Talvolta, a causa di angherie, liti o comunque condizioni che rendono difficile la coabitazione col coniuge, si arriva alla decisione di andarsene dalla casa coniugale e, di solito a cose fatte, sorge il dubbio sulla legittimità della scelta di abbandonare il domicilio domestico.
In effetti, l’allontanamento dalla casa coniugale è consentito dal nostro ordinamento al coniuge che abbia presentato domanda di separazione o di annullamento o di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio, ai sensi dell’art.146 codice civile. Tale norma prevede che, in caso di allontanamento dal tetto coniugale, senza “giusta causa”, si perde il diritto a ricevere l’assistenza morale e materiale (quindi un eventuale assegno di mantenimento in caso di separazione) e (sempre in caso di separazione) potrebbe essere riconosciuto l’addebito della causa della crisi coniugale, ove sia dimostrato che la fine del matrimonio è stata determinata proprio dall’abbandono.
In proposito la Corte di Cassazione, in più occasioni, ha precisato che “l’abbandono del domicilio coniugale non può legittimare l’addebito della separazione se l’abbandono è una conseguenza del comportamento dell’altro coniuge o se la convivenza coniugale sia divenuta irrimediabilmente intollerabile……il volontario abbandono del tetto coniugale è causa di per sé sufficiente di addebito della separazione in quanto comporta l’impossibilità della convivenza. Tuttavia a chi ha attuato l’abbandono è lasciata la possibilità di provare che lo stesso è stato determinato dal comportamento dell’altro coniuge”. (Corte di Cassazione, sez. VI civ., ordinanza n.12241/2020)
In mancanza di “giusta causa”, altresì, in presenza di tutti i requisiti di legge, chi si sottrae alla coabitazione col coniuge potrebbe incorrere nel reato di abbandono del domicilio domestico, ai sensi dell’art. 570 codice penale (“Chiunque, abbandonando il domicilio domestico, o comunque serbando una condotta contraria all’ordine o alla morale delle famiglie, si sottrae agli obblighi di assistenza inerenti alla responsabilità genitoriale, alla tutela legale o alla qualità di coniuge, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa da centotre euro a milletrentadue euro.“)
Erminia Acri-Avvocato
Erminia Acri, iscritta all’Albo degli Avvocati del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Cosenza, Patrocinante in Cassazione, esercita la professione di avvocato in materia di diritto civile, diritto del lavoro e previdenza, diritto amministrativo (abilitazione all’esercizio della professione di avvocato conseguita in data 05/05/1998). Consulente legale dell’Inas-Cisl, sede di Cosenza. Attività di docenza, in materia di Diritto di Famiglia, c/o Scuola di Specializzazione in Psicoterapia ad Indirizzo Dinamico (SFPID) – Roma. Iscritta all’Albo dei Giornalisti- Elenco pubblicisti dal 01/07/2006. Responsabile “Area informativa” Progetto SOS Alzheimer On Line
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