Cosa fece suo padre con Eduardo de Filippo?
Bene mio e core mio, la sua ultima regia. Poi morì nel 1984. La protagonista era Isa Danieli. Papà lo chiamava Commendatore; Eduardo chiamava mio padre Maestro, forse perché si era diplomato al Conservatorio. Si davano del voi. Si incontrarono a casa di Eduardo. Quando la cameriera portò il caffè, Eduardo disse una battuta del copione, papà rispose con la battuta seguente. Alla fine, si congedarono. Papà disse: ma il provino? L’avete già fatto, rispose Eduardo, gli occhi guizzanti, il sopracciglio arcuato dove si condensava tutto il Sud. (Massimiliano Gallo)
Cari Lettori, rileggendo un passo di Erri de Luca, da “Così è la vita”, ci siamo soffermati a riflettere sul fatto che, anche noi due non abbiamo più né padre né madre.
E anche se il “tempo regolamentare” per avere dei genitori ci è scaduto da un pezzo, beh… non ci dispiacerebbe ricevere (magari ogni tanto) una loro telefonata.
“Ciao ma’, ciao Pa’, come va?“
“E come vuoi che vada: così è la vita!“
Anche se non ci sentiamo orfani, il tempo non cancella il ricordo di loro. In alcuni giorni, quelli in cui sappiamo di non potere essere particolarmente fieri di come abbiamo condotto la nostra esistenza, è come se, proprio quell’istante fosse “il giorno dopo della separazione da quei due”. È come se temessimo di non potere reggere lo sguardo di papà e mamma, pur volendoli riabbracciare, per paura di vederli delusi
Qualcuno, a questo punto, parlerebbe di “Dignità” e qualcun altro, invece, si riferirebbe al termine “Orgoglio”
Il significato di “Orgoglio” viene riportato dai dizionari della lingua italiana come “sentimento procedente da eccessiva stima di sé e poca o nessuna degli altri”; con significato non deteriore, indica “fierezza e senso della propria dignità; il termine dignità, invece, viene definito come “alto sentimento di sé, nobiltà d’animo che si manifesta anche nel contegno”.
Cari Lettori, in una Società bisognosa di Empatia, Comprensione e Valori da ritrovare, come dovrebbe essere inteso l’Orgoglio? Cosa caratterizza, invece, la Dignità?
L’orgoglio è una bestia feroce che vive nelle caverne e nei deserti; la dignità, invece, è quella guardia del corpo che ti impedisce di bruciare la tua integrità”. (Anonimo)
Il rispetto che gli altri mostrano nei nostri confronti, attiva il meccanismo dell’orgoglio. Il rispetto che portiamo nei nostri confronti per ciò che sappiamo di valere (a prescindere dal giudizio altrui), riguarda la dignità e pone le basi per una corretta e solida autostima.
Volendo fare qualche esempio, se cedessimo a compromessi e azioni poco edificanti, nel caso in cui nessuno ne fosse a conoscenza, manterremmo intatto l’orgoglio; al contrario, nelle medesime condizioni, la dignità sarebbe profondamente incrinata, perché riguarderebbe il nostro rapporto allo specchio. Ancora, se per amore, subissimo dei torti, ad andare in crisi sarebbe l’orgoglio e non la dignità. Se, invece, accadesse una cosa simile per biechi interessi, allora anche la dignità andrebbe a soffrirne.
“Ha una particolare forma di eleganza, la dignità, proprio lì dove meravigliosamente stride. La gentilezza di un ramo inchinatosi al tempo, ormai dimesso, irriso; l’animo esposto al vento, sembra un piccolo seme disarmato in balia della gente che, forse, non nota niente. La bellezza nelle sfumature del silenzio, la cautela timida del cielo prima del tramonto: la sua compostezza lenta prima del commiato. La reticenza del fiore impacciato per paura di fiorire e la veemenza del suo bisogno di riconoscimento fino a sbocciare. Anche il mio sguardo, mentre raccoglie i contrasti della vita e sorride”. (Catia Ferrara)
Quando, l’orgoglio, può definirsi positivo e quando, invece, negativo?
È corretto, ad esempio, sentirsi fieri di appartenere a quella cerchia di esseri umani integri e puliti dal punto di vista dei valori importanti.
