Pubblicato su Lo SciacquaLingua
Molti, molti anni fa, viveva in un piccolo villaggio, ai confini del mondo, un giovane, Stefano. Questi era noto e amato per la sua bontà d’animo e per il suo impegno verso gli altri. Era sempre disponibile per chiunque avesse bisogno del suo aiuto, senza chiedere nulla in cambio.
Un giorno, il giovane fu chiamato a Roma per una missione molto importante: doveva portare la speranza e la gioia ai più bisognosi dell’urbe. Nella città eterna lavorò instancabilmente, giorno e notte, per migliorare la vita delle persone meno abbienti. La sua dedizione e il suo spirito altruista fecero breccia nel cuore di tutti.
Tuttavia, il destino del giovane Stefano era segnato dalla sofferenza. Fu perseguitato per la sua fede e per le sue numerose opere di bene, e alla fine divenne il primo martire della cristianità, sacrificando la sua vita per gli ideali in cui credeva ciecamente. Da quel giorno Stefano fu ricordato come Santo Stefano, il protomartire (il primo martire).
Con il trascorrere degli anni, la memoria di Santo Stefano rimase viva nei cuori delle persone, non solo per il suo martirio, ma anche per il suo esempio di altruismo e dedizione. Nel 1947 (o 1949, l’anno è controverso), lo Stato italiano decise di rendere il 26 dicembre un giorno festivo per “allungare” la festa del Natale e permettere a tutti di godere ancora di un periodo di riposo e di… riconciliazione. Questo giorno divenne, così, un’opportunità per trascorrere più tempo con la famiglia e con gli amici, rafforzando i legami comunitari.
Il 26 dicembre divenne, dunque, una giornata dedicata a celebrare l’umanità e la solidarietà. In ogni città e villaggio, le persone si riunivano per organizzare eventi comunitari, come mercati solidali, concerti benefici e giochi per i più piccoli. Le famiglie aprivano le loro case per accogliere vicini e amici, condividendo cibo e racconti di bontà.
Uomini e donne portavano candele e lanterne per le strade, illuminando il buio dell’inverno con la luce della comunità, della fratellanza e della speranza. Le piazze, nonostante il freddo, erano gremite per ascoltare le bande musicali cittadine; tutti condividevano le storie di Santo Stefano e di come il suo spirito continuasse a vivere attraverso le loro azioni altruiste.
Questo giorno festivo, rigorosamente civile, non solo unì la nazione, ma ispirò altre terre lontane a celebrare la solidarietà e la generosità. Le cronache narravano di un mondo diventato un po’ più luminoso e accogliente. E nel giorno di Santo Stefano il villaggio si riempiva di luce e calore, ricordando a tutti l’importanza di essere generosi e di prendersi cura gli uni degli altri.
A cura di Fausto Raso
Giornalista pubblicista, laureato in “Scienze della comunicazione” e specializzato in “Editoria e giornalismo” L’argomento della tesi è stato: “Problemi e dubbi grammaticali in testi del giornalismo multimediale contemporaneo”). Titolare della rubrica di lingua del “Giornale d’Italia” dal 1990 al 2002. Collabora con varie testate tra cui il periodico romano “Città mese” di cui è anche garante del lettore. Ha scritto, con Carlo Picozza, giornalista di “Repubblica”, il libro “Errori e Orrori. Per non essere piantati in Nasso dall’italiano”, con la presentazione di Lorenzo Del Boca, già presidente dell’Ordine nazionale dei giornalisti, con la prefazione di Curzio Maltese, editorialista di “Repubblica” e con le illustrazioni di Massimo Bucchi, vignettista di “Repubblica”. Editore Gangemi – Roma.