All’inizio cercavo di ricordare tutto alla perfezione, le sue frasi, i pensieri… poi ho compreso che non dovevo avere ansia, perché tutto ciò che voleva raccontare era già nelle sue parole (Roberta Bellesini)
Caro Giorgio, il tuo nome ha molte sfaccettature (dall’imperiale Latino “Georgius”, al Bizantino Georgios) ma, di fatto, connota (come ricordano gli antichi Greci) chi, come coltivatore, è capace di stimolare la crescita di quello che, Madre Terra, offre.
In questi ultimi dieci anni sono accadute tante cose e, forse, molte di più se ne sono estrinsecate in quel tremendo 2014.
Dalla prima crisi Ucraina, alla nascita del Califfato in Iraq e Siria (ISIS); dalla infinita guerra di Gaza all’allarme Ebola.
Tutti eventi che, a ben riflettere, abbiamo rimosso dal campo della nostra memoria cosciente.
Eppure, ripensando a te, questo tempo diventa “strano” perché dilata la sua percezione, diventando, al tempo stesso, tantissimo e pochissimo.
Ricordiamo la tua voce, i tuoi personaggi televisivi, le tue canzoni, i tuoi libri.
La magia di Giorgio Faletti che, a un certo punto della sua vita è sembrato ingranare tutto, riuscendo a realizzare, con profondità e leggerezza, ogni cosa che immaginava di portare a termine.
La percezione è che, molti di noi, abbiamo voglia di ricordarti.
Forse perché hai lasciato una bella immagine di te, come persona, a prescindere dai personaggi interpretati.
Sono un giocatore. Non sono mai immobile. Non mi ripeto. Investigo, corro, rischio, sperimento. Vorrei che la gente sapesse che in tutti questi anni non mi sono mai fermato. Continuo a cercare strade nuove.
Ma, se ce lo consenti, apriamo l’album dei ricordi.
Una laurea in Giurisprudenza e, poi, l’esordio in Televisione nel 1983 come cabarettista. Solo due anni dopo, nel 1985, conquisti il pubblico di Drive in e, il tuo “Vito Catozzo” entra a far parte della storia dell’etere televisivo.
Ogni mio personaggio l’ho interpretato. Vito Catozzo, no! È stato lui a impossessarsi di me!
Nel 1994 al Festival di Sanremo ti classifichi al 2º posto e ti aggiudichi anche il Premio della Critica con la “potente” Signor tenente ispirata alle stragi di Capàci (e di via D’Amelio).
E, nel 2002 pubblichi il tuo “Io uccido”: un successo da quattro milioni di copie.
L’importante non è quello che trovi alla fine di una corsa. L’importante è quello che provi mentre corri.
Camminando camminando, di successo in successo, nel 2006, con il film Notte prima degli esami ottieni la nomination al David di Donatello come migliore attore non protagonista, con il prof Antonio Martinelli.
“Quando l’ultimo giorno di scuola dell’ultimo anno di Liceo, suona la campanella dell’ultima ora, tu sei convinto che, quello, sia l’ultimo secondo della tua adolescenza e senti il bisogno di sottolineare l’evento, con una frase storica (Che la forza sia con noi! – oppure – Campioni del Mondo, Campioni del Mondo!) ma, soprattutto, hai una grandissima voglia di fare saltare il tappo che ti ha chiuso lo stomaco per cinque lunghissimi anni. Antonio Martinelli, il professore di Lettere più bastardo di tutta l’Umanità, soprannominato Carogna, da quattro generazioni di studenti. Io, per lui, non ero una persona: ero soltanto un numero e, precisamente, un sei meno meno”.
Potremmo continuare ma bastano queste poche righe per autorizzare la domanda: Ma chi eri, veramente, Giorgio Faletti?
Per noi, senz’altro un uomo “spumeggiante”. Non a caso nato ad Asti: il paese delle “bollicine”.
Comico, cantante, paroliere, scrittore, attore, pittore, quante anime si sono nascoste dietro quei tuoi imperscrutabili occhi azzurri.
Chi è abituato ad incasellare le persone, anche importanti, in blocchi ben precisi, con te si trova in somma difficoltà perché gli sfuggi sempre di mano.
Mentre ci pare di averti “catturato” come cabarettista, ti presenti con una notevole attività letteraria di qualità.
