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Cari Lettori, capita, a volte, nella vita che ci troviamo ad immaginare cosa accadrebbe nel caso in cui riuscissimo a trovare una penna per (ri)scrivere il Futuro (almeno in termini di aspettative ed idealizzazioni).

Professionalmente parlando, crediamo con convinzione che, un simile strumento risieda nella nostra capacità di motivazione e organizzazione ma, per quanti sforzi (di immaginazione o di fantasia) possiamo fare, è cosa assai improbabile poter scovare una sorta di gomma, per cancellare il passato.

Ed è qui che si collega quello che ha scritto, un po’ di tempo fa, la giornalista Solen de Luca: “Il lato oscuro del mio mestiere? Sentire il rumore assordante degli spari; dover visionare video di attacchi terroristici su persone innocenti ed inermi… e vedere esseri umani uccisi… mentre stavano cenando in un bistrot di Parigi o prendendo il sole su una spiaggia di Tunisi… Tutto questo, per una scheda di 2 minuti… scendono le lacrime e ammetto la mia debolezza. Dove sto sbagliando?”. 

Se ci soffermiamo un attimo a riflettere sulla profondità di quanto abbiamo appena letto (a cui possiamo aggiungere il  senso di abbandono degli ammalati, lo sgomento di chi naufraga tentando la sorte in un mondo migliore solo in apparenza, etc.), scopriamo che le delusioni che provengono da quello in cui credevamo, hanno una matrice comune che risiede nello scarso rispetto dei sogni di chi vuole provare a volare e di chi immagina di poter cambiare qualcosa di significativo (anche senza la velleità di poter restare nei libri di Storia)

La vita non è che un’ombra che cammina, un povero attore che si agita e si pavoneggia per un’ora sul palcoscenico e poi non si sente più; è una storia raccontata da un idiota, piena di suono e di furia che, se non ti impegni a capirla, non significa nulla (William Shakespeare).

E allora, anche se può apparire un’idea non realizzabile a breve, perché non pensiamo di posare la pietra per costruire una Società non condizionata dalla paura? La paura del diverso, la paura del prossimo; il timore di quello che troveremo dietro l’angolo, la preoccupazione di abbassare lo sguardo di fronte al potente di turno (politico o delinquente, fate un po’ voi). 

Viviamo in tempi bui e la parola dominante nei comportamenti delle persone che hanno potere e anche nelle persone che quotidianamente incontriamo è una sola: arroganza.

Siamo, in ogni momento della giornata, assediati da una tracotanza che ci avvilisce e disturba profondamente.

Che fare?

A livello di non violenza (comportamento che amiamo e cerchiamo di coltivare sempre più) dobbiamo rispondere con la gentilezza, con la mitezza.

Non sempre è facile da attuare.

Vi sono vari tipi di arroganza: l’arroganza del potere, la prepotenza dell’automobilista, la maleducazione insopportabile del vicino di casa.

Rispondere con la gentilezza alla sopraffazione, non sempre si può.

Pensiamo ai tempi dominati dalla violenza (Nazismo, Fascismo, Nazioni gestite in modo autoritario).

Bertold Brecht, nella dura poesia “A coloro che verranno”, affronta il tema nel modo in cui i tempi violenti esigevano.

Oh, noi, che abbiamo voluto apprestare il terreno alla gentilezza, noi non si poté essere gentili. Ma voi, quando sarà venuta l’ora che, all’uomo, un aiuto sia l’uomo, pensate a noi con indulgenza.

Quindi, per Brecht, la gentilezza è valore fondamentale. Va “sospeso” in momenti eccezionali solo per salvaguardarlo ai posteri.

Per questo, egli osserva, quando sarà ripristinata la gentilezza, la cortesia e la democrazia, “coloro che verranno” dovranno pensare con indulgenza, a chi ha dovuto lottare per salvare la dignità.

Tranne momenti eccezionali, quindi, la gentilezza deve essere la bussola del nostro agire.

È, la gentilezza, una forma di resistenza morale alla malvagità e alla arroganza. Coltivandola, si guarda con “occhi umani” al Fratello, al Vicino, al Diverso: in una parola, al prossimo.

