Pubblicato su Lo SciacquaLingua
Riprendiamo il nostro viaggio attraverso l’immensa foresta del vocabolario della lingua italiana alla scoperta di parole di uso comune il cui significato “vero” è nascosto. Prendiamo, per esempio, il verbo “scappare”. Chi non conosce il significato “scoperto”? Scappare significa – e lo sappiamo per “pratica”, per esperienza – “allontanarsi velocemente per sfuggire qualcosa o qualcuno”: i malviventi, vedendo la polizia, scapparono a gambe levate.
Bene. Questo il significato “scoperto”. E quello “nascosto”? Quello, cioè, insito nella parola, piú esattamente “all’interno” del verbo? È piú semplice di quanto si possa immaginare. La persona che scappa, metaforicamente, “si toglie la cappa” (il mantello) per essere piú libera nei movimenti. Sotto il profilo etimologico “scappare” è formato con il prefisso sottrattivo “s-” e il sostantivo “cappa”; è un verbo denominale quindi, e vale, appunto, “togliersi la cappa” per fuggire piú rapidamente e per non farsi prendere dai lembi del mantello (o cappotto)”. È l’opposto di “incappare” che, oltre all’accezione primaria di “indossare la cappa”, significa anche “incorrere in pericoli, in insidie, in errori”: incappò nei rigori della legge. Anche questo è un verbo parasintetico derivando da un sostantivo con l’aggiunta di un prefisso, per l’esattezza il sostantivo cappa e il prefisso “in-”, e propriamente significa “andare a cadere in qualcosa che avvolge come una cappa”.
Scappare, per assonanza, ci ha richiamato alla mente il verbo “scampare” il cui significato è chiarissimo: “sfuggire a un pericolo”, “salvarsi”, “rifugiarsi”: pochi scamparono dal naufragio; scampò in un paese straniero. Anche questo verbo ha un significato “nascosto”: colui che scampa a un pericolo “esce da un campo di battaglia”. È composto, infatti, con il prefisso “s-” e il sostantivo “campo” e propriamente vale “uscire salvo dal campo (sottinteso “di battaglia”) ”. Quanto all’ausiliare, a seconda del contesto, può prendere tanto ‘essere’ quanto ‘avere’.
Giornalista pubblicista, laureato in “Scienze della comunicazione” e specializzato in “Editoria e giornalismo” L’argomento della tesi è stato: “Problemi e dubbi grammaticali in testi del giornalismo multimediale contemporaneo”). Titolare della rubrica di lingua del “Giornale d’Italia” dal 1990 al 2002. Collabora con varie testate tra cui il periodico romano “Città mese” di cui è anche garante del lettore. Ha scritto, con Carlo Picozza, giornalista di “Repubblica”, il libro “Errori e Orrori. Per non essere piantati in Nasso dall’italiano”, con la presentazione di Lorenzo Del Boca, già presidente dell’Ordine nazionale dei giornalisti, con la prefazione di Curzio Maltese, editorialista di “Repubblica” e con le illustrazioni di Massimo Bucchi, vignettista di “Repubblica”. Editore Gangemi – Roma.