“Porco il mondo che ciò sotto i piedi” (1994) stupì tutti per la piacevole novità.
Col secondo romanzo, “Niente di vero tranne gli occhi”, raggiungesti un successo incredibile con vendite da far invidia ai cosiddetti romanzieri di mestiere: tre milioni e mezzo di copie vendute.
Jeffery Deaver (un autore di thriller di grande successo) dichiarò: “Uno come Faletti, dalle mie parti si definisce largher than life, uno che diventerà leggenda”.
Fuori dai luoghi comuni, dalle facili etichette, la tua vita artistica è contraddistinta da una grande versatilità che diventa un’arte tra le arti: in qualunque di essa ti sei cimentato, è stato un successo.
Raggiunta la statura per guardarmi allo specchio del bagno, ho capito che sulla bellezza non potevo contare (Giorgio Faletti)
I tuoi thriller diventano subito best seller e, questo, non ti risparmia (anzi fomenta) una parte della bieca critica che avrebbe voluto racchiuderti in una sola categoria, in un solo mestiere. Perché non si può saper fare bene tutto.
Io sono Dio è il tuo quinto romanzo, pubblicato nel 2009 e, nei ringraziamenti,scrivi: “Chi ha letto questo romanzo ha capito che non c’è nulla di autobiografico nel titolo. A chi non lo ha letto e pensa che ci sia, lascio intatta questa presunzione che mi onora”
E, in un’intervista, dichiari: “Quando ho iniziato a dire in giro il titolo, che è una battuta di Robert De Niro in Men Of Honor, qualcuno ha commentato sarcasticamente. Tenendo presente che quando ho intitolato il mio primo libro “Io uccido” nessun poliziotto è venuto a cercarmi, non capisco perché questo abbia, invece, suscitato sospetti di onnipotenza”
Lui mi guarda e ha la forza di non abbassare gli occhi. Io lo guardo e ho la debolezza di non distogliere i miei
Ironico, profondo, versatile, dall’intenso azzurro dei tuoi occhi traspare una velata malinconia, che sembra rivelare la precarietà della vita.
Io la morte l’ho già incontrata. Mi ha tirato una falciata ma, io, mi sono abbassato e mi ha portato via solo i capelli
Un Libro è il Tempo. Un Quadro è il Lampo
Uno strano scherzo del destino o cosa? Quel lampo a ciel sereno (l’ictus) che ti colpisce alla fine della tua prima fatica letteraria…
Ma, tu, sei uno che riesce a vivere mille vite diverse, senza tirarsi mai indietro e continua a rischiare, a sperimentare, a mettersi in gioco e a vincere.
Convivo con questo oscuro personaggio che si chiama Giorgio Faletti e non so mai che cosa aspettarmi da lui.
Il riconoscimento delle tue notevoli qualità, lo dobbiamo ad un cantautore del calibro di Enrico Ruggeri, presente nel 2015, come super ospite, al Festival di Sanremo, che offre la sua “Tre signori”, dedicata ad Enzo Jannacci, Giorgio Gaber e a te
Grazie alla tua multiforme attività hai cercato di capire il senso e l’arcano della vita, mantenendo, in ogni ambito, una saggezza di fondo, tipica di chi ha “capito il gioco”.
La vita è precaria e tutto sommato sempre breve assai, a giudicare dal nostro desiderio di restare il più a lungo “qui”.
Con gli anni accumuliamo ricordi, ma, come ci hai spiegato, “andare a caccia di ricordi non è mai un bell’affare. Quelli belli non li puoi più catturare e quelli brutti non li puoi uccidere”.
I ricordi hanno bisogno di molto tempo per sparire. A meno che non li vai a cercare per fare pace con quel se’ impaurito, frustrato e deluso.
E, infatti, basta un nulla per riaffiorare: una voce, un suono, un’immagine, un profumo, un odore…
E poi arriva il 4 luglio del 2014, e a 63 anni, te ne sei andato.
Questa volta la falciata ti ha colpito in pieno ma, noi, restiamo ancora incantati dal tuo estro, dal tuo fare poliedrico, dalle tue infinite possibilità di esprimere non solo un uomo ma una moltitudine di uomini, di sguardi, di sfumature, di espressioni artistiche in cui ci hai raccontato la possibilità e la capacità dell’uomo di poter attraversare infinite vite in un’unica vita.
