Pubblicato su Lo SciacquaLingua
Probabilmente i nostri venticinque lettori, per dirla col Manzoni, si imbattono per la prima volta nell’anacoluto – una figura retorica intrigante che ha affascinato per secoli glottologi e scrittori – perché non tutti i sacri testi scolastici lo trattano. Vediamo, dunque, questa figura.
Proviene dal greco anakólouthon, nt. di anakólouthos “che non segue”, comp. di an- con valore privat. e akólouthos “seguente” (dizionario De Mauro), quindi “discontinuità”. Questo termine è perfetto per descrivere l’anacoluto, poiché rappresenta una rottura nella struttura grammaticale di una frase.
Immaginiamo di cominciare una proposizione con una costruzione grammaticale ben precisa, poi però, nel corso dello scritto o del discorso cambiamo direzione e la concludiamo in un modo che non segue il percorso inizialmente tracciato. Questo è ciò che fa, esattamente, l’anacoluto: comincia una frase suggerendo una costruzione sintattica che viene poi abbandonata a favore di un’altra. Per esempio, nella frase come “quelli che muoiono, bisogna pregare per loro” il soggetto “quelli” non si lega direttamente con il resto della frase, creando un effetto di sospensione.
Questa figura retorica è molto comune nella lingua parlata, dove la spontaneità del discorso può portare a interruzioni e cambiamenti improvvisi di struttura. Ma anche nella letteratura l’anacoluto trova un suo spazio importante. Scrittori e poeti lo adoperano per vari scopi: rendere il discorso più naturale, enfatizzare un concetto o per mettere in evidenza il disordine dei pensieri di un dato personaggio.
Quando parliamo con naturalezza molto spesso non seguiamo una struttura grammaticale lineare; può capitare, quindi, di cominciare una frase in un modo e poi modificarla strada facendo. Vediamo con un esempio: mio nonno, quando era giovane, lui ha viaggiato molto. In questo caso l’aggiunta di “lui” crea una rottura nella struttura iniziale, rendendo il discorso più vicino alla realtà del linguaggio parlato.
L’anacoluto si può anche adoperare – come dicevamo – al fine di creare enfasi o per drammatizzare una situazione. Prendiamo la frase “questa situazione, non la posso sopportare più!” Qui, l’interruzione iniziale mette in risalto l’intensità del sentimento espresso, dando forza e drammaticità al discorso.
Un’altra funzione molto interessante dell’anacoluto – come già accennato – è quella di riflettere il pensiero disordinato o confuso di un personaggio.
Nei monologhi o nei dialoghi può mostrare come i pensieri si sovrappongano e si mescolino senza seguire, pertanto, un ordine preciso: “Io, questo progetto, non so da dove cominciare” esprime chiaramente la confusione del parlante. Non possiamo, però, concludere queste noterelle senza invitare il lettore a fare un uso parco dell’anacoluto perché alcune volte si tratta di un vero e proprio errore sintattico-grammaticale, occorre saperlo usare, dunque.
A cura di Fausto Raso
Giornalista pubblicista, laureato in “Scienze della comunicazione” e specializzato in “Editoria e giornalismo” L’argomento della tesi è stato: “Problemi e dubbi grammaticali in testi del giornalismo multimediale contemporaneo”). Titolare della rubrica di lingua del “Giornale d’Italia” dal 1990 al 2002. Collabora con varie testate tra cui il periodico romano “Città mese” di cui è anche garante del lettore. Ha scritto, con Carlo Picozza, giornalista di “Repubblica”, il libro “Errori e Orrori. Per non essere piantati in Nasso dall’italiano”, con la presentazione di Lorenzo Del Boca, già presidente dell’Ordine nazionale dei giornalisti, con la prefazione di Curzio Maltese, editorialista di “Repubblica” e con le illustrazioni di Massimo Bucchi, vignettista di “Repubblica”. Editore Gangemi – Roma.