In tal senso, non guasterebbe “abbeverarci” alla fonte della cultura orientale e giapponese, in particolare. Apprezzeremmo, così, fra l’altro, l’orgoglio e la dignità del sentire che il nostro lavoro, qualunque esso sia (a parte quelli disonesti, ovviamente), è utile in quanto anello di una catena senza cui, i risultati in termini di ricaduta sul Sociale, tarderebbero ad arrivare.
Al contrario, l’orgoglio è negativo quando si scade nella boria e nell’arroganza perché, tra l’altro, ciò starebbe ad evidenziare, oltre una maleducazione di fondo, anche un’autostima costruita con la paglia anziché coi mattoni.
Se l’orgoglio è riferibile ad un’eccessiva stima di sé, in cosa differisce da quell’aspetto del carattere che connota un’eccessiva sicurezza delle proprie convinzioni (senza verificarne la veridicità) e che prende il nome di “Presunzione”?
Il rapporto fra questi due elementi è diretto. Una persona orgogliosa, valuta (a volte in maniera spropositata) sé stessa in base a quello che presume di essere o di valere.
Cari Lettori, rifacendoci al dialogo di Massimiliano Gallo (Il protagonista, tra l’altro, di “Vincenzo Malinconico, avvocato di insuccesso”, in cui interpreta l’antidivo per eccellenza) con cui abbiamo iniziato questo Editoriale, ci è tornata in mente un’ottima pellicola in cui, lui, recita da protagonista: “All’improvviso, un Uomo”
Si racconta la storia di un camorrista che, dal Nord Italia, dopo essere sfuggito ad un agguato, si rifugia nel borgo di Massaquano (Vico Equense) dove indossa l’abito talare per nascondersi e salvarsi la vita anche se, la tentazione di continuare la fuga sotto altra identità, è forte.
Ve ne state andando?
Finiamola con questa pagliacciata
Don Simone, i pagliacci fanno ridere e, le persone, hanno bisogno di ridere. Le persone hanno bisogno di un uomo.
Io non sono l’uomo giusto!
E chi lo dice?
Il mio passato.
Io, il vostro passato non lo conosco. Io conosco il vostro presente. E vedo due occhi che hanno bisogno di entrare nei cuori di queste persone. E, queste persone, hanno bisogno di voi
Io non credo in Dio
Ma è lui, che crede in voi!
Questa “trasformazione” (che avrebbe potuto essere solo una copertura di facciata) diventa qualcosa di reale perché, il nuovo prete corrobora le attività del convento delle Suore, ridà linfa e speranza alle anziane parrocchiane e aiuta (rischiando la propria vita) alcuni giovani del luogo ad evitare di perdersi nelle maglie della Camorra.
E poi, cari Lettori, esiste l’IPOCRISIA…
Si può fare. L’orgoglio italiano guida il futuro di FIAT, Alfa Romeo, Lancia e Maserati
“Si può fare. Si può partire per un viaggio e non sentirsi arrivati nemmeno dopo più di 100 anni. Per questo, il nostro viaggio continua. Non importa quante salite o discese dovremo affrontare: le affronteremo insieme a voi. Sempre qui. Nel nostro Paese. Perché, a spingerci, è un motore inesauribile: l’amore per l’Italia”
Questa suggestiva pubblicità di uno dei più grossi costruttori automobilistici al mondo, Stellantis (nato dalla fusione di Peugeot – Citroen – Opel e Fiat Chrysler) che include decine di marchi prestigiosi, in apparenza, mostra un fiero e amorevole attaccamento al nostro Paese ma, nella realtà, è solo un tentativo di riparare ai danni d’immagine prodotti, proprio contro l’Italia, dall’ex CEO (o amministratore Delegato che dir si voglia) Carlos Tavares, il quale ci ha a lungo sbeffeggiati definendoci sconvenienti per i costi di produzione.
Il motivo del ripensamento?
Probabilmente perché, l’Italia, si appresta a diventare una autentica “testa di ponte” degli USA in Europa ed è molto propensa a coltivare ottimi rapporti commerciali con la Cina…
La prova dell’ipocrisia?
Nel video si parla di quattro o cinque modelli che verranno costruiti da noi, a fronte di centinaia di tipi diversi di autovetture (nel “portafoglio” Stellantis) assemblate dove il lavoro costa pochissimo (perché, spesso, gli operai vengono sfruttati)
Cari Lettori, Ogni comportamento umano oscilla tra ipocrisia e dignità. Ma – è bene precisarlo subito-la bilancia pende decisamente dalla parte dell’ipocrisia, della quale, anche chi è dignitoso, spesso, per vari motivi, non ne è esente.
