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Non esiste la giustizia che cerchi, è una cosa che ti fabbrichi quando hai il potere, la forza! (Gian Maria Volonté – “Faccia a faccia”)

Il 6 dicembre 1994, ci lasciava Gian Maria Volontè, considerato uno dei più significativi interpreti della cosiddetta “Settima arte”: sostanzialmente, un attore unico.

Sempre fedele al suo mondo interiore, ha interpretato solo i film in cui credeva, rinunciando spesso a grandi guadagni e, addirittura, “accontentandosi” di cifre modeste se il regista e il soggetto lo convincevano particolarmente.

Artista di grandissima levatura “rubava l’anima ai suoi personaggi”, come felicemente ebbe a dire il regista Francesco Rosi.

È riuscito ad essere “totale” in ogni sua manifestazione e possiamo affermare, senza tema di smentite, che “non fingeva nemmeno quando fingeva”. Un esempio per tutti può essere costituito dall’autenticità nell’interpretazione di Lulù Massa, la faccia della disperazione unta e sporca de “La classe operaia va in paradiso”

Senti Lulù, te non muori mica nel tuo letto, sai? Te muori qua, sulla macchina!

Dopo una prima fase in cui fu indimenticabile faccia di cattivo negli spaghetti western di Sergio Leone, l’attore si dedicò a film di impegno civile, etc, diventando un attore-simbolo.

Ogni film è politico. Il cinema apolitico è un’invenzione dei cattivi giornalisti (GM Volontè).

Spettatori a divertirsi pensando e riflettendo.

Basti citare alcuni dei tanti film, per rievocare dalla memoria pagine memorabili di cinematografia. Da “Sacco e Vanzetti” a “Il caso Matte”; da “Lucky Luciano” a “Giordano Bruno”; da “Cristo si è fermato a Eboli” a “Un ragazzo di Calabria”, continuando con le sue molteplici interpretazioni legate ai romanzi di Sciascia…

Un simile fuoriclasse, è stato in grado di entrare nel cuore dei vari personaggi e di consegnare, grazie ad una presenza magnetica, interpretazioni memorabili che ancora oggi mantengono intatta la tensione etico – civile, catturando totalmente l’attenzione dello spettatore.

Gli anni sessanta, settanta e ottanta del secolo scorso sono presenti nei suoi film con i momenti civilmente più significativi.

Volontè è stato “un animale politico” impegnato in una strenua lotta democratica che aveva, come assi portanti, la Costituzione e gli ideali dell’antifascismo, inteso, quest’ultimo, come momento irrinunciabile di crescita umana e sociale, al di fuori di ogni generica retorica.

Cari Lettori, accogliendo l’allora capo dello Stato italiano Sandro Pertini, il Presidente messicano Lopez Portillo lo definì “hombre vertical”, ossia “uomo tutto di un pezzo”

Riteniamo che, tale appellativo, che connota elevate qualità e rettitudine morale, possa sposarsi con l’intrinseco valore del nostro Gian Maria Volontè che, consapevole della sua presenza scenica, ha messo a disposizione il suo corpo per portare sulla scena figure esemplari alle quali moltissimo dobbiamo.

La grandezza delle sue interpretazioni è dimostrata dal fatto che, a molti di noi, capita, quando si parla dei vari personaggi, di sovrapporre istintivamente e inconsapevolmente il viso di Gian Maria Volontè. Da Giordano Bruno a Enrico Mattei e a tanti altri.

Difficile fare una scelta di grandezza. Molti sono, è bene ripeterlo, i lavori memorabili, apprezzati in tutto il mondo.

Se vogliamo però indicare una pellicola che riassume in sommo grado le qualità dell’attore possiamo immaginare “Indagine di un cittadino al di sopra di ogni sospetto” di Elio Petri (1970).

Un film, questo, che contiene in concentrato tante situazioni che sarebbero esplose nei decenni successivi.

È il pregio dell’opera d’arte, quello di “prevedere” quanto avverrà in seguito.

Nell’opera irrompono situazioni apparentemente “esagerate” che, invece, nel tempo si mostreranno al di sotto di quanto la realtà ha mostrato, in termini di torbido e compromissorio.

