Posted on

Il destino è un fiume sotterraneo che scorre parallelo alla vita: ogni tanto emerge e allora ci sommerge e ci chiediamo ma perché proprio a me? oh, sì, solo te perché quel fiume è il tuo e c’era anche quando non lo vedevi. (Roberto Vecchioni)

Il mercante di luce è un romanzo di Roberto Vecchioni attraverso cui si scopre (venendo condotti quasi per mano) come, la bellezza, sia sempre stata presente nella storia dell’umanità ed ha avuto una formidabile spinta inerziale in quella culla di Civiltà che, per tutti, è stata la Grecia antica

Stefano Quondam è un professore di letteratura greca, empaticamente compenetrato in qual particolare mondo fatto di Miti, divisi fra Eroi e Filosofi sulla Saggezza del Vivere.

Ma è anche un Padre che assiste al veloce declino del suo unico figlio, Marco, affetto da Progeria, alterazione genetica che porta a un fatale invecchiamento precoce del corpo, lasciando la mente “lucida”.

Ecco, quindi, la terribile apparente contraddizione tra mente e corpo: la bellezza infinita del Pensiero, a confronto con un corpo in veloce disfacimento.

Stefano, a questo punto, si attiva per lasciare al proprio figlio, quello che ritiene un grande dono riparatore: una luce così potente da illuminare ogni tenebra e rischiarare ogni paura.

Inizia, così, il racconto di una vita senza tempo in cui i personaggi, gli eroi, i poeti dell’antica Grecia, arrivano al Cuore di un ragazzo già vecchio, attraverso le parole di un padre, novello Aiace, che cederebbe la sua vita per quella del figlio.

Un “cercatore” di Luce (un eroe “coerente”, se vogliamo), Stefano – Aiace, con un destino ricorrente in un mondo non disponibile alla comprensione, che chiede conforto a “grandezze” come Saffo e Antigone.

Non è facile il confronto con chi, a seguito di una ingiusta condanna, può percepire la sfumatura di ogni emozione ma non riesce ad assaporarla perché sfiorisce precocemente, alla stregua della propria vita….

E allora, perché non sfidare il Destino a scacchi e pretendere di trasfondere l’Amore più dolce (e, forse, il più doloroso) nelle vene di Marco?

“Sentire” la potenza di Fedra e il coraggio di Saffo

In fondo, mio Signore (sempre ammesso che tu esista) le cose belle, come l’amore, sono sfavillii sfolgoranti e dirompenti e chiarori di fondo che, dopo un po’, non ci fai più caso!

Cari Lettori, un incipit così intenso aiuta a comprendere il Valore e l’Importanza di realtà come Cultura e Sapere, che si raggiungono attraverso lo Studio.

Molti anni fa, abbiamo avuto l’occasione di conoscere un bizzarro personaggio apparentemente proiettato dal diciannovesimo secolo, il cav. Serra, che propugnava l’inutilità della lettura: “Non serve sforzare la vista, tutto lo scibile umano è già nella mia testa!”

Ebbene una simile affermazione, per quanto apparentemente risibile, ha un fondamento di verità.

Gli esperti sostengono che, gran parte dei fenomeni determinatisi dal Big Bang ad oggi, siano archiviati in una specie di libro di Storia che potrebbe essere rappresentato dai nostri codici genetici.

C.G. Jung parlava, a tal proposito, di “Inconscio Collettivo” come grande serbatoio di milioni di anni di esperienze condivise e contenitore di “lieviti” in grado di spingerci ad affrontare il Futuro.

E, allora, a che serve leggere e studiare?

Applicare la mente, con metodo e continuità, su qualcosa di significativamente motivazionale (studiare, appunto), apre il canale dell’Apprendimento (meccanismo che sfrutta zone cerebrali come Ippocampo, Talamo e Corteccia Associativa) attraverso cui, le informazioni “interessanti”, attivano il confronto (per essere riconosciute) con quanto è depositato in memoria.

