La nostra Costituzione impegna le Istituzioni alla tutela del “paesaggio”. È possibile dimostrare che tale disposizione garantisca anche il diritto, per i singoli, ad un ambiente “globale” migliore?
La nostra Costituzione, all’art. 9, impegna la “Repubblica” alla tutela del “paesaggio”. Ciò significa che è riconosciuto un interesse della collettività alla protezione dell’ambiente.
Ci si chiede, però, se, oltre all’esigenza di tutela della “bellezza” paesistica, il nostro ordinamento intenda soddisfare anche quella della protezione del “paesaggio” nella sua globalità, e, in particolare se sia rinvenibile nella Costituzione un diritto fondamentale dei singoli all'”ambiente” come oggetto del diritto alla salute.
Senza dubbio si può affermare che un’interpretazione del diritto alla salute che tenga conto del tempo storico in cui viviamo non può limitarsi ad identificare l’oggetto del diritto alla salute con la sola integrità psico-fisica, giacchè attualmente l’esistenza o meno della salute s’individua tenendo conto non solo dello stato psico-fisico momentaneo della persona, ma anche all’ambiente esterno in cui l’essere umano esplica le sue attività, che incide notevolmente sul mantenimento o sulla perdita dello stato di salute.
D’altra parte, la stessa giurisprudenza e diversi interventi legislativi confermano la visione della “salute” come incompatibile rispetto alla vita in un ambiente insalubre.
Si può, quindi, parlare di un diritto costituzionale all'”ambiente”, intendendo l’ambiente come habitat materiale dell’essere umano, la cui compromissione pone in pericolo la sua stessa sopravvivenza o integrità psico-fisica.
Inoltre, se il diritto all’ambiente, nei limiti suddetti, si fa derivare dal diritto alla salute, bisognerebbe riconoscere ad esso lo stesso regime giuridico del diritto alla salute nel suo senso originario, ossia se il diritto alla salute è considerato un diritto soggettivo dei singoli non pare sostenibile attribuire al diritto all’ambiente, che di quello è una specificazione, mera natura di interesse collettivo – come alcuni ritengono-.
Il diritto all’ambiente desumibile dalla Costituzione spetta a ciascun individuo per il fatto che è un essere umano oltre che per il fatto di appartenere alla collettività.
Effettivamente, la Corte di Cassazione, in un primo tempo, ha riconosciuto il “diritto alla salubrità dell’ambiente” ai soli proprietari di immobili situati in prossimità delle fonti inquinanti, configurando, così, siffatto diritto della persona come mero riflesso di un diritto reale su beni materiali. Successivamente, però, la stessa Cassazione ha superato quell’iniziale orientamento ed attualmente riconosce il legame del diritto all’ambiente con il diritto alla salute, e non più con il diritto di proprietà.
Semmai, occorre ammettere che l’azione individuale è una forma insoddisfacente di tutela giudiziale dell’ambiente e sarebbe, perciò, opportuno un potenziamento anche dell’azione collettiva a tutela dell’ambiente.
Non è semplice individuare i caratteri che un fatto aggressivo dell’ambiente deve avere perché ricorra la lesione del diritto alla salute inteso come diritto all’ambiente salubre. Difatti, una definizione troppo ampia dell’area tutelata dal diritto all’ambiente finisce col rendere difficile l’identificazione del diritto, mentre sembra troppo riduttivo il criterio che fa distinzione tra “attività pericolose o nocive dirette contro persone determinate” ed “attività che possono importare in via mediata pericolo o danno alla salute di una generalità indeterminata di persone”, riscontrando solo nel primo caso la capacità di produrre effetti lesivi del diritto all’ambiente salubre.
Quest’ultimo criterio risulta – come accennato – troppo limitativo in quanto quasi tutte le attività lesive dell’ambiente coinvolgono una generalità indeterminata di soggetti, mentre difficilmente sono destinate a soggetti individuabili con precisione.
Invero, la soluzione a questo problema implica la distinzione, per niente agevole, tra condizioni e cause di un evento. In proposito la dottrina ha rilevato che considerare il diritto all’ambiente uno strumento di protezione nei confronti delle mere “condizioni” nelle quali può venire ad esistenza la lesione dell’integrità psico-fisica, significa ridurlo ad un generico diritto al benessere; mentre, considerarlo efficace solo nei confronti delle cause della lesione significherebbe svuotarne la portata perché non aggiungerebbe nulla alla tutela dell’integrità psico-fisica già compresa nel diritto alla salute. Da ciò si ricava che l’interprete nella sua attività dovrebbe valutare in modo elastico gli eventi per classificarli come ‘causa’ o come ‘condizioni’, dando più spazio alla qualificazione come ‘causa’, e, quindi, all’ambito di tutela del diritto in esame, ovviamente in linea con l’evoluzione delle scelte del legislatore, sempre più sensibile alle tematiche legate alla protezione dell’ambiente, anche in relazione alla tutela che le stesse ricevono negli accordi e trattati internazionali (più di 900) ed a livello comunitario.
Erminia Acri – Avvocato
Erminia Acri, iscritta all’Albo degli Avvocati del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Cosenza, Patrocinante in Cassazione, esercita la professione di avvocato in materia di diritto civile, diritto del lavoro e previdenza, diritto amministrativo (abilitazione all’esercizio della professione di avvocato conseguita in data 05/05/1998). Consulente legale dell’Inas-Cisl, sede di Cosenza. Attività di docenza, in materia di Diritto di Famiglia, c/o Scuola di Specializzazione in Psicoterapia ad Indirizzo Dinamico (SFPID) – Roma. Iscritta all’Albo dei Giornalisti- Elenco pubblicisti dal 01/07/2006. Responsabile “Area informativa” Progetto SOS Alzheimer On Line
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