Il lupo non si preoccupa mai di quante siano le pecore (Virgilio).

Cari Lettori, a volte, le parole sono come sassi che vengono scagliati su vulnerabili e indifesi. Perché, allora, non trasformarle in dardi intrisi non tanto di veleno quanto, piuttosto, di rabbia e ribellione?

Possibile, ad esempio, che non esista qualcuno disponibile a trasformare, per davvero, il concetto di solidarietà da “pessimo” assistenzialismo a punto di partenza per la valorizzazione delle risorse umane (soprattutto delle persone in difficoltà), per ridurre il fenomeno della dipendenza e iniziare la via dell’autonomia?

E poi, qual è il motivo per cui non operiamo e non ci adoperiamo mostrando aspetti positivi e costruttivi della nostra personalità?

Solo così, quanto chiediamo sarà propugnato al fine di ottenere il giusto, senza secondi, opportunistici, fini.

Essere gentili. Così, per esempio!

Già… questo (quasi) sconosciuto termine, deriva dal latino “gentilem” e significa, letteralmente “che appartiene alla stessa gente”. Siccome gli antichi romani identificavano con “gente”, i nobili cittadini, ecco che il vocabolo, nel tempo ha assunto il significato di accorto, delicato, sensibile, rispettoso.

Dante Alighieri parlò della gentilezza come del vero essere nobili.

Non esiste la nobiltà di sangue, ma la nobiltà del corretto comportarsi: il cuore gentile è il lievito che farà migliorare la società e sconfiggerà i tempi barbarici in cui stiamo tornando a vivere.

Come sempre, nei momenti difficili, ci ritroviamo con lo sguardo puntato su una “finestra”
, uno schermo attraverso cui poter viaggiare nella “rete” o sul quale comporre sinfonie lessicali per provare a mettere il palio ad una malinconia che non si sa spiegare ma che ti avvolge come quando viaggi fino in fondo, nella notte, senza guardarvi pienamente dentro.

Prendendo spunto da questa dolcissimo “Intermezzo” della Cavalleria Rusticana di Pietro Mascagni, ci sovviene che un amico (padre di un amico) che, come spesso ci è capitato di scrivere, abbiamo amato chiamare ‘on Peppino (senza la “d”, alla napoletana), un letterato di altri tempi che, solo a parlargli, ti viene voglia di studiare, ci ha ricordato che, Orazio Flacco, maestro di eleganza stilistica e dotato di delicata ironia, seppe affrontare le vicissitudini politiche e civili del suo tempo da saggio amando, al tempo stesso, i piaceri della vita, dettando quelli che per molti sono ancora i canoni dell’ars vivendi.

E, una volta, nell’abbracciarci, in un tenero commiato, intuendo che probabilmente non ci saremmo più rivisti, ci siamo “consolati” coi versi dell’illustre antenato:

Fra speranza e affanni, fra timori e rabbia, immagina che l’alba di ogni giorno sia l’ultima per te. Le ore che seguiranno e non speravi più, saranno tutte un incanto

Non è che, per caso, essere buoni, significa anche essere degli sprovveduti?

Volete sapere qual è la cosa di cui vado più fiero? Del potere ho mostrato le mutande, nel senso che i politici hanno dovuto spogliarsi di fronte all’occhio spietato della telecamera e far vedere anche i loro affari più nascosti e, a volte, più sporchi. Il paradosso è che la parola “mutanda” in latino significa “quelle cose che devono essere cambiate” per ovvi motivi. Ma loro, i politici, in sessant’anni di partitocrazia le mutande non se le sono mai cambiate. Io, invece, nel camerino, li ricevevo spesso in mutande per mostrargli che erano linde e fresche di bucato (Gianfranco Funari)

E ricordiamo, con malcelata nostalgia, uno di quei giorni in cui, da uomini “liberi” abbiamo deciso che era arrivato il momento di inebriarci di quell’odore di carta stampata che solo una libreria ti sa donare. 

Per cui, almeno la tentazione degli acquisti ON LINE in real time, ha ceduto il posto ad una tranquilla passeggiata al di qua delle vetrine del tempio del sapere.