Dietro i suoi film di impegno civile, l nostro attore c’era l’Italia coi suoi problemi, con gli scandali politici a ripetizione, con la strategia della tensione.

Per questo motivo, le sue interpretazioni sono sempre state cariche di appassionata tensione e miravano a indignare lo spettatore, invitandolo a esercitare sempre e ovunque la vigilanza democratica.

Cari Lettori, ma da dove nasce un simile “bisogno” di testimonianza di lealtà e rettitudine, in un uomo dei nostri tempi?

Probabilmente (un po’ come per tutti noi) una certa importanza l’ha giocata quello che gli esperti di “psicogenealogia” chiamano “il trigenerazionale”: dal bisnonno all’ultimo discendente attuale.

E, per Gian Maria Volonté, di fattori “condizionanti devono essercene stati molti, a partire dal fatto che nasce a Milano ma trascorre i primi vent’anni della sua vita a Torino. E, Torinese si sentirà per sempre.

Alla fine dell’Ottocento, la famiglia Volonté si trasferisce da Saronno a Milano in cerca di fortuna. Uno dei figli, Francesco Volonté, sposa Angela Tadini il 15 agosto 1901 e, la loro unione, verrà arricchita da Luigi, Angelo, Teresa, Mario e Franco.

Il buon padre di famiglia (Francesco) si specializza in commissioni bancarie e di borsa e riesce ad accumulare un rassicurante patrimonio che, purtroppo, sublimerà come la canfora all’indomani della Grande Depressione degli anni ‘Venti.

A quel punto, Mario, veste i panni del capofamiglia e, ripone la camicia nera (che aveva indossato come “San sepolcrista”, avendo seguito sin dal principio il nascente movimento fascista ed essendosi arruolato nella Milizia volontaria per la sicurezza nazionale) e si mette alla ricerca di un lavoro.

Nel mentre, il suo Destino incrocia quello di Carolina Bianchi, e, nel 1932, viene accolto come genero.

Inizia, da quel momento, l’attività di rappresentante di commercio, viaggiando per il Nord Italia proponendo un ricco campionario di profumi.

Il 9 aprile 1933 nasce Giovanni Maria Romano, registrato all’anagrafe come Gianmario. Per tutti sarà, da subito, Gian Maria.

Per motivi non chiari, la famiglia si trasferisce a Torino e, allo scoppio della guerra d’Etiopia Mario abbandona il lavoro e rientra nella Milizia come volontario per l’Africa Orientale da dove rientrerà solo dopo la proclamazione della vittoria, il 9 maggio 1936.

Dopo alcuni anni di benessere economico e la nascita del secondo figlio (Claudio Aurelio Fausto Maria), tutto crolla perché, Mario, viene condannato (nel 1946) a trent’anni di carcere per azioni criminose commesse come componente della Brigata Nera Ather Capelli, un’unità militare da impegnare nella lotta antipartigiana, nel 1944.

Evidentemente, i segni della contestazione contro chi offende la Democrazia (misti al naturale conflitto edipico contro il proprio Padre) devono avere creato il solco che, rompendo gli argini di una strada apparentemente segnata, portano il giovane Gian Maria a lasciare gli studi e a frequentare l’esperienza del teatro itinerante, con cui perfeziona la capacità di esprimersi col corpo.

A vent’anni approda a Roma, dove ottiene una borsa di studio per l’Accademia d’arte drammatica e, dal 1959, grazie all’incontro con Giorgio Albertazzi, riesce a prendere il volo, al punto da essere uno dei pochi al mondo ad aver rifiutato un copione propostogli da Federico Fellini.

Io ho ritenuto e ritengo che le anime siano immortali… I Cattolici insegnano che non passano da un corpo in un altro, ma vanno in Paradiso, nel Purgatorio o nell’Inferno. Ma io ho ragionato profondamente e, parlando da filosofo, poiché l’anima non si trova senza corpo e tuttavia non è corpo, può essere in un corpo o in un altro, o passare da un corpo all’altro. Questo, se anche può non esser vero, è almeno verosimile, secondo l’opinione di Pitagora (Dal film Giordano Bruno)

Cari Lettori, a noi sembra che una sorta di maledizione abbia accompagnato la famiglia Volontè da fine 800: un andirivieni di tentativi di spiccare il volo con, conseguenti, rovinose cadute.

