Pubblicato su Lo SciacquaLingua
Come imparammo a suo tempo, a scuola, i verbi italiani si dividono in tre coniugazioni. Appartengono alla prima i verbi il cui infinito presente finisce in “-are” (amare); alla seconda quelli il cui infinito finisce in “-ere” (credere); alla terza, infine, i verbi che terminano in “-ire” (sentire). Alcuni, però, hanno una terminazione particolare in quanto si discosta da quella delle tre coniugazioni; sono verbi, che chiameremo “strani”, il cui infinito presente finisce in “-arre”, “-orre” e “-urre”. Tra questi i piú comuni sono “trarre”, “porre” e “condurre”. Come classificarli, dunque? A quale coniugazione appartengono? Tutti e tre alla seconda perché sono le forme contratte del latino “tràhere” (trarre), “pònere” (porre) e “condúcere” (condurre).
A questi bisogna aggiungere “fare” e “dire” – entrambi appartenenti alla seconda coniugazione, nonostante qualche grammatico (“saccente”) dissenta – perché anch’essi sono le forme sincopate dei verbi latini “facere” e “dicere”. Qualche osservazione, ora, sui verbi (sempre della seconda coniugazione) “tacere”, “piacere” e “giacere”.
I suddetti verbi, dunque, presentano una particolarità che la maggior parte delle grammatiche non riportano: il raddoppiamento della consonante “c” – nonostante il tema o radice ne contenga una sola – in alcune persone del congiuntivo e dell’indicativo. Perché, dunque, questo raddoppiamento improprio? La motivazione è “storica” e va ricercata nel fatto che il nostro idioma è un “miscuglio” di dialetti. La prima persona plurale del presente indicativo e congiuntivo di ‘tacere’ (ma anche di ‘giacere’ e ‘piacere’) – noi tacciamo – ha subíto l’influenza del dialetto meridionale che – al contrario di quello settentrionale, veneto in particolare – tende al raddoppiamento delle consonanti. Si dica e si scriva, dunque, noi ‘tacciamo’ nell’accezione di “fare silenzio”, nessuno potrà essere ‘tacciato’ (accusato) di ignoranza linguistica, anzi…
A cura di Fausto Raso
Giornalista pubblicista, laureato in “Scienze della comunicazione” e specializzato in “Editoria e giornalismo” L’argomento della tesi è stato: “Problemi e dubbi grammaticali in testi del giornalismo multimediale contemporaneo”). Titolare della rubrica di lingua del “Giornale d’Italia” dal 1990 al 2002. Collabora con varie testate tra cui il periodico romano “Città mese” di cui è anche garante del lettore. Ha scritto, con Carlo Picozza, giornalista di “Repubblica”, il libro “Errori e Orrori. Per non essere piantati in Nasso dall’italiano”, con la presentazione di Lorenzo Del Boca, già presidente dell’Ordine nazionale dei giornalisti, con la prefazione di Curzio Maltese, editorialista di “Repubblica” e con le illustrazioni di Massimo Bucchi, vignettista di “Repubblica”. Editore Gangemi – Roma.