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Sulla prima pagina virtuale: … “dalla luce di una stella.”Quest’oggi è veramente difficile far incontrare il bagliore della luce con la realtà cruda e che non concede sconti, a nessuno.

Sarà forse arrivato il momento di cedere, abbassare le braccia a protezione e accettare l’idea della nostra fragilità, come esseri umani. 

Ma chi pensavi di essere? Il padreterno?

Difficile, veramente difficile la resa.

Mi sveglio, dopo una notte di sogni accompagnati dai fantasmi del passato, di soprassalto, non riesco a liberarmi e allora provo ad aggrapparmi alle sicurezze che mi appartengono.

Poche però.

Con la fantasia che vive nella mente e l’elasticità che la rende morbida cerco il volo innalzandomi a fatica.

Il caldo tepore dell’innocenza mi riporta indietro dolcemente, ricomincio a sollevarmi.Avanti e indietro.

Abbastanza sfibrante ma inevitabile, avrà il suo significato, alla fine qualcosa resterà o tornerà a noi, lasciandoci senza l’amarezza per non aver compreso.

Brutte giornate.

Mi reco in un posto di grande dolore in un momento di festa.

Tremo prima di entrare, ne annuso l’odore che è sempre uguale, non cambierà mai, a me familiare.

Provo a portare il mio abbraccio ma resto bloccata nell’ingresso, senza possibilità di avanzare, si legge nel viso, negli occhi turbati dal quadro che mi si presenta innanzi dipinto dai colori della sofferenza.

L’immobilità che contraddistingue questo ritratto si fonde inspiegabilmente con l’odore acre che regna nell’ambiente, trasformando l’inquietudine legata al momento di grande martirio con la pacatezza del silenzio.

Poche e tirate parole all’estremo.

Ne avverto l’inutilità, sento sulla pelle la sensazione di “pochezza”, del loro insensato bisogno di essere impresse nell’aria a voler incidere nascondendo, a voler uscire soffocando.

Pensavi forse di farcela, di essere sufficientemente coriaceo da sopportare l’idea della sopportazione?

Presuntuoso l’essere umano.

Presuntuoso, ricco di fredda arroganza, padroneggia sui suoi sentimenti, pensa di poterli gestire facendone un rigido strumento a servizio del suo controllato ragionamento. Talvolta, proietto lo sguardo immaginando il futuro, quello immediato e vedo i colori. L’azzurro, nella sinuosità delle tondeggianti montagne che definiscono i confini intorno; i borghi abitati nascosti alle origini, accolti dal calore appena trascorso del giorno passato; il verde ansimante e ansioso di esplodere.

Ritorno.Il viso immobile, accompagnato dallo sguardo puntato sul niente. Si avverte il dolore, solo il dolore materializzato in una espressione senza limiti che penetra all’interno della mia anima investendone e annullando ogni sensazione, qualsiasi tentativo di donare, anche solo con una parola.

Mi sento piccola come non mai, ho camminato tanto per arrivare così a mani vuote di fronte al dolore della rassegnazione, impotente e di sole lacrime.

Un salto nella spensieratezza del passato, quando la luce del tramonto rivestiva i nostri giochi interminabili e irripetibili, quando la sicurezza della giovane età ci proteggeva dal dolore della vita, quando la mano incontrava l’altra e, anche se entrambe fragili e piccole, facevano la forza. Il dolore e la forza della vita.

Di cosa riesco a parlare?

Mi arrampico su, per una strada sinuosa e stretta, cado nell’ovvio, penso che forse è meglio tacere, ma ormai è troppo tardi.

Nuda, sono nuda con in mano la sensazione dell’impotenza che mostra senza veli tutti i miei limiti, gli ostacoli che impediscono di osare, anche solo con il rispetto dovuto al silenzio.

Accarezzo sfiorando il dolore.

Riesco a sentirlo, per un solo momento. Infinito, interminabile, denso di pacata desolazione.

Mi lascio aiutare.

Fernanda (3 marzo 2012)

A tutti quelli che stanno lottando

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