Nel momento in cui ci si trova di fronte a qualcosa di nuovo, siamo costretti (inconsciamente) ad una più approfondita ricerca nel sottoscala della memoria, dove esistono i ricordi ancestrali: perché nulla si crea e nulla si distrugge ma, tutto, si trasforma (attraverso l’esperienza condivisa).

L’apprendimento, infatti (tecnicamente parlando), si definisce come un’attività della mente mediante cui, l’esperienza, incidendo sul sistema nervoso, modifica il comportamento.

Nella Scuola dell’esperienza si impara tutti i giorni (Proverbio popolare)

Paradossalmente, tutti gli esseri umani iniziano il rapporto con lo studio in maniera naturale e piacevole e poi, nel tempo, determinano conflitti, incertezze e insicurezze.

Come mai?

Ogni bambino avverte il bisogno di scoprire i misteri della vita attraverso sperimentazioni sempre più complesse in funzione dello sviluppo del proprio grado di comprensione. Allo stesso modo, iniziando il percorso scolastico, si porta dietro la voglia di giocare col nuovo, fino a quando, non impara a sue spese che la didattica può complicare tremendamente le cose.

In che modo?

Ad esempio, stimolando la ricerca di obiettivi poco validi quali quello dell’identificazione competitiva.

Cosa vuol dire?

Che tende ad identificarsi con figure di riferimento, per cercare di emularle… nel bene o nel male.

L’apprendimento scolastico è una fase “transitoria” imprescindibile?

In un’epoca determinata da protocolli stabiliti in base a medie statistiche più che alle esigenze individuali, c’è sempre meno spazio per gli autodidatti e sempre maggiore necessità di titoli accademici che certifichino competenza e capacità. Studiare per diventare migliori e ottenere ricadute positive personali e collettive, può essere preso in considerazione dopo un lungo periodo di impegno “imposto” legalmente e, nella migliore delle ipotesi, condizionato da scelte alquanto relative. A queste condizioni, come sosteneva Michel Eyquem de Montaigne, è facile scontrarsi con due tipi di ignoranza.

Quali?

Quella degli analfabeti (ormai rara) e quella dei “dottori” (sempre più frequente).

Che soluzione ci sentiamo di proporre?

Se vedi un affamato non dargli del riso: insegnagli a coltivarlo (Confucio).

A  questo punto, una domanda si presenta quasi “impertinente”: perché, spesso, a scuola e, talvolta, anche all’università, si studia per “accontentare” i genitori, o per sentirsi superiori agli altri?

Ciò dipende dal modello educativo che si è ricevuto. Spesso, per indurre un ragazzo a migliorare il proprio rendimento, lo si spinge a realizzare una competizione con altri che “si trovano nella stessa barca” per tentare di superarli e ottenere come premio, gratificazioni che vengono confuse con una maggiore accettazione. Da qui, a identificare il successo con maggiori attenzioni affettive da parte delle persone care, il passo è breve.

Se la finalità dello studio consiste nell’appagare un’esigenza fondamentale come quella relativa al bisogno di sapere, come è possibile sganciarlo da altre motivazioni che non gli sono proprie?

A parte il fatto che, come sosteneva Eraclito, “l’apprendere molte cose non insegna l’intelligenza”, proviamo a riflettere su questo aforisma di oscar Wilde: “Uomo colto é colui che sa trovare un significato bello alle cose belle”.

Da cosa dipende il disinteresse di molti giovanissimi verso lo studio, se l’esigenza di conoscere accompagna l’essere umano in tutta la sua esistenza?

Da una disillusione.

Quale?

L’essersi accorti che, contrariamente a quanto sostenuto da coloro i quali ritenevano importante studiare per non rimanere ai margini di quel terreno di gioco della vita, molti laureati “passeggiano” in attesa di prima occupazione

E quindi?

