UNA VITA CONTROVENTO – 2
Ritornando al matrimonio di Aurora, ricordo ancora la mia emozione: avevo il ruolo da damina e portare le fedi. Per la prima volta mi sentii importante e lusingata perché ero molto legata a lei, volevo starle sempre accanto e appiccicata addosso, al punto che, prima che si sposasse, per non farmi piangere usciva di nascosto.
Quando se ne andò da casa, sentii la mancanza in un modo assurdo, l’unica cosa positiva era che pranzava da noi tutti i giorni perché lavorava mattina e pomeriggio e non aveva il tempo per rientrare a casa. E fu proprio lei a regalarmi la prima gioia quando mi disse che aspettava un figlio.
Ero talmente entusiasta di diventare zia che sognavo la nascita tutte le notti. Appena venimmo a sapere che sarebbe stata una bimba, per potergli regalare il suo primo vestitino misi da parte i soldi che mia madre mi dava per comprare il panino per la scuola, fino a quando raggiunto la cifra adeguata la diedi ad Aurora che comprò vestitino e scarpette.
Per la prima volta mi sentii grande e orgogliosa di aver fatto qualcosa con i miei risparmi.
Il momento della sua nascita fu uno dei più belli per me, la chiamarono Alessandra come mia madre, era veramente un angelo e l’emozione che provocò la sua nascita fu per noi immensa, addirittura piansi di gioia. Appena Aurora uscì dalla clinica venne a stare un po’ da noi: non perdevo occasione per coccolare Alessandra, ero sempre io a volerla cullare e prendermi cura di lei e nonostante avessi solo 12 anni ero capacissima di farlo. Lei per me è stata la sorella più piccola, si può dire che ha vissuto sempre a casa nostra: per i primi tre anni veniva tutti i pomeriggi e ogni fine settimana rimaneva a dormire, fino a quando mia sorella, dopo una lunga crisi con il marito, decise di separarsi e venire a vivere definitivamente da noi.
Rimase però solo un anno, perché intraprese una relazione con un’altra persona con cui decise di andare a convivere, ma sia mia madre che il suo ex marito non le permisero di portare la bimba con se, quindi la piccola rimase da noi dove è stata cresciuta con amore, soprattutto con l’amore di mia madre che cercò di darle il meglio per riempire quel vuoto che le era rimasto quando la sua mamma andò via. Nonostante tutto questo affetto la sua sofferenza è stata così tanta che dei segni indelebili sono rimasti nella sua mente. Ricordo le notti che piangeva nel sonno, i suoi deliri quando aveva la febbre, oppure le urla e gli strepiti quando la mamma andava via dopo averle fatto visita.
Le cose peggiorarono quando Aurora ebbe Nives, la sua seconda figlia.
Alessandra visse questa nascita come un vero tradimento da parte della madre. Le dicemmo che non poteva stare con lei perché la sorellina non stava bene, ma crescendo capì che non era una cosa naturale, cosi cominciò a nutrire rancore verso la madre e soprattutto verso Nives. In effetti non hanno mai avuto un rapporto.
Mia madre ha vissuto la separazione di mia sorella e la sua nuova relazione come un dramma.
Il fatto di aver abbandonato la figlia e addirittura averne avuta un’altra dal suo nuovo compagno la portarono a non voler conoscere quell’uomo, almeno fino alla nascita di Nives. Anche in questa situazione si trovò da sola, perché mio padre, non vivendo più in casa, non aveva interesse a ciò che accadeva in ambito familiare, persino la nascita di Alessandra non lo toccò minimamente, lui stava bene solo con l’alcol.
Quel tenore di vita non gli permise di vivere a lungo e all’età di 51 anni morì per un arresto cardiaco. Ricordo perfettamente quel giorno, era una caldissima sera d’estate precisamente il 2 luglio 1994, erano iniziati i mondiali di calcio e lui aveva appena finito di vedere la partita dell’Italia quando cominciò ad avvertire il malore. Dai racconti di mia nonna: si sdraiò sul letto e cominciò a chiamare tutti i figli per nome pronunciando anche quello di mia madre. La nonna allarmata chiamò mio fratello Davide che avvertì subito i soccorsi precipitandosi, ma appena arrivò lo vide nell’ambulanza mentre cercavano di rianimarlo inutilmente. Non ci fu più niente da fare il suo cuore si fermò, era troppo compromesso tra alcol e fumo eccessivo. Non poteva andare diversamente!
Lo venni a sapere nel modo peggiore da una mia amica.
Era sabato e come consueto uscivo con gli amici, ero oramai quindicenne. Quella sera volevo restare fuori anche per la cena, precisamente a mangiare una pizza e per paura che mia madre mi dicesse di no, per le sue rigide regole e orari da rispettare, la feci telefonare da questa mia amica. A questa richiesta mia madre ovviamente rispose di no, spiegandole l’accaduto e assicurandosi di riferirmi solo che mio padre stava male, perché avrebbe voluto parlarmi lei, di persona.
Ma cosi non fu.
Appena chiuse il telefono la mia amica senza un minimo di sensibilità mi disse: “non puoi venire perché tuo padre è morto e devi andare in ospedale, sono tutti li”. In quel momento provai un misto di emozioni verso mio padre, ma quella che prevalse di più è stata la rabbia, era così tanta che avrei voluto urlagli contro, anche se sapevo che non poteva più sentire. Avrei voluto rinfacciargli tutte le mancanze, le paure e le sofferenze subite a causa sua, ma la rabbia maggiore che provavo era che non aveva saputo prendersi cura neanche di se stesso.
