiose?
Ti alzi e te ne vai, perché il troppo è troppo per chiunque. Infatti, tu dovresti andare lì da loro non per riposare (questo dovresti farlo altrove) ma pensando di impegnarti in un’attività lavorativa; per stare dai tuoi senza che ti saltino i nervi, ci devi andare come se fosse un lavoro, applicando le stesse regole di cui ti ho parlato nelle puntate precedenti.
Nella gestione quotidiana bisognerebbe dare più spazio a se stessi perché bisognerebbe trascorrere con se stessi l’80% del tempo e dell’energia. Nel momento in cui si ha un partner e poi anche dei figli, si può ancora fare?
Certo!
Come si fa a passare l’80% del tempo con se stessi se bisogna dare del tempo anche al partner ed eventualmente anche ai figli? E come si fa a conciliare l’esigenza di stare soli con se stessi con quelle comuni della famiglia e con quelle di ciascun componente?
Rifacciamoci all’esperienza, al momento storico che stiamo vivendo io e te: oggi è il 2 agosto 2002 e sono le ore 16:40, siamo in questa stanza a parlare. Mentre tu parli io ascolto per riflettere su ciò che dici e stabilire cosa risponderti ed in che modo, seguendo le regole di una comunicazione corretta. In questo frangente io sono immerso nella mia identità, sono a colloquio con me stesso. Posso farlo perché mentre tu mi parli io capisco velocemente il contenuto essenziale del discorso che mi proponi e trovo delle soluzioni ai tuoi quesiti diretti e indiretti. Dal punto di vista percentuale sarò a colloquio con te il 18-20%, per il resto io, se voglio fare un buon lavoro, ho bisogno di riflettere molto, quindi “dialogherò” con me stesso. A volte per riuscire a riflettere meglio guardo l’acquario quando parlo perché così, mentre tu molte volte ripeti con parole diverse lo stesso concetto, io un po’ ascolto te, un po’ mi approfondisco nella meditazione utilizzando un tipo di attenzione fluttuante nei confronti di ciò che tu dici, anche perché, sulla base di parametri che man mano vado a verificare, mi accorgo che a volte, come oggi, hai bisogno di sfogarti. Allora non devo porre la massima attenzione su ogni parola, ma semmai sull’energia contenuta nella parola; in questo momento mi sto accorgendo che c’è un alto tasso di aggressività e rifletto su quello che devo dire. Man mano che mi rendo conto che il tasso di aggressività diminuisce allora mi preparo a risponderti perchè so che stai esaurendo il bisogno di sfogarti e quindi comincerà ad attivarsi in te il bisogno di ascoltare delle risposte. Quindi vuol dire che in un’ora, gran parte del tempo lo passo con me e, in seconda battuta, nel dialogo con te. Più o meno, la stessa cosa vale per te.
Ma bisogna allenarsi per arrivare a questa condizione?
Bisogna allenarsi per rendersene conto, perché di fatto accade! Solo che sono poche le persone che se ne rendono conto. Mentre tu parli, lo fai per il bisogno di sfogarti, di mettermi a conoscenza di fatti tuoi problematici, ma se avessi bisogno esasperato estremo di parlare esattamente con me e della mia massima attenzione, mi “reclameresti” nel momento in cui io guardassi altrove, alzando la voce o muovendoti sulla poltrona, quindi anche a livello inconsapevole. Se non lo fai vuol dire che comunque appaghi il tuo bisogno di sfogarti e, in definitiva, lo fai per te, per la tua identità e sei, prima di ogni cosa, a colloquio con te stessa. Anche tu nell’arco di un’ora, per più dell’80%, dialoghi con te stessa ad alta voce. Partendo da quest’esempio possiamo andare a valutare ciò che accade nel mondo del lavoro, in famiglia, nel rapporto con gli amici, durante la realizzazione di un hobby o di un’attività sportiva qualunque. Con lo stesso principio, si sta in famiglia: ad esempio, si sta pranzando col partner o coi figli? Bene, ascoltando discorsi o facendo discorsi vale sempre la regola di prima: innanzitutto dialoghiamo con noi stessi e poi con gli altri. Sono pochi i momenti in cui effettivamente noi dialoghiamo con gli altri. Anche in questo frangente in alcuni istanti mi guardi con maggiore interesse ed io rispondo con lo sguardo. Sono quelli i momenti in cui dialoghiamo nell’individualità, per il resto io ti comunico dei messaggi e tu li prendi e rifletti mentre io parlo, perché se tu, mentre io parlo, non riflettessi, non capiresti nulla. Prova a guardarmi e ad osservarmi mentre io parlo e ripetimi quello che ho detto. Ci riesci? Non ci riesci perché hai già perso concentrazione. Allora vedi che quello che ti dico è vero?