Siccome la nostra Società non è più in grado di assorbire, nel suo ciclo produttivo, individui generalisti e non specialisti, la risposta pragmatica dovrebbe consistere in un’adeguata preparazione “globale”, come risultato di una buona formazione, imparando ciò che serve grazie ad uno studio “agile”, utile e mirato. Ma, purtroppo…

Molti desiderano possedere la conoscenza, ma relativamente pochi sono disposti a pagarne il prezzo (Giovenale).

La Cultura acquisita per il piacere della conoscenza, potrebbe consentire la costruzione di ciò che Francesco Alberoni, nel suo libro “l’albero della vita”, definisce col termine di Stato Nascente in cui tutti, in fondo, contribuiremmo alla realizzazione di un’umanità rinnovata nel ripristino di valori solidali e, se vogliamo, anche “performanti”

Cari Lettori, possiamo senz’altro trovarci d’accordo sul fatto che, il termine “Cultura”, sia troppo spesso utilizzato a sproposito.

D’altronde, della Cultura (intesa come analisi della realtà e stimolo forte alla modificazione in meglio del vivere sociale) il Potere ha profonda diffidenza.

La lettura “autentica”, è una condizione basilare per una cultura che voglia arricchire l’individuo e consentirgli di lavorare per la crescita e il miglioramento di tutti.

Quando guardiamo i volumi di una biblioteca, proviamo sempre un senso di forte emozione.

Avvertiamo che, dentro quelle pagine, c’è il meglio di tantissimi fratelli maggiori che ci hanno preceduto nella esperienza di vita.

Cosa è, infatti, un classico? È un testo che ha sconfitto il tempo.

L’autore è morto magari da duemila anni e la parte vivissima di lui – l’opera – è nostra “contemporanea” e ci aiuta nel nostro fatale andare.

Siamo agli inizi di un nuovo anno scolastico e, la Scuola, è chiamata a dare il suo contributo organizzato per aiutare i giovani a scrivere la loro Storia.

Nella confusione dei ruoli, i genitori (non tutti, certo) vedono la scuola come un parcheggio.

Non seguono la crescita dei figli, che, sin dalla giovanissima età, la fanno da padrone e non vogliono limiti.

Per questo, parecchi alunni detestano la scuola e, spesso, anche gli insegnanti più bravi che vorrebbero far crescere le persone loro affidate.

Questa “missione” è diventata molto difficile perché i genitori deboli, distratti, presi dalle loro cose giovanilistiche, accontentano i figli e prendono per oro colato tutto ciò che viene loro riferito.

In tale degrado educativo, i genitori, anziché interfacciarsi coi docenti, vedono la scuola come nemica, come un luogo ove i figli non sono apprezzati per il loro “grande” valore!

Che fare? Continuare nella nostra battaglia di favorire la lettura in qualunque modo e in qualunque sede.

È una delle poche attività che può aiutare la società ad uscire da “uno stato di minorita’ e di profondo degrado.

La lettura deve essere compagna di vita.

Ogni professionista, qualunque sia la sua attività, deve trovare ogni giorno lo spazio per leggere qualche pagina importante. In tal modo non si diventerà aridi e attaccati al guadagno esagerato, ma si svilupperà la sensibilità, la finezza, il senso autentico di fratellanza tra gli uomini.

Leggere, non solo allunga la vita ma consente di notare e apprezzare tanti aspetti dell’esistenza che, da soli, difficilmente coglieremmo.

È questo, il messaggio della vincitrice del Premio Strega 2024, l’Odontoiatra Donatella Di Pietrantonio

“Capisco che i ritmi di lavoro siano molto pressanti e il carico di lavoro molto gravoso, ma mi sento di sostenere l’importanza della lettura, di allontanarci ogni tanto da tutto ciò in cui siamo presi e provare ad abitare per qualche ora altri mondi. Leggere rende più umana la Medicina e il Medico”

Ne “Il mercante di Luce”, Marco termina la sua esperienza terrena all’età di soli diciassette anni, lasciando un sorprendente, inaspettato e illuminante riflesso.