Arrivata in ospedale insieme alla mia amica, cominciai a cercare qualcuno della famiglia guardando ovunque, quando, ad un tratto, lo sguardo si posò vicino ad una finestra, mi avvicinai e vidi mio padre sdraiato su una barella coperto da un lenzuolo, si vedeva solo la testa gonfia e tutta nera. Quell’immagine rimase indelebile nella mia mente, ancora oggi a ripensarci mi vengono i brividi.
Da allora cominciai a perdermi.
Mia madre era sempre più assorbita dal suo lavoro, più ore faceva e più il compenso era alto e, visto le necessità che avevamo, non si risparmiò. Ma io ero nella fase più critica dell’adolescenza, ero vulnerabile e facilmente condizionabile, a quell’età è difficile distinguere il bene dal male.
Cominciai a non andare a scuola e ad andare in giro con gli altri compagni, a perdere tempo inutilmente. Fino a che un giorno incontrai un ragazzo, Bryan: in sella alla sua moto mi fissò intensamente con i suoi grandi occhi neri tantoche provai imbarazzo e inevitabilmente arrossii. Ma non era la prima volta che lo vedevo, lui era il fratello di mio cognato ed in qualche occasione lo avevo già incontrato. A parte aver notato la sua immensa bellezza, non avevo però mostrato nessun tipo di interesse verso di lui, frequentavo a quel tempo un altro ragazzo cui ero molto legata.
Lui era più grande di me e visto la differenza di età, avevamo esigenze diverse e per questo non esitò a tradirmi. Cosi cominciarono le mie prime delusioni amorose. Ripensai ad un episodio dove mi fece una scenata di gelosia proprio a causa di Bryan ed essendo io vendicativa di carattere, appena mi si presentò l’occasione di rincontrarlo non esitai a lasciarmi corteggiare. Purtroppo non mi resi conto che il male lo stavo facendo solo a me stessa.
Dopo i primi mesi passati a conoscerci e a vivere quell’amore ingenuo e pulito tipico di quell’età, mi ritrovai fidanzata ufficialmente, visto anche il legame che c’era già da tempo tra mia sorella e suo fratello. Lui cominciò ad essere possessivo, geloso, aggressivo e manesco, fu un vero incubo. Gli anni scorrevano velocemente e io mi trovai sempre più intrappolata in quel rapporto malato. L’errore più grande che feci fu nascondere tutto alla mia famiglia per paura di creare ulteriori dispiaceri a mia madre. Al contrario, la sua famiglia sapeva tutto, ma rimasero impassibili pur di tenerlo buono, dal momento che sapevano essere un soggetto ribelle.
Arrivarono al punto da nascondermi una situazione gravissima che lo riguardava. Era il giorno del suo diciottesimo compleanno, andai a casa sua per ultimare i preparativi della festa che stavamo organizzando da giorni ma non lo trovai, i suoi genitori mi dissero che era andato a Crotone dai nonni, suo nonno non stava bene e aveva bisogno del suo aiuto nei campi. Io credetti a quella versione, ero una ragazzina ingenua e in buona fede. Ma dopo un po’ di tempo mio fratello tramite un articolo di giornale, scoprì che era stato arrestato per una rapina.
Quando rientrò a casa mi mostrò il giornale arrabbiato, mi cadde il mondo addosso, ero all’oscuro di tutto ed ebbi una grande crisi di pianto.
Dopo un pò di tempo lo rilasciarono per gli arresti domiciliari e subito mi cercò per telefono, chiedendomi di andare a trovarlo per darmi delle spiegazioni. Cosi, andai. Ovviamente mi riempì di bugie e io, troppo coinvolta sentimentalmente, gli credetti e mi lasciai raggirare. La situazione non fece che peggiorare, lui non poteva uscire, cosi costringeva anche me a restare in casa. La mia famiglia non mi abbandonò, mia mamma mi costrinse a trovare un lavoro visto che a causa sua non volevo più andare a scuola. E così feci. Ovviamente a lui questo andava bene perché pensò di sfruttare la cosa a suo favore. Ogni qualvolta mi pagavano lo stipendio, con una scusa sempre diversa, chiedeva del denaro: non solo gli compravo le sigarette quotidianamente ma mi chiese persino di pagare la parcella del suo avvocato. Cominciai a stancarmi di subire tutti questi soprusi e a ribellarmi e non appena lui si accorse che mi stavo allontanando pensò bene di incastrarmi, mettendomi incinta. Non mi resi conto immediatamente di quello che era successo e prima ancora di capire trovai il coraggio e la forza di lasciarlo, raccontando la maggior parte delle cose a mia madre. Non andai più a casa sua, non rispondevo più alle sue telefonate, mi facevo negare tutte le volte che si presentava a casa mia. Mia madre decise che la cosa migliore era farmi allontanare per un po’ e decise di mandarmi a Milano dai miei cugini. Rimasi li per due mesi e durante la mia permanenza cominciai a sentirmi male, avevo frequentemente nausee, mal di stomaco, rigurgiti, rifiutavo ogni tipo di cibo. Tutti pensarono che era l’aria di Milano a farmi male, ma non era così.
Si trattava di qualcosa che mi avrebbe segnato per tutta la vita….
CONTINUA…
Francesca Posteraro
Adattamento del testo: Fernanda Annesi,