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Rabbi, che cosa pensi del denaro?” – chiese un giovane al maestro. “Guarda dalla finestra” – rispose il maestro – “Cosa vedi?” – “Vedo una donna con un bambino, una carrozza trainata da due cavalli e un contadino che va al mercato”. “Bene. Adesso guarda nello specchio. Che cosa vedi?”. “Che cosa vuoi che veda Rabbi? Me stesso, naturalmente”. “Ora pensa: la finestra è fatta di vetro e anche lo specchio è fatto di vetro. Basta un sottilissimo strato d’argento sul vetro e l’uomo vede solo se stesso”. 

Moralità, onorabilità, incorruttibilità. Tre semplici parole. 

Però… se le ascolta un bambino, potrebbe trasformarle in una bella rima; se ci si galvanizza un adolescente, quest’ultimo potrebbe immaginare contesti simili a quelli del film “L’ultimo Samurai”Se ci si discute con un adulto, le si dovrebbe connotare come “la carne e il sangue” di ogni pre-requisito per una vita degna e proba. 

Cari Lettori, dovrebbe e potrebbe esser così.

Ma, purtroppo, così non è.

Ci sono, infatti, innumerevoli motivi che si stagliano all’orizzonte e si frappongono fra il “dire” e il “non fare”. La Morale, l’onore e il mantenersi “integri” nei pensieri e nei comportamenti, costituiscono, da sempre, il prodotto della migliore efficienza espressa dagli esseri umani per convivere in una dimensione di equidistanza, rispetto al positivo e al negativo. 

Fino ad ora, sulla morale ho appreso soltanto che una cosa è morale se ti fa sentire bene dopo averla fatta, e che è immorale se ti fa star male. (Ernest Hemingway)

Siamo bravi nell’esercizio delle pubbliche virtù, mantenendo privati i molti “vizi”.

Costruiamo, di conseguenza, una miriade di motivazioni velleitarie per disegnare confusione nella nostra mente e in quelle altrui.

Riusciamo, in tal modo, a spostare l’attenzione, per determinare, nelle coscienze, una sorta di sensibilità conformata verso un pubblico sussulto e un’indignazione a scoppio ritardato, di fronte a nefandezze che abbiamo, in un modo o nell’altro, contribuito a realizzare. Direttamente o indirettamente.

Gli uomini immorali ti irritano, quelli buoni ti annoiano (Oscar Wilde)

Fateci caso: quando l’indignazione tocca il fondo più inclinato della disperazione, diviene paradossalmente, terreno fertile per ogni ulteriore indifferenza.

Infatti, non sapendo come gestire uno stato d’animo combattuto fra il tentativo di reagire all’ingiustizia e il dover ammettere la propria impotenza, si finisce col defilare nel buio, molto della propria coscienza. Con la scusa che la vita ci insegna che i sogni si infrangono, puntualmente, ad ogni risveglio.

Eppure, un bimbo cresce aggrappato al seno della propria madre, sicuro del suo calore e un adolescente va incontro alla propria maturità attraverso un valore, che non è scambiabile con nessuna altra merce e si chiama rispetto.

Con questo termine (il Rispetto, appunto), la lingua italiana intende un sentimento di riguardo e considerazione nei confronti di persona ritenuta degna.

Sul vocabolario etimologico della lingua italiana, ci rendiamo conto che deriva dal latino e significa, “aver considerazione di sé stessi (prima) e degli altri (subito dopo)”.

Questo, rientra in un concetto di egoismo positivo perché, molte volte, noi impariamo ad osservare delle regole che regimentano il rapporto con gli altri ma, altrettanto spesso, ci dimentichiamo di noi. Al tempo stesso, il termine dignità, connota nobiltà d’animo, che induce a rifuggire da ogni bassezza per riuscire a darsi un valore.

Dobbiamo, quindi, considerare il rispetto per sé stessi, per gli altri e per la vita in generale, che non rilascia patenti da clandestino per meglio riuscire a barare… rispetto che non si impara con una formuletta chimica edulcorata da un disegno tracciato alla lavagna.

