Pubblicato su Lo SciacquaLingua
Alcune divagazioni sulla nostra bella lingua cominciando proprio dal termine divagazione che, come tutti sappiamo, significa divertimento.
Questo sostantivo, dunque, è un deverbale, vale a dire un nome generato da un verbo, nella fattispecie il verbo divagare, appunto. Divagare, a sua volta, viene dal tardo latino divagari, composto del prefisso dis- (allontanamento, separazione) e del verbo vagari (vagare) e alla lettera vale andar girando qua e là, senza una meta.
La divagazione, per tanto, è un allontanamento dalla via intrapresa, una deviazione che ci spinge a gironzolare di qua e di là, per questo motivo ha acquisito il significato, non comune, di svago, di divertimento.
Divertiamoci, quindi, con alcune… divagazioni sulla lingua cominciando con un termine a tutti noto: mandarino. Questo sostantivo (ma anche aggettivo, forse pochi lo sanno) ha due distinti significati, ma la medesima origine etimologica (si perdoni il brutto gioco di parole).
Il primo significato è il più conosciuto: frutto simile a una piccola arancia, dolcissimo e fragrante, la cui buccia è giallognola e leggera. Il secondo significato – che ha dato origine al primo – è quello principe: titolo attribuito agli alti dignitari della corte imperiale cinese.
Occorre dire, però – e la cosa potrebbe sembrare inverosimile – che la Cina non conosce questo termine; tutti gli studiosi di lingua concordano sulla provenienza portoghese del vocabolo: mandarim.
Ci sono, invece, due scuole di pensiero circa l’origine di quest’ultimo vocabolo. Alcuni fanno risalire il portoghese mandarim al sanscrito mantrin (consigliere) che si riallaccerebbe alla radice man (pensare). I consiglieri non… pensano prima di dare un consiglio? E i dignitari di Corte non sono consiglieri? Altri autori, invece, propendono per il latino mandare nel senso di comandare, verbo che dà origine al contratto di mandato, previsto da tutti i codici civili europei.
Quanto al frutto che ha preso il nome di mandarino – la cosa ci sembra ovvia – è un riferimento scherzoso al colore giallo dei… Mandarini, cioè al colore della pelle dei dignitari (e del popolo) cinesi.
I botanici, però, non si preoccupano del termine mandarino e hanno battezzato l’albero col nome altisonante di Citrus nobilis, sottolineando la dolcezza, il profumo e la ricchezza di vitamine dei suoi frutti.
Divagando divagando siamo arrivati a due sostantivi pressoché simili nella scrittura (non uguali, si presti attenzione) ma con significati diversi: aerometro e areometro. Il primo è composto con le voci greche aer, aeros, (aria) e metron, (misura) e indica uno strumento che si usa per determinare i gradi della rarefazione o condensazione di un dato volume d’aria.
Il secondo, che si scrive senza l’inserimento della “e” tra la vocale “a” e la consonante “r”, è, invece, uno strumento galleggiante di metallo o di vetro che serve a misurare la gravità dei liquidi.
Si scrive senza la e perché è formato con le voci elleniche araiòs, (fluido) e mètron, (misura). Attenzione, quindi, c’è l’aerometro che è una cosa e l’areometro che è un’altra cosa.
E a proposito di parole composte con la voce greca aer, aeros, (aria), tipo aeroporto, aeronautica, aerodinamica, aerazione e simili, invitiamo la televisione di Stato e quella privata a controllare l’esatta grafia dei grafici prima di mandarli in onda. Qualche sera fa abbiamo letto su un grafico di un tg di Stato Arenautica in luogo della forma corretta Aeronautica. E prima ancora Aereonautica.
Sarà bene ricordare che tutti i sostantivi con il prefisso aer- non prendono mai la e dopo la r: aerostazione, aerodinamica e via dicendo. Solo per l’aggettivo (aereo) si deve conservare la e: veduta aerea.
Dimenticavamo. Mandarino ha anche una terza accezione, che scoprirete cliccando qui.
A cura di Fausto Raso
Giornalista pubblicista, laureato in “Scienze della comunicazione” e specializzato in “Editoria e giornalismo” L’argomento della tesi è stato: “Problemi e dubbi grammaticali in testi del giornalismo multimediale contemporaneo”). Titolare della rubrica di lingua del “Giornale d’Italia” dal 1990 al 2002. Collabora con varie testate tra cui il periodico romano “Città mese” di cui è anche garante del lettore. Ha scritto, con Carlo Picozza, giornalista di “Repubblica”, il libro “Errori e Orrori. Per non essere piantati in Nasso dall’italiano”, con la presentazione di Lorenzo Del Boca, già presidente dell’Ordine nazionale dei giornalisti, con la prefazione di Curzio Maltese, editorialista di “Repubblica” e con le illustrazioni di Massimo Bucchi, vignettista di “Repubblica”. Editore Gangemi – Roma.