Sì, però questo vale nei momenti che si trascorrono insieme in cui si dialoga, ma se nella giornata si dovrebbero trascorre 8 ore a dormire, 8 a lavorare ed 8 per tutto il resto…
Flessibilmente perché tu puoi avere bisogno di dormire 10 ore un giorno e 6 ore un altro, così come non tutti i giorni lavori 8 ore; ci sono dei giorni in cui lavori 4 ore e giorni in cui non te ne bastano 12. Quindi anche questo è flessibile. Di conseguenza in una giornata in cui ti è bastato dormire 6 ore e non dovevi lavorare più di 4, hai ancora 14 ore a disposizione. In 14 ore puoi stare a contatto col partner, con i figli, con la famiglia, puoi programmare un viaggio, puoi andare a fare sport, puoi fare un sacco di cose. Il giorno in cui lavori 12 ore o più ed hai bisogno di riposare, in quel momento chi ti sta intorno collabora per darti una mano (almeno così dovrebbe avvenire fra persone corrette e mature!).
E come si fa a conciliare le esigenze proprie con quelle della famiglia? Ad esempio, io attualmente vivo da sola e se un giorno non mi va di cucinare mi arrangio alla meno peggio; se avessi un partner e dei figli non lo potrei fare.
Cambia il sistema di vita, cambia la programmazione perché, pian piano, nel tempo, cominci a scoprire cosa significa vivere in due, condividere degli spazi, delle esperienze, per cui anche il momento del pranzo o della cena ti può diventare piacevole perché si parla piacevolmente in due, mentre se tu sei da sola puoi anche parlare con te stessa guardando i pesci o stando al computer, non necessariamente stando seduta a tavola.
Ma ci sono proprio delle incombenze che fanno parte della vita in comune da dividersi?
Cambiano diverse cose. Se si vive insieme ad un partner ed entrambi si lavora, ci sono anche maggiori capacità economiche, ci sono meno problemi che ti inficiano la tranquillità per ciò che riguarda la valutazione del sostentamento e allora avrai più tempo per modificare le tue abitudini. Se tu avessi un partner che guadagnasse 5 milioni al mese saresti preoccupata come sei preoccupata oggi?
No.
Lo vedi?
Ma due persone che esercitano entrambe una libera professione, quindi con orari variabili, come fanno a dividersi quello che occorre per la vita in comune?
Sulla base degli interessi che si creano reciprocamente nel tempo. Man mano che impari cosa significa vivere insieme ad un’altra persona ed impari ad apprezzarne i vantaggi, sia tu che l’altra persona troverete il sistema di gestire meglio i vostri orari di lavoro preparandovi al momento i cui avrete dei figli per cui, programmandovi per tempo, potrete stabilire quanto tu potrai ridurre il tuo lavoro per dedicarti all’accudimento di un figlio, all’allattamento, nei primi mesi e quanto il tuo partner potrà dedicare della sua giornata lavorativa per darti una mano, eventualmente alternandovi, per quello che sarà possibile, per dedicarvi ai figli; un conto è creare un rapporto di coppia prima di aver creato un’attività lavorativa, un conto è cercare di integrare la vita di coppia in un duro contesto professionale! Sembra meglio la prima opzione, cioè costruisci un’attività lavorativa dopo che stai insieme con una persona e te la puoi organizzare come meglio credi, ma in realtà spesso non è così, perché se incontri un partner prima di iniziare a lavorare vuol dire che sei molto giovane, quindi non hai molta esperienza e puoi commettere diversi errori. Successivamente avrai già acquisito esperienza, di conseguenza, in maniera direttamente proporzionale a quanto ti interessa stare con un partner, a creare una famiglia, ad avere dei figli, modificherai il tuo lavoro, senza annullarlo, ma riuscendo a costruirti delle gratificazioni, sia attraverso la tua professione che con la frequentazione partner e dei figli (in tempi e modi appropriati).
Ma per quanto riguarda le attività da godersi soli? Non è difficile da realizzare?
Si può fare. Solo che bisogna vedere quando. Con dei figli piccoli è possibile che ciò non accada a meno che non hai pensato di ritagliare del tempo della tua attività lavorativa e/o di avere la collaborazione di una baby-sitter, per poterti dedicare un po’ a te stessa. Man mano che i figli crescono puoi coinvolgerli in un’attività sportiva o andare ciclicamente col tuo partner in un villaggio turistico, dove ci siano dei mini club; in questo modo crei delle opportunità per te e per stare insieme al partner, perché tanto ai figli ci pensano quelli dell’animazione. La società attuale offre di queste opportunità, però prima bisogna costruire un buon rapporto di coppia, che è il risultato di idee chiare che si determinano, avendo acquisito un minimo di equilibrio nella propria identità, per poter poi sapere effettivamente cosa si vuole dalla vita.