Il rispetto si apprende attraverso l’esempio che non fa passi indietro, non si nasconde, che proviene dall’insegnamento delle persone autorevoli che non temono la fatica, l’impegno della solidarietà (quella costruttiva dell’accogliere e accompagnare) nel sudare insieme per un obiettivo comune, un bene comune, una Società in comune, rispettosa delle cose e delle persone. 

Cari Lettori, è inutile nasconderlo (perché l’evidenza è sprigionata da ogni media contemporaneo): moralità, onorabilità, incorruttibilità sono nobili ideali abbandonati alle intemperie neurotrasmettitoriali, senza vergogna o troppi disturbi di coscienza.

Sono tre termini che, un tempo, erano presenti nei testi di educazione civica.

Anche se, in ogni tempo, onorati sempre da pochi, erano, come dire, pietre di inciampo e, almeno, i trasgressori si vergognavano.

Oggi, invece, confinati nei dizionari di una volta, aspettano, pieni di polvere, che qualcuno li ripresenti, facendone cogliere l’urgente presenza e frequentazione.

La moralità è un complesso sistematico di principi o valori inerenti al comportamento. Essa ha a che fare con le azioni quotidiane e dovrebbe essere la bussola di ogni nostro agire.

L’onorabilità riguarda l’integrità e la dignità sul piano individuale o sociale. Appartiene alla persona che dà valore profondo alla parola data e non scherza sui valori centrali della vita. In tali casi siamo, per dirla con Sciascia, in presenza di uomini e non di ominicchi   o quaquaraquà.

La terza parola, incorruttibilità,  ci sentiamo a disagio noi stessi a pronunciarla, perché già prevediamo il commento degli Amici Lettori: “Ma dove vivono costoro? Non sanno che chi ha un potere, sia pure di quarta serie, aspira in genere ad essere corrotto? Non sanno che i pochi incorruttibili vengono attaccati in modo subdolo e malandrino da più parti?”

Lo sappiamo, lo sappiamo. Ma la incorruttibilità dei servitori dello Stato è, per noi, requisito irrinunciabile se si vuole sperare in un decoroso futuro.

Noi che abbiamo sulle spalle belle primavere ma anche molti autunni, siamo caricati di obblighi morali che non possiamo disattendere.

Il nostro ruolo è invitare i giovani a non vivere svogliatamente e in modo disattento. Essi devono badare alle parole dei “grandi” e verificare se dietro alle belle parole ci sono poi fatti reali e concreti.

Legge di Dio (per chi ci crede) o di Natura che, poi, è la stessa cosa, vorrebbe che da ogni azione si generasse uno stile di vita corretto e condiviso, da perseguire nel “qui e ora” pensando al futuro ma facendo tesoro del passato.

Moralità, onorabilità, incorruttibilità, sembrano altezze irraggiungibili.

Eppure è in questa linea mediana, in questa terra di ognuno o forse di nessuno, che è possibile ritrovare un senso da confidare ai nostri figli, soprattutto per tenere, noi adulti, con la barra a dritta, evitando di incorrere in quel “tronco funesto che è l’indifferenza”, quel modo di non essere che induce a non chiamare le cose con il loro nome, non volendo conoscerle per quello che sono.

E allora, come si migliora la Società?

Sembra ovvio ma, a distanza di millenni da quando si è arrivati a capirlo, ancora non si è trovata una risposta più adeguata… e cioè: “costruendo ciò che manca, cominciando dal singolo”.

Ognuno di noi necessita di conoscere il motivo per cui utilizza sé stesso e il proprio tempo vitale. Questo significa avere una buona comunicazione con sé stessi, anzitutto (cioè un corretto sviluppo della propria identità), altrimenti si vive sempre “col coltello nella schiena”, in allarme continuo, in crisi perenne.

Già Elio Vittorini nel suo libro “Uomini e no”, sosteneva che la conoscenza dei requisiti per lo sviluppo e la maturazione della Società, rappresenta un patrimonio che non è dell’uno soltanto ma dell’uno e di tutti; “un tale inestimabile valore deve costituire un momento di unità fra tutti, un’occasione di stare insieme, vivere insieme (ognuno nel rispetto dell’altrui spazio vitale), insieme lavorare e credere nell’avvenire”.