Ebbene, il nostro sguardo ha incrociato, fra migliaia di libri una copertina accattivante, “Il potere in mutande”, libro postumo di un “giornalaio” d’élite, quel nazional popolare di Gianfranco Funari.

Abbandonati alla tentazione di capire i motivi della sua rabbia a tutto tondo, dopo aver “divorato” pagine su pagine, siamo giunti alla conclusione che, spesso, i pregiudizi intossicano le valutazioni.

Quando mi chiedono come stai? Fuori posto! Presi l’ultimo tram del ciclo mestruale di mia madre, dopo di me ci fu la menopausa. Sono convinto che mia madre non mi volesse perché, da fervente antifascista era una perseguitata. Credo che questo le abbia impedito di manifestare il mio affetto verso di me. Eppoi… voleva una femmina! (Gianfranco Funari)

Un’implicita dichiarazione d’amore verso un mondo ostile che, nonostante tutto, ha voluto difendere da malversazioni di ogni genere, nascondendosi dietro la maschera del burbero bonario.

Al risveglio dall’anestesia, con uno sguardo lunghissimo, ci siamo promessi che non ci saremmo più lasciati. Dopo la sua convalescenza, accadde in autostrada. A bruciapelo le chiesi: “Se mi ami, lascia tutto e sposami”. “Guarda che se lo faccio, starò con te sempre sempre”. E con una mano mi accarezzò il cuore, un gesto che non ho dimenticato mai più. Io le risposi: Si, caro amore mio, starò con te sempre sempre! (Gianfranco Funari)

E la nostra mente va…

…tornando, per un attimo, al momento in cui, un messaggio nel server di posta elettronica arriva come una freccia scoccata con la precisione di un arciere che sa cosa colpire, quando e perché. 

Così conosciamo Vincenzo Andraous, nato a Catania nell’ottobre del 1954, una figlia, Yelenia che definisce la sua rivincita più grande, detenuto nel carcere di Pavia, sposato con Cristina, ristretto da oltre trent’anni e condannato all’ergastolo. “FINE PENA MAI”. Non avrei mai immaginato che una simile sequenza di lettere avrebbe generato in me un senso di angoscia legato alla consapevolezza di un’impossibile via d’uscita. Un evento contro cui è inutile lottare. Troppo, per chi non è abituato ad arrendersi. Nemmeno all’evidenza.

E, quindi, leggiamo alcuni dei suoi libri, autentici pezzi d’arte nel panorama della saggistica sul carcere e la devianza. “Autobiografia di un assassino: dal buio alla rinascita”. 

Forte, come un pugno nello stomaco. Amaro, come le lacrime di chi soffre con dignità. Dolce, come la speranza di chi sa che può rappresentare un simbolo di riscatto per intere generazioni di sbandati: dannati come chi vaga nelle tenebre della propria coscienza ma, al tempo stesso, “teneri come grissini al primo imbocco”.

È sempre il più furbo che, alla fine della corsa, pagherà per tutti invecchiando “dentro”, come il pezzo di carcere che lo ha sepolto…

Riflessioni a proposito di Marco, falco dagli occhi lucidi. ” Voglio essere tuo amico, Vince. Mi piace quando mi racconti le tue cadute e sono contento che ora sei cambiato, ma io non posso cambiare, perché sono fatto così”.Marco che teme il domani. Che cerca nella tua mano un segno di accettazione, nei tuoi occhi, un cenno di benevolenza. ”Quando ritorni Vince? Ho bisogno di te!”

Oggi, Vince, è padre anche della bellissima Marinella, dono conquistato insieme alla sua Margarita.

Sincerità, perdono, calore, fiducia, pazienza, generosità: come si impara ad essere migliori?

19 Luglio di tanti anni fa. Domenica. Assaporando i monti della Sila, giungiamo a Lorica in cerca di qualcuno in grado di spiegarci in che modo riconoscere l’aria che hanno respirato i grandi pensatori che ci hanno preceduto, così da entrare in sintonia con una sorta di respiro cosmico.

