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Dove andranno a finire i palloncini, quando sfuggono di mano ai bambini? È felice di salire, il palloncino, perché sa che in fondo il cielo è il suo destino. (Renato Rascel)

Cari Lettori, al termine di ogni notte compare una nuova alba. Sarà per questo ma, anche per il fatto che l’animo dell’essere umano cerca il “tepore” ancestrale (quello del legame simbiotico con la propria madre) che, dopo la “guerra” si anela alla pace e all’accoglienza.

Eppure, la ristrutturazione sociale, il conseguente cambiamento dei modelli educativi e, soprattutto i paradossi che portano a considerare nemico anche il proprio fratello, hanno demolito l’idea di Famiglia come luogo di accettazione, comprensione, accudimento, esempio e stimolo.

La deflagrazione di ciò che possiamo considerare il vero e proprio Atomo della Società, ha creato una sorta di “scissione” di ogni componente del nucleo, rappresentato da Madre e Padre, che ha determinato, idealmente, traiettorie “fuori controllo” dei propri elettroni: cioè i figli.

Ecco spiegato il motivo dell’ingravescenza borderline di una Società sempre più “liquida”.

Si è un po’ soli, nel deserto, disse il piccolo principe. Si è soli anche con gli uomini, rispose il serpente (Antoine de Saint Exupery)

Ma siccome qualcuno ha scritto che “ciò che un cuore accetta, il cervello deve digerirlo e farne pensieri” e qualcun altro ha ribattuto che “le nevrosi che causano le regressioni più terribili sono dovute alla paura di non essere accolti, nel mondo, con amore”, allora proviamo a domandarci: “ma si lascia mai la casa mentale della nostra infanzia?”

Più di un esperto di psicologia dell’età evolutiva, certamente risponderebbe: “Mai, rimane sempre dentro di noi anche quando, di fatto, non esiste più!”

Il prezzo che si paga, molto spesso, consiste nel ridurre l’empatia alimentando una sorta di narcisismo di base, che porta a non vedere al di là del proprio naso…

Come si rompe il muro di questa indifferenza? 

Ama il prossimo tuo non come ameresti te stesso ma, piuttosto, per quello che è: il prossimo tuo! (Cit. Ernesto d’Ippolito)

Eccocomprendendo questo invito di un famoso penalista vissuto in un tempo migliore, probabilmente cominceremmo ad accorgerci che intorno a noi c’è gente che, come noi, si accorge (spesso in ritardo) di avere infranto i sogni contro la polvere della realtà quotidiana.

Ma se, per esempio, avessimo il potere di librarci nel cielo, saremmo in grado di osservare dall’alto l’inutile corsa di una umanità che si affanna, forse solo per tenersi impegnata a schivare quello strano dolore che nasce dal saldo negativo fra le gratificazioni e le frustrazioni? 

Entrambi, da ragazzi, restavamo affascinati, ai tempi del Liceo, dalle lezioni del professore di Filosofia. E, in particolar modo, ci colpiva una delle basi del pensiero di Schopenhauer.

Ma come è possibile che una sofferenza, che non è la mia e che non mi colpisce direttamente, possa diventare per me un motivo così immediato da spingermi ad agire, come di solito succede solo con un motivo esclusivamente mio?

Negli anni, siamo arrivati a capire che la risposta consiste nell’accettare che la barriera fra l’IO e il non IO, fra ME e l’ALTRO sia stata rimossa.

E forse, questo, diventa l’intrinseco significante del sé

Solo allora, noi vedremo l’altro non come qualcosa di estraneo, di indifferente e di completamente diverso…   Solo così il suo dolore e i suoi bisogni possono diventare il nostro “motivo”.

A volte ci chiediamo se un ricordo, sia qualcosa “che si ha” o “che si è perduto”. La risposta che riusciamo a darci è che una persona invecchia, quando i rimpianti superano i sogni e le aspettative.