Scrive il grande moralista francese La Rochefoucauld che l’ipocrisia è un omaggio che il vizio rende alla virtù.
L’ipocrita finge buoni sentimenti che non ha. Dietro il suo falso e mellifluo sorriso, nasconde ciò che pensa in realtà.
Perché moltissimi ci comportiamo così?
Perché, pur non potendo contare su una solida autostima (ma schiavi di un famelico Narcisismo), miriamo ad avere un ruolo importante in Società e ci rendiamo del fatto conto che, con la chiarezza e la sincerità, non potremmo ottenerlo.
Anche per la nostra evidente mediocrità.
L’ipocrisia è una specie di malattia sociale. Nasconde, pertanto, dietro sembianze amichevoli, una volontà di potenza mirata al possesso di un bene.
Tutta la letteratura mondiale, da sempre, ci regala figure di ipocriti.
Nella Commedia, il discorso è arioso e invita al riso o al sorriso; nei Testi Sacri la figura dell’ipocrita è fustigata, invece, in modo assai severo.
Nei Vangeli, la posizione di Gesù è molto chiara. Gli ipocriti sono sepolcri imbiancati: puliti fuori, luridi dentro.
È l’esempio più luminoso con cui si può bollare la categoria di esseri indegni in mezzo ai quali siamo costretti a vivere.
Nel Canto XXIII dell’Inferno dantesco, gli ipocriti vengono condannati a camminare vestiti di un saio dorato, con, dentro, una fodera di piombo. Procedono in maniera estremamente lenta, con grandissima fatica.
Nei drammi di Pirandello i personaggi sono, nei salotti borghesi, permeati di “salvifica” ipocrisia. Parlano, parlano, si fanno male con le parole che procurano ferite più che le pietre. Il tutto, dietro sorrisi mascherati.
La vita, ci ricorda Pirandello, è in larghissima parte inautentica e falsa:
Imparerai a tue spese che, nel lungo tragitto della vita, incontrerai tante maschere e pochi volti.
L’ipocrisia, per dirla in modo molto chiaro, è il mancato rispetto delle regole e dei principi che, ciascuno, esprime.
La critica che l’ipocrita rivolge agli altri dovrebbe rivolgerla principalmente a sé stesso.
Attraverso un meccanismo che la Psichiatria psicodinamica definisce “di Proiezione”, con la matita rossoblu, segna impietosamente le inadempienze dei propri simili e non lo sfiora l’ipotesi che egli sia portatore gigantesco di negatività e falsità.
Tanto abbiamo parlato di ipocrisia che avvertiamo, forte, il bisogno di tornare all’inizio di questo lavoro, per curare e venerare il valore positivo che deve essere l’elemento guida della nostra vita.
Stiamo parlando della Dignità, che è la sola in grado di dare senso autentico al nostro agire.
A tal proposito, Joseph Conrad ha osservato:
L’unica cosa che l’uomo può tradire è la sua coscienza.
La dignità ha tutta una sua ricchezza teorica e pratica: è il rispetto che l’essere umano, consapevole del proprio valore sul piano morale, deve sentire nei confronti di sé stessi.
Questo valore teorico contiene, dentro, la fortissima esigenza a tradursi in azione.
Per questo chi ha una dignità, una statura morale “naturaliter”, si presenza agli altri con comportamenti adeguati che, certo, possono costare delusioni e sacrifici.
Nei confronti, soprattutto, di sé stesso
Viene, a questo punto, spontaneo domandarci: ma, quindi, la vita è in larga parte una lunga carnevalata? Quasi tutti recitano una parte inautentica? La vera cifra stilistica della vita è l’ipocrisia che diventa, così, il motore del mondo?
Difficile provare il contrario. Tentare di invertire la rotta è doveroso. Ma chi se la sente di seguire la strada della dignità dinanzi all’autostrada della ipocrisia percorsa dai più senza pagare, oltretutto, pedaggio?
Può venirci in soccorso, a questo punto, un personaggio del calibro di Carl Rogers?