Un po’ pessimisti, ci dirigiamo alla volta della “Proloco”E qui accade quello che non ti aspetti

Gaudeamus igitur

Un signore, affabile nei modi, dolorante per degli “impegnativi” problemi organici, ci invita all’interno di una costruzione antica, la sede di una delle prime organizzazioni in grado di accogliere i nobili di spirito, discendenti dei numerosi viaggiatori italiani ma soprattutto stranieri (Norman Douglas, per citarne uno) che si sono spinti alla scoperta del sud e della Calabria in particolare.

Man mano che ascoltiamo la voce di chi gode nell’instillare infusi di cultura e amore per il gusto di sapere, osserviamo che la figura di chi ci sta di fronte, gradualmente ma incessantemente, aumenta di grandezza e di spessore.

L’uomo che dignitosamente trascinava il limite dei suoi problemi fisici, giganteggia e riempie una scena che fa rivivere il meglio della cultura meridionalistica (dagli antichi greci in poi). Antonio Rizzuti. 

Un sentire spontaneo e sincero verso l’amore: “Amare non è peccato; peccato è non sapersi amare!”

Il tempo assume una dimensione diversa, si dilata e, al tempo stesso si contrae. È come se rallentasse in una suggestiva “curvatura” cosmica all’interno della quale viaggiare nelle varie epoche storiche, rapiti da un film entusiasmante…

Ad una donna

Tu che sei il cerchio della magica vita, che avvolgi la notte costellata di stelle. Tu, che sei il ritmo che batte una danza leggiadra con gli occhi socchiusi. Tu, che sei quella vetta sospesa nel vuoto che domina il blu e contempla l’azzurro. Tu, che sei quel mare che fluttua parole d’argento su cui scivolano i tuoi capelli ribelli. Tu, che sei la via maestra che attraversa gli aspri sentieri per deserti di ghiaccio. Tu, che hai uno sguardo profondo con i riflessi dell’alba e di gocce cadenti, che piangono di gioia. Tu, che sei il risveglio del dolce e profondo sorriso che illumina il mondo. Tu che sei tutto questo, grazie di esistere. (Antonio Rizzuti).

Cari lettori, prima di iniziare questo editoriale, nella nostra mente risuonava l’aforisma di Voltaire, in base al quale, la più coraggiosa decisione che prendi ogni giorno è di essere di buon umore.

Man mano che le dita hanno formulato concetti, collegando il cervello alla tastiera del Pc, ci siamo convinti del fatto che “La fragranza rimane sempre nella mano di chi porge la rosa” (Gandhi) e che, in fondo, Ciascuno è maestro di sé stesso e solo dentro di sé trova la ragione delle cose” (Epicuro).

Forse, oggi, non ci sono molti fogli da far cadere nel torrente che porta fino al mare. Forse, alla fine di questo lavoro, non c’è una vera e propria spiegazione…

ma ci chiediamo perchè, ancora, ci commuoviamo guardando il tempo, quello che passa e ti sorpassa.

Sarà perchè in fondo crediamo che, “domani”, sarà tempo di cose nuove, forse. Forse ogni tanto è bene andare senza sapere esattamente dove.

E, quando, alle tue spalle, il giorno si consuma e il crepuscolo ti avvolge come un mantello protettivo, prova a chiederti se, per caso, hai paura. Scoprirai che, forse, è solo un po’ di tristezza. Ma nemmeno tanto.

Cari Lettori ci rendiamo conto che è difficile vivere bene in un mondo che ci aggredisce.

Comprendiamo le ragioni di coloro che dicono essere un’idea utopica. il voler vivere in modo gentile e mite.

Prendiamo atto, ma non abbandoniamo il nostro modo di agire, consapevoli di quanto sia difficile rispondere alla arroganza con gentilezza.

Ed è per questo che offriamo in sacrificio la nostra tristezza, osservando l’immagine con cui concludiamo questo Editoriale e sperando che, la bambina (che rispecchia il dolore del Mondo intero), possa ritrovare l’abbraccio di quella madre riportata nella dolce immagine di Copertina.

La differenza tra quello che sei e quello che vorresti essere, sta in quello che fai (cit.)

Enzo Ferraro – già Dirigente Scolastico, Letterato, Umanista, Politologo

Giorgio Marchese – Direttore “La Strad@”

Un ringraziamento affettuoso ad Amedeo Occhiuto, per la collaborazione

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