Certe altre volte ci soffermiamo ad osservare, invece, l’incongruenza di cure mediche sempre più tecnologizzate lontano dal paziente e ci disturba l’idea che, pure, esiste (in ognuno) un luogo intimo e segreto dove si nasconde la ricetta della propria salute!

Quando si parla dell’intimità della persona, s’intende la sua più intima giuntura, la sua storia, le sue radici, la sua lingua, la sua fede o meno, tutte cose che non sono misurabili e nemmeno sindacabili. (C. Menghi, “Quando la psicoanalisi scende dal lettino”)

Cari Lettori, riprendendo il titolo del nostro Editoriale, a tutto si può rinunciare ad una certa età ma, mai, alla speranza: l’ultima dea di cui ci parla il Foscolo.

La speranza ci aiuta a vivere. La speranza è una responsabilità individuale e comune: è una virtù, quindi un’arte di vivere. La speranza è alimentata dalla perseveranza, che aiuta a non arrendersi mai.

Il valore della speranza è sottolineato da basilari figure sia del mondo religioso che laico.

Papa Francesco ci ricorda sempre, in questi tempi bui, che la speranza ha un ruolo importante, cui non si deve rinunciare. La speranza, ci ricorda, non è morta, è viva e non delude. Fede, Speranza e Carità sono, non a caso, virtù fondamentali nella vita e nell’agire dell’uomo probo.

Nella Lettera ai Filippesi, un gigante come Paolo di Tarso commenta, in modo perentorio, la speranza di non avere a vergognarsi di nulla!

Qui è il cuore del problema. Tutto si può sperare, ma qualità della speranza è legata a ciò in cui si spera.

Una cosa è sperare, infatti, in una vincita al gioco, un’altra cosa è sperare di dare un senso autentico alla propria vita per avere, al termine di essa, l’idea di averla bene impiegata o, quanto meno, di aver fatto il possibile per poterci considerare degni.

La speranza è la virtù umana che accompagna l’uomo fino alla morte. È, in sostanza, l’attesa fiduciosa, più o meno giustificata, di un evento gradito o favorevole.

Un filosofo tedesco di notevole tempra, Ernst Bloch, ha dedicato decenni di studi a riflettere sul Principio Speranza. Egli si muove in un ambito non religioso, nel senso cui noi prima abbiamo fatto riferimento.

Per Bloch (senza voler ridurre tutto un discorso acutissimo, pregevole e articolato a poche parole di sintesi) la speranza è totalmente superiore alla paura, è “sogno a occhi aperti”, è “sogno in avanti”, nel senso di anticipazione di ciò che non è ancora dato.

Lui parla, a un certo punto, della speranza come di “una ontologia del non essere ancora”.

Volendo, potremmo far scendere in campo filosofi delle età più varie. Ma non è allegare quantità che arricchisce il tema e risolve il problema.

Lasciamo a chi ne avesse esigenze personali, escursioni tra autori dell’esistenzialismo, senza trascurare le pagine assai intense del vero apripista del movimento: Soren Kierkegaard.

In questo problema, l’importante, ammonisce Bloch, è imparare a sperare, tenendo sempre presente che il lavoro della speranza non è rinunciatario, “perché di per sé desidera avere successo invece di fallire”.

Bloch era ebreo, ateo e marxista. La sua ricerca appassionata sulla speranza non ha nulla di arido e falsamente scientifico. È una ricerca permeata da un ardore e una passione incomparabili tanto da farci constatare nella lettura di essere davanti ad un “classico” del secolo scorso.

Kierkegaard(che abbiamo lasciato in dono al lettore, quasi come strenna) scrive curiosamente che la speranza è un vestito nuovo fiammante, tutto liscio e inamidato, ma non lo si è mai provato, per cui non si sa come starà o come cascherà.

Il ricordo, in tale ambito di riferimenti è, per lui, “un vestito smesso, che per quanto bello non entra più”.

E Leopardi?

Tanto, ha scritto sulla speranza sia nei versi che nelle riflessioni. Nel 1820, Giacomo annota:

La speranza, cioè una scintilla, una goccia di lei, non abbandona l’uomo neppur dopo accadutagli la disgrazia, la più diametralmente contraria ad essa speranza, e la più decisiva.