… non ho trovato assolutamente utile o efficace, nelle mie relazioni con gli altri, tenere una facciata, comportarmi alla superficie in un modo, quando provavo interiormente qualcosa di completamente diverso. Tutto ciò non è inutile, penso, allo sforzo inteso a costruire poco a poco delle relazioni interpersonali costruttive
Purtroppo (o per fortuna, dipende dai punti di vista), gli esseri perfetti non esistono: siamo tutti un po’ in bilico, fra il torto e la ragione
Vorrei aggiungere che, nonostante senta di aver imparato a fondo la verità di questa frase, non l’ho messa a profitto in maniera adeguata. Infatti, la maggior parte degli errori che faccio nelle relazioni interpersonali, la maggioranza dei fallimenti a cui sono andato incontro nella mia professione, si possono spiegare con il fatto che, per qualche motivo di difesa, mi sono comportato in un modo, mentre in realtà sentivo in un modo del tutto diverso. (Carl R. Rogers)
E allora, cari Lettori, non ci resta che riprendere la trama del film con cui abbiamo iniziato a raccontare questa storia.
Nonostante, il Vescovo (saputa la verità), gli chieda di restare come parroco effettivo per via dell’amore verso il prossimo da lui dimostrato, don Simone (al secolo “Don” Carmine, camorrista e figlio di un boss) preferisce “spogliarsi” per pagare il debito con la Giustizia. E’ una scelta autonoma, assolutamente non richiesta. Per questo, ricca di insegnamento per tutti noi.
Don Simone, io sono venuto apposta per vedere come si stava comportando il mio nuovo parroco. E devo farle i miei più sinceri complimenti.
Grazie.
Non deve ringraziare me. Deve ringraziare il suo sacrestano. Se non fosse stato per lui, io l’avrei fatta arrestare fin dal primo momento in cui ha messo piede in questa città. Ma, lui, mi ha detto che avrei commesso il più grave errore della mia vita perché questa gente meritava un Robin Hood della Chiesa. Adesso, noi, ci saluteremo come un prete saluta il suo Vescovo. Io le darò la mia benedizione. E le ordinerò di continuare nella sua missione.
Ma io non sono degno, io l’ho fatto soltanto per pulire la coscienza dagli orrendi crimini che ho commesso.
Lei ha dimostrato di essere un uomo degno, senza aver bisogno di indossare alcun simbolo. E adesso andiamo a pranzo di nozze? Ci vogliamo perdere l’antipasto?
Bellissimo, il dialogo con il suo Sacrestano.
Io quello che dovevo fare l’ho fatto. E ho fatto anche quello che non dovevo fare. Quindi credo proprio che sia arrivato il momento giusto.
E adesso che fate, vi andate a fare una passeggiata?
Sì, una passeggiata. Lunga ma bella.
E, di una delicatezza struggente, il commiato con la sua amica Suora (che gli ricorda la donna che ha amato e che ha dovuto abbandonare)
Don Simone, dove vai?
La sua risposta la troviamo in questo particolare fotogramma estrapolato dal film.
Quel sorriso esprime l’idea della Libertà di coscienza e della Dignità d’animo, per la scelta giusta: all’improvviso, un “Uomo”.
Cari Lettori, non è affatto strano che nessuno provi a fermarlo: come la bella canzone dei Pinguini Tattici Nucleari ci insegna, “Amare una volpe, è non volerne il ritorno”
Piccola volpe
Vai dove vuoi, basta che vai… Piccola volpe un po’ borderline Certo, sei furba, però io di più. Tu vai dove vuoi ché vado dove vai tu
Mi hai raccontato di un uomo a metà: voleva ingabbiarti e portarti in città. Pensava potessi riempirgli il destino. Ma tu sei una volpe, mica un canarino.
Io seguirò, se lo vorrai, le tracce nel bosco che mi lascerai
Ti ho preso un anello e ti ha fatto paura, perché è una catena, solo in miniatura
Si è fatta una certa, non parliamo più. Ci diamo un addio, senza darci del tu
Ma adesso ho capito la lezione del giorno: amare una volpe, è non volerne il ritorno.
Vai dovе vuoi, basta che vai, piccola volpe un po’ borderlinе
Ci si vede presto nei sogni degli altri. Tu vai dove vuoi ché non vengo a cercarti
Nessuno al mondo è in grado di dirti perché esisti ma, visto che sei qui, lavora per dare un senso alla tua esistenza.” (Søren Kierkegaar)
Enzo Ferraro – già Dirigente Scolastico, Letterato, Umanista, Politologo
Giorgio Marchese – Direttore “La Strad@”
Un ringraziamento affettuoso ad Amedeo Occhiuto, per la collaborazione