E ti lasciamo, mentre guardi la tua amata isola d’Elba a immaginare l’ultimo giorno di sole.
Cari Lettori, il ricordo di Giorgio Faletti a 10 anni dalla sua scomparsa risiede nelle immagini finali di “Notte prima degli esami” quando, il prof. Antonio Martinelli, sorride compiaciuto di fronte alla bella esposizione del suo studente Luca Molinari.
E qui, secondo noi, che si esprime la grandiosa timidezza di Giorgio Faletti.
Ci vollero molte cene perché vincesse il blocco e mi desse il primo bacio, a casa sua. Poco dopo, mi chiese di andare a vivere insieme. (Roberta Bellesini)
Si racconta che in una notte d’inverno, un cacciatore uscì di casa, sperando di trovare la morte, per via della profonda solitudine che non sopportava più.
Imbattendosi in femmina di coyote che, in procinto di partorire, stava rischiando l’assideramento, immediatamente la copre col suo mantello e l’abbraccia per proteggerla dal gelo e dalla neve.
Al mattino, il Dio del Vento, provò compassione e commozione nel trovare una mamma e i propri cuccioli scaldati dal corpo di colui che aveva scelto di sacrificarsi per loro, scoprendo, per la prima volta, il vero significato della parola Amore
Il Dio della Foresta, per premiarlo di questa azione concesse allo spirito del cacciatore divenuto buono, di potere essere ovunque: nella neve, nei pini, nei ruscelli, persino nel vento stesso.
Ed è per questo che, da allora, i coyote hanno imparato ad ululare alla luna, nella speranza di poterlo rivedere e riabbracciarlo.
Signor Tenente
Forse possiamo cambiarla ma è l’unica che c’è
Questa vita di stracci e sorrisi e di mezze parole
Forse cent’anni o duecento è un attimo che va
Fosse di un attimo appena sarebbe con me
Tutti vestiti di vento a inseguirci nel sole
Tutti aggrappati ad un filo e non sappiamo dove
Minchia signor tenente, che siamo usciti dalla centrale
Ed in costante contatto radio, abbiamo preso la provinciale
Ed al chilometro 41, presso la casa cantoniera
Nascosto bene la nostra auto, c’asse vedesse che non c’era
E abbiam montato l’autovelox e fatto multe senza pietà, a chi passava sopra i 50
Fossero pure i 50 d’età E preso uno senza patente
Minchia signor tenente, faceva un caldo che se bruciava
La provinciale sembrava un forno c’era l’asfalto che tremolava e che sbiadiva tutto lo sfondo
Ed è così, tutti sudati, che abbiam saputo di quel fattaccio
Di quei ragazzi morti ammazzati, gettati in aria come uno straccio
Caduti a terra come persone, che han fatto a pezzi con l’esplosivo
Che se non serve per cose buone, può diventare così cattivo che dopo
Quasi non resta niente
Minchia signor tenente e siamo qui con queste divise
Che tante volte ci vanno strette Specie da quando sono derise da un umorismo di barzellette
E siamo stanchi di sopportare quel che succede in questo paese
Dove ci tocca farci ammazzare per poco più d’un milione al mese
E c’è una cosa qui nella gola, una che proprio non ci va giù
E farla scendere è una parola, se chi ci ammazza prende di più
Di quel che prende la brava gente
Minchia signor tenente, lo so che parlo col comandante
Ma quanto tempo dovrà passare per star seduto su una volante
La voce in radio ci fa tremare, che di coraggio ne abbiamo tanto
Ma qui diventa sempre più dura quando ci tocca di fare i conti
Con il coraggio della paura e questo è quel che succede adesso
Che poi se c’è una chiamata urgente se prende su e ci si va lo stesso
E scusi tanto se non è niente
Minchia signor tenente, per cui se pensa che c’ho vent’anni
Credo che proprio non mi dà torto, se riesce a mettersi nei miei panni
Magari non mi farà rapporto e glielo dico sinceramente
Minchia signor tenente
“Io sono là, dove è sempre stato l’uomo, viaggiatore vincente del suo dolore: nel teatro dove non recita, ma vive ogni parola”. (Roberto Vecchioni)
Enzo Ferraro – già Dirigente Scolastico, Letterato, Umanista, Politologo
Giorgio Marchese – Direttore “La Strad@”
Un ringraziamento ad Amedeo Occhiuto, per l’affettuosa collaborazione