Pubblicato su Lo SciacquaLingua
Con la variante “far la figura del cappellone” quest’espressione – di uso raro, per la verità, e non molto conosciuta, quindi – si tira in ballo quando si vuole mettere in evidenza la brutta figura di una persona, non all’altezza della situazione in cui viene a trovarsi, per inesperienza o perché totalmente estranea all’ambiente in cui è costretta.
La locuzione è ripresa dal gergo militare: il “cappellone” designa la recluta appena giunta in caserma, completamente estranea all’ambiente e il più delle volte fatta oggetto di scherzi, anche pesanti, da parte dei commilitoni più anziani, quelli che in gergo vengono chiamati “nonni” e, se prossimi al congedo, “borghesi”.
E a proposito di cappellone come non ricordare l’espressione “prendere cappello” che – come sappiamo – significa offendersi, impermalirsi?
La spiegazione è semplice (e intuitiva). Colui/colei che si sente offeso/offesa abbandona bruscamente il luogo del “misfatto” e prende il cappello prima di andarsene.
A cura di Fausto Raso
Giornalista pubblicista, laureato in “Scienze della comunicazione” e specializzato in “Editoria e giornalismo” L’argomento della tesi è stato: “Problemi e dubbi grammaticali in testi del giornalismo multimediale contemporaneo”). Titolare della rubrica di lingua del “Giornale d’Italia” dal 1990 al 2002. Collabora con varie testate tra cui il periodico romano “Città mese” di cui è anche garante del lettore. Ha scritto, con Carlo Picozza, giornalista di “Repubblica”, il libro “Errori e Orrori. Per non essere piantati in Nasso dall’italiano”, con la presentazione di Lorenzo Del Boca, già presidente dell’Ordine nazionale dei giornalisti, con la prefazione di Curzio Maltese, editorialista di “Repubblica” e con le illustrazioni di Massimo Bucchi, vignettista di “Repubblica”. Editore Gangemi – Roma.