Ma, insomma, sono molte le frustrazioni a carico affettivo?
In una famiglia bisogna distribuire energie, tempo e vita; di conseguenza è importante che, almeno, il partner sappia rispettarti, capirti e comprenderti e che tu sappia fare altrettanto, riuscendo a mettere, pian piano, a punto un ingranaggio molto positivo. in una famiglia composta da persone immature le difficoltà sono all’ordine del minuto, non del giorno, perché ci possono essere tanti motivi per scaricare i loro malcontenti.
Ma è molto laborioso riuscire ad arrivare ad un livello in cui ci si capisce e comprende o dipende dai soggetti?
Dipende sempre dal grado di sviluppo dei singoli componenti da quanto si è disponibili ad impegnarsi per realizzare questo progetto. Costruire una famiglia è gravoso, educare dei figli costringe a faticare tantissimo, star bene è il risultato di un corretto lavoro con se stessi. Se si capisce questo, si vive da “professionisti”, cioè al meglio e non come viene viene.
Io ho sentito dire che ci sono difficoltà e sofferenze nel costruire un rapporto di coppia..
Non puoi lasciarti condizionare da ciò che dicono altri, perché tu non hai la loro stessa personalità; di conseguenza, ciò che può preoccupare una persona diversa da te, può non coinvolgerti.
Però due che si incontrano sono sempre due persone diverse che non si conoscono e costruire la coppia, creare degli interessi comuni, capire ognuno le esigenze dell’altro, non prevede un processo in cui possono esserci degli scontri?
Si…ed è normale, perché si confrontano idee differenti..
Ma di per sé questo processo comporta una sofferenza o no?
Può comportare dei disagi, legati alle abitudini che per forza di cose devono cambiare; allora, se tu sei una persona estremamente rigida e poco incline alle novità, ti diventerà una sofferenza, altrimenti ti darà l’opportunità di apprezzare il vantaggio di vivere meglio attraverso l’evoluzione delle cose.
Quindi non è una cosa collegata al fatto di doversi comunque conoscere ed adattare uno all’altro.
Ti faccio presente che una famiglia non è una prescrizione naturale, può essere una condizione sociale, ma i tanti divorzi e separazioni testimoniano che non è sufficiente l’imposizione morale per tenerla insieme. Per legge di natura è importante la prosecuzione della specie, quindi avere figli potrebbe essere l’obiettivo massimo raggiungibile… e poi ognuno se ne andrebbe per la sua strada. Se, invece, la costruisci bene, avrai la possibilità di apprezzarne i vantaggi, di conseguenza non ti peserà viverci. Sarà certamente necessario impegnarti, sarà certamente necessario lavorare per avere dei risultati, ma ne varrà la pena per ciò che otterrai.
Quindi sono i vantaggi che rendono conveniente affrontare le frustrazioni a cui si va incontro!
Certo, i vantaggi che derivano dal vivere in un ambiente migliore, ma soprattutto i vantaggi che derivano dall’essere diventata tu, migliore, per essere riuscita ad affrontare le difficoltà! quindi ci sono vantaggi nella tua identità, vantaggi nel rapporto di individualità col partner e vantaggi nel rapporto di collettività familiare.
Cambiamo direzione ed occupiamoci di gestione del proprio tempo libero e delle frustrazioni correlate. Innanzitutto a cosa serve un hobby?
E già, come se fossi bello fresco! È da più di un’ora che stiamo parlando!
Lo so, ma mi devo rifare del tempo che non ci siamo incontrati!
Si, la sai lunga, la sai! Comunque, affrontiamo il rush finale, ti concedo, al massimo altri 10 minuti. Per quanto riguarda la tua domanda di prima, posso dirti che, una persona soddisfatta non ha bisogno di hobby perché trasforma il suo lavoro in un hobby, nel senso che trae il piacere che in genere si ricava attraverso l’applicazione in un passatempo, mediante la propria attività lavorativa. L’hobby è qualcosa di ripetitivo che si crea per mantenere impegnati la propria mente ed il proprio corpo nella realizzazione di un progetto, che può essere una raccolta di francobolli, di monete antiche, di soldatini, di automobiline, la caccia, la pesca, il gioco delle bocce, il biliardo, tante cose che la Società ci propone, che in realtà ci consentono di distrarci dalle frustrazioni che ci derivano dal lavoro o dalla famiglia. Ma le frustrazioni che ci derivano dal lavoro o dalla famiglia, se non riusciamo ad affrontarle, a metabolizzarle, non le possiamo cancellare con gli hobby, le possiamo allontanare ma, in questo modo, finiremo con l’allontanarci anche dalle fonti delle frustrazioni, che sono il lavoro e la famiglia.