In Gian Maria, questo destino è rimasto ingabbiato, probabilmente, nelle pieghe del carattere, creando un Personaggio / Mito costretto ad obblighi e rettitudini ma sempre tentato da derive completamente diverse che, lui, ha magistralmente sublimato con meravigliose interpretazioni di personaggi “inquietanti”

L’ultimo sguardo di Gian Maria Volonté

Il sei dicembre del 1994, nella greca Florina, durante le riprese di Lo sguardo di Ulisse di Theo Angelopoulos, Gian Maria Volontè chiude gli occhi al mondo, a soli 61, per un infarto fulminante. Lontano da quell’Italia nella quale non voleva più restare.

Ad analizzare il suo ultimo periodo, troviamo un uomo moralmente provato e depresso, per via dell’emarginazione subita da un sistema cinematografico che mal lo sopportava.

Cari Lettori, abbiamo provato a raccontarvi la storia di un uomo solo, che ha provato a gridare al mondo la necessità di rinunciare all’ipocrisia e abbracciare la strada del recupero e dell’integrità.

Ogni personaggio da lui interpretato, ha trasmesso questo messaggio all’interno di quella bottiglia che era il proprio corpo.

Riteniamo che nel Giordano Bruno di Giuliano Montaldo, del 1973, possa essere condensato quel mix di rabbia e rassegnazione da cui salvarsi solo con la speranza di non assoggettarsi al volere del Potere. Anche se la pena, sarà quella di essere arso vivo.

Avete più paura voi a pronunciare la sentenza che io nell’ascoltarla (GM Vontè – Giordano Bruno)

Si racconta che, poco prima di lasciare questa terra partendo dall’odio per le definizioni, in quanto colpevoli di essere espressioni repressive, abbia detto:

Continuo ad avere una grande curiosità: mi piacerebbe poter raccontare il vento. Ma è difficile.

E noi, cari Lettori, pensando al freddo della solitudine di quel “Giordano Bruno” che muore nel fumo e nelle fiamme proprio mentre, dopo una notte ghiacciata, sta sorgendo il sole di un nuovo giorno, immaginiamo la possibile tristezza di tutti i potenziali “eretici”.

Ed è a tutti loro, che vorremmo dedicare questo bellissimo testo di Tommaso Paradiso.

Non avere Paura

Se mi guardi così, se mi sfiori così

Se avvicini la tua bocca al mio orecchio

Non finirà bene

Ma ti prego no, non smettere Non smettere mai

La notte è benzina, La notte incatena

La notte è questa faccia allo specchio

E ora cade giù pure una lacrima

Nel frattempo sto ridendo

Sento una musica ogni volta che ti sto accanto quando ti perdo

E poi ci ripenso come se fosse la fine del mondo

No, non avere paura, quando vai a dormire sola

Se la stanza sembra vuota e se senti il cuore in gola

Non avere paura

Mi prenderò cura io di te

Se ti abbraccio così Se ti stringo così se

Appoggi la tua testa al mio petto, ci siamo solo noi

Sento una musica ogni volta che ti sto accanto quando ti perdo

E poi ci ripenso come se fosse la fine del mondo

No, non avere paura

Quando vai a dormire sola se la stanza sembra vuota

E se senti il cuore in gola

Non avere paura, mi prenderò cura, io di te

No, non avere paura

Quando a un tratto si fa buio e la luna non è accesa

E vorresti una parola ma hai solo un rossetto

Mi prenderò cura, io di te

Verrà un giorno che l’uomo si sveglierà dall’oblio e finalmente comprenderà chi è veramente e a chi ha ceduto le redini della sua esistenza, a una mente fallace, menzognera, che lo rende e lo tiene schiavo… l’uomo non ha limiti e quando un giorno se ne renderà conto, sarà libero anche qui in questo mondo” (Giordano Bruno)

Enzo Ferraro – già Dirigente Scolastico, Letterato, Umanista, Politologo

Giorgio Marchese – Direttore “La Strad@”

Un ringraziamento affettuoso ad Amedeo Occhiuto, per la collaborazione

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