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Pubblicato su Lo SciacquaLingua

Ecco un termine regionale che, spurgato della sua “regionalità”, è entrato a pieno titolo nel lessico nazionale: scafato. Il vocabolo viene dal verbo “scafare” che in vari dialetti, soprattutto in quelli del Mezzogiorno, significa “riparare”, “aggiustare” o “proteggere”.

Alcuni collegano il verbo solo al romanesco “scafa”, guscio: liberare dal guscio (ipotesi più probabile). In origine, infatti, il verbo in oggetto si riferiva all’atto di liberare qualcosa dai difetti (dal “guscio”), rendendolo integro e funzionante. Col trascorrere del tempo il lessema si è evoluto acquisendo l’accezione di “liberare dall’inesperienza” o, anche, “rendere esperto”.

Una volta entrato nella lingua nazionale viene adoperato per designare una persona astuta, smaliziata, scaltra, una persona che ha acquisito una certa esperienza di vita e sa, quindi, come districarsi nelle varie situazioni. Una persona “scafata” ha imparato, insomma, dai propri errori e dalle passate esperienze, sviluppando una sorta di “saggezza pratica” che la rende capace di affrontare e risolvere qualunque problema.

Vediamo qualche esempio: Il nuovo direttore è davvero scafato, sa come gestire le trattative più difficili con i sottopostidopo tanti anni nel settore del commercio Luigi è diventato un venditore scafato, conosce tutti i trucchi del mestierenon provare a ingannare la nuova arrivata, è troppo scafata per cadere nella tua trappola.

A questo punto azzardiamo due proverbi, che potrebbero essere presi in considerazione dai linguisti, in particolare dagli studiosi che si occupano di paremiologia

chi è scafato ha sempre la bussola in manovale a dire sa sempre come orientarsi e non si perde mai d’animo, anche nelle situazioni difficili, perché sa come affrontarle; lo scafato non cade due volte nella medesima buca.

A cura di Fausto Raso

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