Però se uno sa utilizzare queste attività, dando alle stesse poco spazio, non possono essere utilizzate per scaricare aggressività, come ad esempio, giocare a tennis? E la palestra, la piscina rientrano tra gli hobby?
No, l’hobby è qualcosa di ripetitivo in cui tu ti realizzi. C’è chi fa le immersioni subacquee per hobby, e allora è sempre disponibile a partire per le crociere in cui è prevista l’escursione sottomarina, è disponibile ad avere il meglio dei prodotti che si utilizzano per andare sott’acqua, ad acquistare e leggere le riviste specializzate; tutto ciò lo fa, perché si realizza attraverso questo tipo di esperienza. A me piace andare sott’acqua ma non è un mio hobby, perché non ho bisogno di hobby. Io la vivo come occasione per imparare qualcosa di meglio, qualcosa in più, per apprezzare il piacere delle sensazioni che si provano, ma non mi va di impegnare la mia vita più di tanto; di conseguenza faccio pochissime immersioni perché ancora non ho l’opportunità di fare una settimana di vacanza in un ambiente dove si possano realizzare delle immersioni, e allora i fastidi che mi derivano dall’organizzazione di svegliarmi presto, portarmi dietro la pesante attrezzatura, soffrire il caldo prima di immergersi, lavare tutta l’attrezzatura a fine immersione, etc. sono superiori ai vantaggi. Non ho bisogno di realizzarmi attraverso le immersioni. Lo stesso vale per l’acquario, per l’equitazione e tante altre esperienze che ho cominciato, ma poi non ho portato avanti perché chi mi aveva proposto questo tipo di attività poi pretendeva che io impegnassi il meglio di me. Ma quello è un problema di chi ho avuto come interlocutore. Ho anche fatto l’esperienza di equitazione e in due lezioni avevo imparato a stare a cavallo mentre il cavallo camminava al passo, e riuscire a stare in equilibrio senza tenermi con le mani e con le gambe, ma poi ho smesso perché l’istruttore si aspettava che io diventassi un cavaliere, cioè uno capace di fare le gare d’equitazione. A me non interessava, a me sarebbe interessato semplicemente andare a fare una passeggiata a cavallo senza cadere da cavallo, non era mia intenzione devolvere la mia vita ed impegnarmi più di tanto in un’esperienza del genere. Eppure insieme a me c’era tanta gente disponibile a sacrificarsi pur di diventare un cavaliere. Quelle sono persone che evidentemente non si realizzavano in altro modo.
Quindi, queste altre attività si esplicano per fare esperienze gradevoli?
Certo, per aumentare il bagaglio delle tue esperienze e per migliorare la tua capacità di valutazione. Quante volte io spiego dei meccanismi mentali usando come esempio meccanica, fisica, acquariologia, mondo sommerso, fumetto e altro? Non avrei potuto fare così se non avessi avuto un minimo di esperienza in questi settori. Anche il disegno mi piace, ma mi piace per riuscire ad esprimere meglio quello che dico… attraverso il fumetto, ma non mi piace come realizzazione di vita. Non impegno tante ore della mia vita per imparare a disegnare meglio o per imparare ad usare il computer meglio. Lo imparo per ciò che effettivamente mi serve.
E’ un hobby il seguire costantemente ed esageratamente il calcio o altri sport?
Ti proporrei di tornare su questo dopo aver verificato il significato del termine hobby. Seguire una squadra non è un hobby, perché in che modo tu impegni la tua energia? Andando allo stadio e gridando, o guardando la televisione? L’hobby ti impegna fisicamente e psicologicamente. Tu sei l’attore principale dell’hobby. Il discorso vale se tu, ad esempio, giochi a calcetto. Ma essere tifoso di una squadra in maniera esagerata per cui il tuo umore dipende dalla sua sconfitta o dalla sua vittoria, significa non avere un’identità solida ed identificarti in una compagine sportiva: a queste condizioni, la vittoria di quella squadra è la tua vittoria di vita, la sconfitta di quella squadra è la tua sconfitta personale. Ma accade per l’appartenenza a partiti politici e ad altre associazioni.