Nel nostro tempo urge alimentare la fiaccola della speranza che illumini la ricerca di un mondo più umano, migliore, più giusto. Un mondo in cui ciascuno sia amico e fratello di ogni “altro”.

Cari Lettori, temiamo molto il rischio di rimpiangere i momenti in cui potevamo dire e non abbiamo parlato o, peggio, avremmo potuto tacere ed abbiamo fatto, invece, soffrire… ma, nel contempo, mal sopportiamo chi non accetta che possano esistere idee innovative in grado di cambiare l’ordine delle cose, volgendo al sereno quello che, sovente, si appalesa come un fortunale.

Il che, in fondo, ricalca la fantastica storia delle possibilità che la vita ci offre.

Volare in cielo, liberi come le rondini, i gabbiani, gli albatros, già… magari per entrare dalla finestra più luminosa a scoprire il segreto delle cose importanti, anche se il prezzo può essere una iniziale tristezza. E se qualche volta, col tramonto davanti, passiamo attraverso sguardi inumiditi da una lacrima, non fermiamoci ad asciugarla perché inaridiremmo la nostra parte più umana.

Nel 1956Gorni Kramer, Pietro Garinei e Renato Rascel musicano, compongono e interpretano la colonna sonora del sogno di un bambino, imprigionato nel corpo di un adulto che non sorride più—

Dove andranno a finire i palloncini, quando sfuggono di mano ai bambini? E’ felice di salire, il palloncino, perché sa che in fondo il cielo è il suo destino.

E di vedetta pronto c’è quell’angioletto che Raccatta i palloncini: Cherubini, Serafini giocheranno lassù negli stadi del cielo blu…

Nel veder salire in cielo i palloncini, anche i grandi ridiventano bambini
Anche i nostri desideri clandestini, sono in fondo solamente palloncini che vorrebbero salire lassù

Poi, però, resteran quaggiù

Cari Lettori, ogni cosa comincia ma, poi, inesorabilmente finisce anche se, comunque, un altro Domani già bussa alla porta di quel “Tempio” dove, la differenza fra il Bene e il Male, dipenderà dalla qualità dei nostri pensieri-

Auguri. Per La vita che verrà.

Dove andranno a finire i palloncini quando sfuggono di mano ai bambini

Dove andranno, dove andranno, vanno a spasso per l’azzurrità

È felice di salire il palloncino perché sa che in fondo il cielo è il suo destino

Piange il bimbo col nasino in su mentre già non lo vede più

E gli angioletti dal balcon, fra nubi di coton, già fanno capolin

E di vedetta pronto c’è quell’angioletto che

Raccatta i palloncin. E nel cielo già si vendono i biglietti

Del calcistico torneo degli angioletti: Cherubini, Serafini

Giocheranno lassù negli stadi del cielo blu nel veder salire in cielo i palloncini

Anche i grandi ridiventano bambini e i pensieri, più leggeri

Vanno a spasso nell’azzurrità. Anche i nostri desideri clandestini

Sono in fondo solamente palloncini che vorrebbero salire lassù

Poi però resteran quaggiù. Ma si, lo so che questa mia

è solo fantasia, follia sentimental , ma se serve per trovar

Un sogno da sognar, che cosa c’è di mal?

Ora affido a questo caro palloncino la speranza di tornare ancor bambino

Gli domando dove e quando vi potrò ritrovar ed insieme, con voi, sognar

Non consultarti con le tue paure, ma con le tue speranze e i tuoi sogni. Non preoccupatevi per ciò che avete provato e fallito, ma di ciò che vi è ancora possibile fare.” (Papa Giovanni XXIII)

Enzo Ferraro – già Dirigente Scolastico, Letterato, Umanista, Politologo

Giorgio Marchese – Direttore “La Strad@”

Un ringraziamento affettuoso ad Amedeo Occhiuto, per la collaborazione

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