In conseguenza della separazione dei coniugi, secondo la disciplina del codice civile, l’adozione del provvedimento di assegnazione della casa coniugale è subordinato alla presenza di figli, minorenni o maggiorenni non autosufficienti conviventi con i coniugi ed è irrilevante il titolo che giustifica la disponibilità della casa familiare (diritto di godimento o diritto reale), spettante ad uno dei coniugi o ad entrambi.
La giurisprudenza, ha più volte ribadito che il godimento della casa familiare a seguito della separazione dei genitori, anche se non uniti in matrimonio, ai sensi dell’art. 337 sexies cod. civ., è attribuito tenendo prioritariamente conto dell’interesse dei figli, occorrendo soddisfare l’esigenza di assicurare loro la conservazione dell’”habitat” domestico, da intendersi come il centro degli affetti, degli interessi e delle consuetudini in cui si esprime e si articola la vita familiare, tanto che la casa può essere assegnata al genitore, collocatario del minore, pure nel caso in cui, tale genitore se ne sia allontanato prima della introduzione del giudizio (v. la recente sentenza della Corte di Cassazione, sez. civ. VI, 13/12/2018, n.32231).
Sui medesimi criteri si basano le disposizioni di cui all’art. 6 della legge n. 898/1970, nei procedimenti di divorzio.
Il provvedimento di assegnazione della casa familiare (al pari del provvedimento di revoca) è trascrivibile e opponibile a terzi ai sensi dell’articolo 2643.
Pertanto, il provvedimento di assegnazione della casa coniugale è opponibile (oltre i limiti del novennio solo se regolarmente trascritto, come precisato dalla giurisprudenza, v. sentenza Cassazione civ. n. 7007/2017) anche al terzo al quale, eventualmente, il coniuge non assegnatario abbia ceduto la proprietà dell’immobile.
Si tratta di un diritto personale di godimento “sui generis”, che, in funzione del “vincolo di destinazione collegato all’interesse dei figli”, si estingue soltanto per il venir meno dei presupposti che hanno determinato l’assegnazione, ossia, solitamente, quando i figli siano diventati maggiorenni ed autosufficienti.
Tali principi hanno trovato riscontro nella sentenza della Corte di Cassazione n.772/2018, che ha confermato la sentenza con cui i giudici di appello avevano respinto la domanda di rilascio dell’immobile costituente la casa coniugale, avanzata dal fratello dell’ex coniuge dell’assegnatario dell’immobile (quale genitore affidatario della prole), a seguito del decesso dell’ex-coniuge. Nel caso esaminato, il provvedimento di assegnazione era stato trascritto immediatamente nei pubblici registri e il de cuius, già da tempo (in epoca successiva all’assegnazione)aveva ceduto la sua quota di comproprietà dell’edificio in cui era compreso l’appartamento adibito a casa familiare: <<….il terzo successivo acquirente dell’immobile, già adibito a casa familiare prima della separazione, assegnato al coniuge affidatario della prole, all’epoca minorenne, con provvedimento giudiziale, immediatamente trascritto nei pubblici registri, confermato in sede di sentenze di separazione personale e di cessazione degli effetti civili del matrimonio, non può opporre, a sostegno della domanda di condanna al rilascio, il solo decesso dell’ex coniuge divorziato dante causa. Invero, il diritto di abitazione non può dirsi venuto meno per effetto della morte dell’ex coniuge, divorziato, dell’assegnatario, affidatario della prole, trattandosi di un diritto personale di godimento “sui generis”, che, in funzione del “vincolo di destinazione collegato all’interesse dei figli, si estingue soltanto per il venir meno dei presupposti che hanno determinato l’assegnazione (la morte del beneficiario dell’assegnazione, il compimento della maggiore età dei figli o il conseguimento da parte degli stessi dell’indipendenza economica, il trasferimento altrove della loro abitazione) ovvero a seguito dell’accertamento delle circostanze (oggi codificate dall’art. 337 sexies c.c.) legittimanti una revoca giudiziale, quali il passaggio a nuove nozze oppure la convivenza more uxorio del genitore assegnatario ovvero la mancata utilizzazione da parte dell’assegnatario, sempre previa valutazione dell’interesse prioritario dei figli (C.Cost. 308/2008, con riguardo alla disciplina dettata dall’art. 155 quater c.c.)>>.
Quando non vi siano figli conviventi, si esclude che la casa coniugale possa essere assegnata ad una delle parti, per mancanza del presupposto costituito dalla “tutela prevalente dell’interesse della prole” e che si debba seguire l’ordinario regime della proprietà. La prevalente giurisprudenza ritiene che la casa coniugale di proprietà di un coniuge non possa essere assegnata all’altro come contributo al mantenimento, reputando giustificata, la limitazione del diritto di proprietà, solo in presenza delle esigenze dei figli (v. sentenza Corte di Cassazione N.18992/2011, N.18440/2013, N. 24473/2015).
Erminia Acri-Avvocato
Erminia Acri, iscritta all’Albo degli Avvocati del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Cosenza, Patrocinante in Cassazione, esercita la professione di avvocato in materia di diritto civile, diritto del lavoro e previdenza, diritto amministrativo (abilitazione all’esercizio della professione di avvocato conseguita in data 05/05/1998). Consulente legale dell’Inas-Cisl, sede di Cosenza. Attività di docenza, in materia di Diritto di Famiglia, c/o Scuola di Specializzazione in Psicoterapia ad Indirizzo Dinamico (SFPID) – Roma. Iscritta all’Albo dei Giornalisti- Elenco pubblicisti dal 01/07/2006. Responsabile “Area informativa” Progetto SOS Alzheimer On Line
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