Io ho sempre avuto una diffidenza per le persone che avevano questo tipo di attaccamento ad una squadra, perché?
Perché manifestano poco equilibrio.
Ma io ho vissuto in un ambiente squilibrato!
Ognuno esprime il disequilibrio mentale attraverso ciò che impara. Se vive in un ambiente di lamentosi psicosomatici produrrà disturbi psicosomatici; se vive in un ambiente di politici sfegatati si iscriverà alla sezione di partito ed andrà a manifestare in piazza; se vive in un ambiente di tifosi pseudosportivi andrà allo stadio ad imprecare contro l’arbitro, il guardalinee, la mala sorte; se vive in un ambiente di meccanici e si appassionerà al mondo delle auto, seguirà le venture di una squadra e si immaginerà (essendo al volante della sua utilitaria) di essere magari Schumacher e attaccherà lo stemma del cavallino rampante della Ferrari, su una modesta vetturetta. In questo modo, si esprime una fase transitoria che si chiama identificazione, che è fisiologica se parliamo di persone che non hanno ancora superato i 18-20 anni d’età, ma diventa limitante, se non addirittura nevrotica nelle persone di età maggiore.
Per hobby si intende “qualsiasi attività che si svolga all’infuori del proprio lavoro, non per guadagno, ma per diletto, passatempo e svago”. Questa è la definizione che ho trovato sul vocabolario. Puoi aggiungere qualcosa?
C’è da aggiungere “qualsiasi attività svolta con interesse e continuatamente nel tempo” perché, altrimenti, qualsiasi attività, anche la pulizia del climatizzatore di casa o dell’acquario, diventa un hobby, mentre in realtà si tratta di una necessità, anche sgradevole e fastidiosa.
Ed è utile avere un’attività di questo tipo, visto che mi hai fatto notare che se uno ha un lavoro appagante non ha bisogno di hobby?
Vedi, qualunque attività svolta in maniera gratificante e continuativa è utile da creare. L’ideale sarebbe “costruirsi” un lavoro talmente gratificante da non aver bisogno di hobby.
Quindi, comunque non sono una cosa positiva?
Sono dei sistemi mediante cui crearsi delle gratificazioni di cui, altrimenti, si rimarrebbe privi. Diventano degli ottimi sistemi compensatori.
Rientra in questo anche l’appagamento di desideri?
In questo caso sono utilizzi energetici che potrebbero rientrare nella scala dei desideri, ma anche in quella dei bisogni. Ad esempio, c’è chi per hobby coltiva l’orto, si crea un giardino. Può essere un bisogno realizzare una cosa del genere perché ti consente di stare a contatto con elementi della natura (la terra, l’aria, l’acqua, i semi da piantare). Al tempo stesso c’è chi, per hobby, spende milioni per comprare software per giocare al computer. C’è chi per hobby colleziona orologi, investendo grosse cifre: che utilità ne trae? Queste persone diventano degli autentici estimatori, conoscitori dei microscopici meccanismi dell’orologio, a modo loro riescono a raggiungere delle gratificazioni, ma non possiamo ascriverle ai bisogni. Cioè gratificarsi è un bisogno, ma il sistema che si è scelto non rientra nelle leggi di natura.
Quindi, può essere utile a certe condizioni?
Indubbiamente è utile come forma compensatoria. Quando al tempo stesso si sta a contatto con la natura consente di appagare certi bisogni.
Però poi diventa troppo impegnativo se è una cosa continuativa?
Una persona coltiva un hobby perché le è necessario farlo, non le pesa.
Tu mi spiegavi che a te avevano proposto di fare equitazione allo scopo di raggiungere certi livelli per cui per te sarebbe diventato troppo impegnativo.
Per me non era un hobby. Per me sarebbe diventato troppo impegnativo perché io non ero disponibile a dedicare tempo ed energia in quel settore, ma se uno è disponibile, non solo non gli pesa, ma lo va cercando.
Io, invece, vedevo l’hobby come un’attività che piace da svolgere quando se ne ha il tempo.
No. Il tempo da dedicare all’hobby lo ritagli nell’arco della giornata; molte volte sottrai tempo al sonno, ci trascorri tutto il tuo tempo libero e non ti pesa. Dipingere un quadro può essere un hobby, suonare uno strumento può essere un hobby. Tutto ciò che fai impegnando il tempo, da cui non trai un vantaggio economico perché non è un lavoro, che fai in maniera continuativa e con gratificazione, è definito dal dizionario ‘hobby’; noi lo definiamo ‘utilizzo del tempo e dell’energia per trarne un vantaggio in termini di gratificazione. ORA BASTA!
Tanti saluti e grazie!