Nello sviluppo e nella valorizzazione delle risorse umane, si può determinare un essere umano migliore, per una società migliore sulla base di una migliore morale.

Si narra che Gesù disse a Lazzaro: “Alzati e cammina!”

L’insegnamento che si può trarre da questa parabola, è che Lazzaro rappresenta l’umanità intera. Tutti noi dobbiamo camminare, per andare avanti, progredire, perché ogni essere umano ha il diritto (che al tempo stesso diventa un dovere), di realizzare tutto quello che può esprimere, non quello che gli altri credono che si debba fare.

Cari Lettori, perdonateci se lo precisiamo solo adesso ma abbiamo voluto dedicare queste riflessioni al rappresentante di un futuro migliore, ad una Bimba (come quella riportata nell’immagine di copertina) che ci piace immaginare col nome di Marinella e che, nella realtà, è l’amatissima figlia del nostro Amico Vincenzo Andraous

La canzone di Marinella non è nata per caso, semplicemente perché volevo raccontare una favola d’amore. È tutto il contrario. È la storia di una ragazza che, dall’età di sedici anni, si è dovuta inventare la vita, essendo rimasta orfana e sola. E non potendo fare niente per restituirle la vita, ho cercato di cambiarle la morte (Fabrizio de Andrè)

Cara Bambina che guardi al Domani e che rappresenti la speranza del meglio che deve ancora venire, non scoraggiarti dalla mediocrità del Presente e non meravigliarti troppo se, accanto a nefandezze smisurate, scorgi manifestazioni di bontà altrettanto significative…

Dalla dualità nasce un contrasto da cui si genera qual “movimento” che connota ogni forma di vita. Ma, il termine “duale” deriva dal greco, con una doppia radice etimologica: “dyo” (due) e “dys” (male)…

E, in effetti, gran parte di ciò che è “doppio” (doppia faccia, lingua biforcuta, etc.) risuona di compromissoria ambivalenza.

Quindi, cara Marinella, sembrerebbe che, la vita stessa, non sia altro che la estrinsecazione di elementi non positivi…

Osserviamo la disposizione dei quadrati su una scacchiera: noteremo l’alternanza di bianco e di nero che ricorda (simbolicamente parlando) l’avvicendarsi della luce e del buio ma, anche, della nascita (attraverso il “Big Bang”) e della morte (mediante il ritorno ad una sorta di “orizzonte degli eventi”), della Inspirazione (che ci apre all’autonomia dal cordone ombelicale) e della conseguente espirazione (che ci riporta alla “chiusura” di partenza) e, continuando, della diastole cardiaca (che aspira il sangue) e della sistole (che lo manda in circolo) per terminare, comunque, al dualismo fra BENE e MALE.

D’ALTRONDE

Tutto ha inizio dall’insopportabilità dei quark, condannati alla frustrazione che nasce dall’illusione di potersi “affrancare” e dalla delusione di doversi “reicontrare” (con gli altri quark con i quali formano protoni e neutroni) e che è ben simboleggiata nella teoria del dualismo pulsionale di Freudiana memoria.

PERO’

Le “due” facce di una medaglia sono, comunque, aspetti dello stesso elemento (la medaglia, appunto) sintetizzate in un’unica realtà mediante la congiunzione della circonferenza che, quindi, supera la dualità unendo due apparenti opposti estremismi

IL TERZO ELEMENTO, QUINDI

che sta proprio sotto i nostri occhi, nascosto fra i due tasselli (il bianco e il nero) della scacchiera: la linea ideale posta nel mezzo che le separa l’una dall’altra.

UNA LINEA DI DEMARCAZIONE CHE DÀ IL SENSO ALLA NOSTRA VITA

L’intuizione dell’Essere Umano elemento posto sul confine di due Mondi (il profano Terreno e il divino Mistico) risale a tempi antichi: in Oriente si è, da sempre, parlato di “Figlio del Cielo e della Terra”, in Occidente si parla di “Fisico” e “Metafisico”.