Nella vicinanza degli ultimi giorni, descrivendo le rose blu (simbolo dell’inarrivabile) Stefano scopre che è proprio il figlio, il vero mercante di luce; un ragazzo carico di coraggio, capace di riflettere l’antica luce di quella bellezza narrata dal papà e presentandosi quasi come un Eroe dell’antica Grecia, a testa alta, al cospetto della morte.

E quando Stefano Quondam dovrà ammettere che sopraffazione e cattiveria sembrano avere il sopravvento sulla Passione e sulla Bellezza, vincerà la tentazione di porre fine alla sua via, così come fece Aiace, riabbracciando il ricordo del figlio in un pianto liberatorio.

La bellezza della Cultura e del sapere, ha salvato entrambi.

Ma, all’improvviso, si ascoltò mormorare come da un’eco lontana: “Non ho più paura, adesso non ho più paura di vivere” Tirò via il piede dall’acceleratore e cominciò a piangere di gioia.

Le Rose Blu

Vedi, darti la vita in cambio sarebbe troppo facile

Tanto la vita è tua e, quando ti gira, la puoi riprendere

Io, posso darti chi sono, sono stato o che sarò

Per quello che sai e quello che io so, io ti darò Tutto quello che ho sognato, Tutto quello che ho cantato

Tutto quello che ho perduto, Tutto quello che ho vissuto, Tutto quello che vivrò. E ti darò, Ogni alba, ogni tramonto

Il suo viso in quel momento, il silenzio della sera e mio padre che tornava

Io ti darò Il mio primo giorno a scuola, l’aquilone che volava, Il suo bacio che iniziava, il suo bacio che moriva

Le vigilie di Natale, quando bigi e ti va male, le risate degli amici, gli anni, quelli più felici

Io ti darò, tutti i giorni che ho alzato i pugni al cielo

E ti ho pregato, Signore, bestemmiandoti perché non ti vedevo

E ti darò, la dolcezza infinita di mia madre, di mia madre finita al volo, nel silenzio di un passero che cade

E ti darò la gioia, delle notti passate con il cuore in gola, quando riuscivo, finalmente, a far ridere e piangere una parola

Vedi, Darti solo la vita Sarebbe troppo facile, perché la vita è niente, senza quello che hai da vivere

E allora, Fa’ che non l’abbia vissuta neanche un po’, per quello che tu sai e quello che io so

Fa che io sia un vigliacco e un assassino, un anonimo cretino, una pianta, un verme, un fiato

Dentro un flauto che è sfiatato. E così sarò: non avrò mai visto il mare Non avrò fatto l’amore, scritto niente sui miei fogli

Visto nascere i miei figli, che non avrò, dimenticherò

Quante volte ho creduto e ho amato, sai, come se non avessi mai creduto, Come se non avessi amato mai

Mi perderò, in una notte d’estate Che non ci sono più stelle, in una notte di pioggia sottile, che non potrà bagnare la mia pelle

E non saprò sentire la bellezza che ti mette nel cuore la poesia. Perché questa vita adesso, quella vita, non è più la mia

Ma, tu, dammi in cambio le sue rose blu, fagliele rifiorire le sue rose blu. Tu, ridagli indietro le sue rose blu

“Continuò a guardare Marco finché non chiuse gli occhi, ma era ancora lì ad aspettarlo al varco di una parola, l’ultima, la prima, quella che lo facesse orgoglioso di avere un figlio così.

E arrivò. Marco si voltò nel sonno e mormorò:

– Non ho più paura, papà”

Enzo Ferraro – già Dirigente Scolastico, Letterato, Umanista, Politologo

Giorgio Marchese – Direttore “La Strad@”

Un ringraziamento ad Amedeo Occhiuto e ad Erminia Acri, per la collaborazione

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *