“Chiederò un cervello invece di un cuore”, disse lo Spaventapasseri, “perché uno stupido non saprebbe cosa farsene di un cuore, anche se ne avesse uno. ”
“Prendo il cuore”, rispose l’uomo di latta, “perché l’intelligenza non rende felice una persona, e la felicità è la cosa più bella del mondo” (Il mago di OZ)
Cari Lettori, quando pensiamo agli italiani del Novecento cui dobbiamo molto, la mente spontaneamente va, tra i pochissimi, ad Adriano Olivetti.
Sarà perché appartenente alla Chiesa Valdese (che spinge a consacrare la propria vita attraverso la predicazione del Vangelo) o perché omonimo di un grande antenato (l’Imperatore Adriano, autore di grandi riforme e incline alla all’aiuto solidale), il nostro Sig. Olivetti, dopo aver fatto tesoro sia dell’esperienza di studio in America che del lavoro nella fabbrica di famiglia (La “Ditta”, vissuta come una grande madre per l’intera popolazione di Ivrea e dintorni), ha disegnato il paradigma di una Società a dimensione Umana convinto, peraltro, che si trattasse di una logica conseguenza dell’evoluzione dei tempi.
Carl Gustav Jung, ci ha spiegato l’esistenza di veleni che assumiamo ogni giorno, attraverso i condizionamenti negativi delle persone a noi più care, ogni volta che ci viene impedita la libera espressione della nostra curiosità creativa (attraverso il “non si può fare”, “non si può dire”, “non puoi capire”). Come se, questi “veleni” li assorbiamo, giorno dopo giorno, con l’educazione, il ricatto, la paura.
Procedendo di questo passo, la tossicità interiore viene vissuta come disposizione caratteriale “egosintonica” e non può essere riconosciuta, quindi, come fattore estraneo e sbagliato.
Prende il nome, quindi, di inadeguatezza, senso di colpa, angoscia abbandonica….
A quel punto, diventiamo noi stessi veicolo di contagio, anche quando pensiamo di avere l’obbligo di tramandare antichi valori e tradizioni familiari.
E, Olivetti, imprenditore, ingegnere, politico, innovatore nelle scienze sociali, precursore dell’urbanistica, divenne obiettivo da eliminare da parte di chi si riteneva “Custode del Potere Assoluto”: gli Stati Uniti d’America.
Il popolo a cui, l’Italiano Cristoforo Colombo ha donato la prefazione del proprio libro di Storie e di Esistenza, non tollerò l’idea di essere sconfitto (a livello di elettronica e altro) dalle innovazioni del rampollo della “Camillo Olivetti & Co.”
Così come non sopportarono di essere messi in ombra dalla volontà di autonomia di Enrico Mattei e dalle bioplastiche della Montedison.
E, cari Lettori, pur consapevoli di apparire affetti da disturbo paranoico, non possiamo non ricordare lo “strano” incidente aereo di Mattei e la fine ingloriosa della Chimica Italiana (e di Raul Gardini).
E Adriano Olivetti?
Morì nell’ultimo vagone di seconda classe, in un treno svizzero (lui, che viaggiava sempre in prima classe…) per un “improvviso malore”.
Non essendo mai stata eseguita l’autopsia, non possiamo spingerci più di tanto con le illazioni ma, certi documenti della Cia, desecretati, sono a giudizio di chi ha indagato sulla morte di Olivetti, assai inquietanti.
Siamo nel 1960 (ventisette febbraio).
Durante i funerali, vi fu un furto nella villa di famiglia, con la sottrazione di documenti assai importanti.
Poco tempo dopo, in un incidente stradale, morì il suo migliore collaboratore.
Ma, per fortuna, continua a ricordarci Carl Gustav Jung, ci sono anche persone che fungono da sono antidoto. E li troviamo, anche questa volta, intorno a noi.
Anche queste, a volte, si chiamano mamma, papà, nonno o nonna; altre volte si chiamano marito, moglie, fidanzato, amico, maestra, psicologo….
A volte non sappiamo neanche come chiamarli, ma sappiamo soltanto una cosa: che ci fanno stare bene. Sono queste le persone di cui dovremmo circondarci. E sono sempre queste le persone che dovremmo diventare.
Perché, cari Lettori, c’è chi ogni giorno sceglie d’essere un po’ meno “veleno”, lavorando su sé stesso (come spiegava Jung) e provando a diventare “antidoto”.
La vita, nella “Famiglia” Olivetti, era diversa da qualsiasi altra fabbrica italiana, con un’organizzazione del lavoro che comprendeva un’idea di felicità collettiva: si racconta (tra l’altro) della presenza costante, nelle linee di montaggio, di un cameriere in guanti bianchi pronto a esaudire esigenze di caffè e di quanto altro potesse servire ad alleviare e allietare, attraverso l’appagamento del gusto, della vista e dell’olfatto.
Ho cercato di portare avanti la missione per far finire il regno del denaro nella Società industriale.
E, come se ciò non bastasse, Adriano Olivetti aveva aggiunto un completo sistema di servizi sociali per i lavoratori, che comprendeva quartieri residenziali, ambulatori medici, asili, mensa, biblioteca e cinema gratuiti.
Io voglio che lei capisca il nero di un lunedì nella vita di un operaio. Altrimenti non si può fare il mestiere di manager, non si può dirigere, se non si sa che cosa fanno gli altri. A volte, quando lavoro fino a tardi vedo le luci degli operai che fanno il doppio turno, degli impiegati, degli ingegneri, e mi viene voglia di andare a porgere un saluto pieno di riconoscenza.
L’azienda, incredibile a dirsi, “accoglieva” anche artisti (scrittori, disegnatori e poeti), con la convinzione di avere bisogno di chiunque potesse arricchire il lavoro, con creatività e sensibilità.
La bellezza, insieme all’amore, la verità e la giustizia, rappresenta un’autentica promozione spirituale. Gli Uomini, le Ideologie, gli Stati che dimenticheranno una sola di queste forze creatrici, non potranno indicare a nessuno il cammino della civiltà.
Alla base di tutto c’è l’idea di comunità, definita da Olivetti come l’unica via da seguire per superare la separazione tra industria e agricoltura, tra produzione e cultura.
La sua idea andava verso la creazione di una fondazione che potesse riunire azionisti, enti pubblici, università e rappresentanze dei lavoratori, in modo da eliminare qualsiasi tipo di differenza e considerare l’idea di comunità come obiettivo.
I risultati, in termini di risultati e soddisfazione collettiva, furono enormi.
Grazie a un azione risultante da un vero e proprio mix di pratica diretta, esperienza sul campo e studio delle più moderne idee sull’industrializzazione, si crearono le basi per la produzione di veri e propri oggetti di culto e modernità, come l’incredibile (e pluripremiata) macchina per scrivere portatile “Olivetti Lettera 22“ (esposta al Museo di Arte Moderna di New York), o i primi calcolatori elettronici (precursori degli odierni computer), come “ELEA 9003“.
Cooperazione e reciproco rispetto fanno della Olivetti anni Cinquanta, una fabbrica leader nel mondo.
Lasciate ognuno essere ciò che vuole essere; e se non vi sta bene, e se non vi accomoda, allontanatevi pure, che problema c’è? Ma non entrate mai nell’idea di voler cambiare l’altro. Condividere e crescere assieme, si, questa è una buona cosa; l’aiutarsi a crescere, a guarire e a liberarsi, bene, ottima cosa; ma quando vogliamo cambiare gli altri, davvero sappiamo quale sia la strada giusta? (Roberto Potocniak)
Adriano Olivetti, amava che ci si rivolgesse a lui come a un Socialista liberale, attivo anche come editore e scrittore. Trasforma, infatti, una piccola casa editrice fondata in precedenza con alcuni amici, la Nei (Nuove Edizioni Ivrea), nelle Edizioni di Comunità e avvia un vasto programma editoriale che comprende opere di tutti i settori: dalla filosofia, alla sociologia, all’economia, di autori ancora sconosciuti al grande pubblico.
Comunità è anche il nome del movimento politico e culturale che Adriano fonda nel 1947, (con l’intento di affermare nuovi equilibri sociali, politici ed economici) e con cui si presenta anche alle elezioni amministrative del 1956, diventando sindaco di Ivrea.
Uno dei sentimenti più gratificanti che io conosca, sorge dall’apprezzare un individuo nello stesso modo in cui si apprezza un tramonto. Quando osservo un tramonto, non sono tentato dal modificarne le sfumature ma ne ammiro, con soggezione, il suo dispiegarsi. (Carl R. Rogers)
E, per tornare alla sua idea di Politica, possiamo soltanto ricordare che partecipò con Carlo Rosselli, Ferruccio Parri e Sandro Pertini alla liberazione e alla rocambolesca fuga di Filippo Turati e al salvataggio della cognata Natalia Ginzburg coi nipotini.
Le parole con cui Natalia parla di ciò nel suo volume “Lessico famigliare” restano vivide nella memoria e danno un’idea perfetta della grandezza umana e sociale di Olivetti: “Aveva Adriano il viso di quando era venuto a prendere Turati da noi, viso trafelato, spaventato e felice di quando portava in salvo qualcuno”.
Il ventisette gennaio di quest’anno, al teatro Italia di Lessona (a Biella) le canzoni di Bob Dylan hanno accompagnato la storia di Adriano Olivetti nello spettacolo “Direction home”.
Particolarmente suggestiva è stata Hurricane (Uragano), con cui il cantautore americano racconta la vicenda del pugile Rubin Carter, ingiustamente accusato di triplice omicidio.
Rubin ‘Hurricane’ Carter vive una gioventù difficile, crescendo in un’America razzista. Dopo essere finito in riformatorio per un reato “non commesso”, diventa un pugile professionista, arrivando a sfidare il campione del mondo dei pesi medi. Nell’incontro, viene sconfitto ai punti, nonostante meritasse ampiamente la vittoria, per ragioni razziali.
Poco dopo viene accusato e condannato ingiustamente a tre ergastoli per triplice omicidio.
La sua autobiografia arriva nelle mani di un ragazzo di Brooklyn che prende a cuore la sua situazione, convincendo degli avvocati canadesi a chiedere la revisione del processo, ottenendo la scarcerazione di questo innocente.
Cari Lettori, partendo dalla particolare immagine di copertina che vede Adriano Olivetti accanto a sua figlia Laura, non possiamo fare a meno di associare, attraverso la canzone di Bob Dylan, Rubin Carter all’Ingegnere di Ivrea: due “Uragani”, vittime di un sistema sbagliato ma “risuscitati”, contro ogni ingiustizia, da due giovani speranze.
Laura, infatti, si occupa della “Fondazione Adriano Olivetti”
Che, a Ivrea, continua a valorizzare quegli “asset intangibili” che ancora esistono e che, attraverso il capitale umano, producono innovazione, i germogli dei semi lasciati dalla Olivetti.
Essere Hurricane è magnifico
- Signor Carter, ora che è fuori, si chiamerà ancora Hurricane?
- Io sarò sempre Hurricane. Essere Hurricane, è magnifico!
Non occorre essere colti. Bisogna essere umani (Alda Merini)
Enzo Ferraro – già Dirigente Scolastico, Letterato, Umanista, Politologo
Giorgio Marchese – Direttore “La Strad@”
Un ringraziamento affettuoso ad Amedeo Occhiuto, per la collaborazione