UOMO (ESSERE UMANO) è un termine che viene dal Greco “anthropos” e significa “colui che si volge verso l’alto”

Nelle Antiche Scritture è riportato un passo interessante: Solo nella misura in cui ti stacchi da te stesso, sei padrone di te stesso; nella misura in cui sei padrone di te, ti realizzi; nella misura in cui ti realizzi, realizzi Dio e tutto ciò che ha creato. (Tiziano Terzani – “La forza della Verità)

Se volessimo capire cosa sarà della nostra vita quando non sarà più nostra, allora dovremmo fare i conti con il concetto dell’ORIZZONTE DEGLI EVENTI e tornare da dove tutto è cominciato: il Big Bang

Siamo partiti da una deflagrazione di un BUCO NERO (dentro il quale, quindi, c’era vita compressa) e ritorniamo al BUCO NERO avvicinandoci, gradualmente (ma inesorabilmente) ai suoi bordi che prendono il nome di ORIZZONTE DEGLI EVENTI, dove il TEMPO e lo SPAZIO si fermano e, i fotoni della LUCE, vengono imprigionati dalla fortissima Gravità, che produrrà quell’assenza cui diamo il nome di NERO.

Cara Marinella, come arriveremo al nostro Orizzonte degli Eventi?

Distraendoci attraverso tutto ciò che “ammazza il Tempo” oppure accettando la realtà della morte come elemento di passaggio per “tornare a riveder le Stelle”

INFATTI, NEL BUCO NERO…

troveremo tutte le frequenze dello spettro del visibile che, imprigionate, si fondono creando il bianco purissimo che, infatti, è la somma di tutti i colori.

L’IMPORTANTE…

è consapevolizzare di aver vissuto secondo il meglio della nostre capacità perchè. In realtà, non ci allontaniamo dall’orizzonte degli eventi: passiamo solo dall’estremo gravitazionalmente più lontano a quello più vicino.

E’ QUESTA, LA SCISSURA CHE CONGIUNGE IL BIANCO E IL NERO: LA NOSTRA VITA, CON LE NOSTRE OPERE.

Cara Marinella, il tuo nome significa, “colei che viene dal Mare”. E, come una Venere che nasce dalla schiuma, ci piace immaginarti (così come nel “quadro” di copertina) con le tue trecce bionde e i Mondi colorati di Speranza che stringi nella mano insieme alla valigia dei ricordi, pronta a ripartire per insegnarci come si fa a rinunciare alla pretesa di essere perfetti e ad iniziare il lavoro che ci porterà, finalmente, a scoprire come la parola “IO” può, finalmente, abbracciare il “NOI”.

Buon viaggio, Marinella.

E fai bei sogni.

La Canzone di Marinella

Questa di Marinella è la storia vera, che scivolò nel fiume a primavera
Ma il vento che la vide così bella, dal fiume la portò sopra una stella
Sola senza il ricordo di un dolore, vivevi senza il sogno d’un amore
Ma un re senza corona e senza scorta bussò tre volte un giorno alla tua porta

Bianco come la luna il suo cappello, come l’amore rosso il suo mantello
Tu lo seguisti senza una ragione, come un ragazzo segue l’aquilone
E c’era il sole e avevi gli occhi belli: lui ti baciò le labbra ed i capelli
C’era la luna e avevi gli occhi stanchi: lui pose le sue mani sui tuoi fianchi
Furono baci e furono sorrisi; poi furono soltanto i fiordalisi
Che videro, con gli occhi delle stelle, fremere al vento e ai baci la tua pelle

Dicono poi che mentre ritornavi, nel fiume, chissà come, scivolavi
E lui che non ti volle creder morta. bussò cent’anni ancora alla tua porta

Questa è la tua canzone, Marinella, che sei volata in cielo su una stella

“Un pianeta migliore è un sogno che inizia a realizzarsi quando ognuno di noi decide di migliorare sé stesso” (Gandhi) 

Enzo Ferraro – già Dirigente Scolastico, Letterato, Umanista, Politologo

Giorgio Marchese – Direttore “La Strad@”

Un ringraziamento ad Amedeo Occhiuto e per l’affettuosa disponibilità e a Vincenzo Andraous, per la sua grande Lezione di Vita


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