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La distanza tra la pazzia e la genialità è misurata solo dal successo (Cit.)

Cari lettori, a Zanzibar, compresa nell’arcipelago omonimo e rappresentante la parte continentale della Tanzania (una volta chiamata Tanganica) accadono cose strane.

Per esempio, ogni sei ore il paesaggio costiero cambia in maniera inimmaginabile passando dalla foto tipica di una bella località balneare (con l’alta marea) a un quadro Disneyano all’interno del quale puoi fare delle incredibili passeggiate sui fondali fino ad arrivare alla barriera corallina, tra ricci di mare, stelle marine e alghe (quando la marea si ritira).

Forse è anche per questo che il profumo delle sue spezie si diffonde in maniera così particolare…

Ma non basta.

Infatti, Stone Town (la zona antica della Capitale di Zanzibar in cui si alternano stili arabi e indiani) è stata dichiarata patrimonio dell’Umanità dall’Unesco per la particolarità dei suoi edifici: prima viene creata la porta e, successivamente, gli si costruisce il palazzo tutto intorno. Un po’ come se l’uscio fra il mondo esterno e l’intimità, influenzasse la realizzazione della parte “inconscia” e non visibile ai più.

Intento di Freddie e dei Queen era quello di scioccare e confondere, di giocare con gli stereotipi e ribaltarli in un turbinio di colori, forme, gesti e atteggiamenti che hanno segnato non solo un’epoca ma l’intera storia dello show-biz. (Andrea Tuzio – Collater.al)

Se queste sono le premesse, non è strano che un certo Freddie Mercury (al Secolo, Farrokh Bulsara) potesse essere, in certo qual modo, un “triste” predestinato.

Nato da famiglia di origini “Parsi”, viene avviato a studi prestigiosi (grazie, forse, alle influenze del padre, cassiere della segreteria di Stato per le Colonie britanniche) che ne affinano le doti culturali e artistiche, rendendolo fuori dal comune e prigioniero di una personalità condannata ad una particolare “dissociazione”: timida e vulnerabile nel privato; istrionica oltre ogni immaginazione, nella sfera pubblica.

A chi lo critica per aver “rinnegato” le sue origini cambiando il suo nome, lui risponde che, le radici valoriali di appartenenza, non avrebbero potuto consentire la libertà di espressione e di contestazione “dura” del Rock.

Enorme è stata la sua produzione artistica ma, se volessimo tracciare un profilo “intimo” della sua personalità, potremmo tracciare una linea ideale che parte con We are the Champions

Ho pagato il mio dovuto, ho scontato la mia pena, ho fatto i miei inchini e il mio sipario chiama ma, non è stato tutto rose e fiori: nessuna crociera di piacere. Ma ce l’ho fatta. E intendiamo andare avanti e avanti e avanti e avanti: noi siamo i campioni, amici miei, e continueremo a lottare fino alla fine

Continua con Mothers Love

Tutto quello che voglio è il conforto e la cura, ho camminato troppo a lungo in questa strada solitaria; sono un uomo di mondo e dicono che sono forte, ma il mio cuore è pesante e la mia speranza è svanita: non voglio pietà, solo un posto sicuro dove nascondermi. Mamma, per favore, fammi tornare dentro, desidero la pace prima di morire. Tutto quello che voglio è sapere che sei lì

… e Too Much Love Will Kill You

Sono solo i pezzi dell’uomo che ero Ho la sensazione che nessuno mi abbia mai detto la verità riguardo al crescere e alla fatica che sarebbe stata. Ho guardato indietro per trovare dove ho sbagliato. Troppo amore ti ucciderà, se non riesci a prendere una decisione

E termina con un vero e proprio testamento spirituale (donatogli dall’amico Roger Taylor) che assaporeremo alla fine di questo editoriale

In mezzo, tanti di quei capolavori che neanche il migliore di Musei potrebbe contenere.

Sostanzialmente, un bambino vulnerabile che si costringe a diventare un funambolo senza rete di protezione, pur di sentire di essere riconosciuto.

Separazione e individuazione: due caposaldi di percezione di esistere e di valere qualcosa.

E ci riesce, passando dalla sembianza efebica dei primi momenti alla ipermascolinità della “castro clone” dei periodi più arrembanti.

Per reggersi bene e proteggere le sue vulnerabilità, niente di meglio che la libertà senza freni di un istrionismo che ne ha fatto un frontman indiscusso.

Probabilmente, alla base del successo c’è, proprio, l’identificazione di chi lo ama con la paura che si trasforma in sfrontatezza.

La sua lezione musicale non può essere dimenticata perché ogni artista, andando avanti nella sua ricerca, è naturaliter costretto ad imbattersi e fare i conti con Freddie.

Del resto, la sua immensa grandezza è il portato di uno studio profondo di tutte le grandi esperienze musicali del suo tempo.

Si diventa profondi e originali dopo che è stata consapevolmente metabolizzata la grande lezione musicale di altri significativi artisti.

Sin dalla fanciullezza Freddie ha fatto tesoro di varie influenze musicali, a partire dall’India, con la frequentazione della cantante Lata Mangeshkar.

A nostro avviso, la “curiosità” di Mercury nasce dalla esigenza di impossessarsi di un patrimonio vasto per poter poi esprimere il suo mondo in un tempo così drammatico e complesso per l’umanità.

Gli strumenti del suo lavoro sono stati la voce, il pianoforte, il sintetizzatore, la tastiera, il clavicembalo, la chitarra.

Il tutto, al servizio di un talento vocale e di una esuberante personalità che possono cantare rarissimi confronti.

Tutto, attraverso lui, assume colori e toni senza paragoni. E, ogni band brilla di luce riflessa.

Dagli Ibex, agli Sour Milk Sea; dagli Smile ai Quenn

Anni fa pensai al nome Queen… È soltanto un nome, ma è molto regale e ha un suono splendido. È un nome forte, molto universale e immediato. Aveva un grande potenziale visivo ed era aperto a ogni tipo di interpretazione. Ero certamente consapevole delle sue implicazioni omosessuali, ma quello era solo uno dei suoi aspetti. (Freddie Mercury)

Il suo lato emozionale, però, vuole sperimentare i sapori di una tarda (e tardiva) burrascosa adolescenza e, quindi, dopo aver lasciato Mary Austin (trasformando la sua figura in dimensione materna), si trasferisce a Monaco di baviera, attratto da una sregolata e promiscua vita notturna.

Lambisce una relativa tranquillità conoscendo Jim Hutton, il compagno più importante della sua vita, e acquistando  una villa in stile georgiano con otto stanze sita a Kensington, nei pressi di Earl’s Court, che soprannominò Garden Lodge.

Come tutti i grandissimi, Freddie Mercury è stato schietto e “umile” nel riconoscere l’altezza di ingegno di altri maestri.

Tuttora riflettiamo su quanto ha espresso a proposito di Jimi Hendrix:

Jimi è il mio idolo. Con la sua performance dal vivo, racchiude tutto il lavoro di una rockstar. Non si può paragonare a nessuno. O hai la magia o non ce l’hai. Nessuno può eguagliarlo. Nessuno può prendere il suo posto.

Nel frattempo, i Queen si esibiscono  davanti a platee di svariate decine di migliaia di fans e, partecipando (nel 1985) al Live Aid, un concerto umanitario organizzato da Bob Geldof che vide la partecipazione dei più importanti artisti internazionali, allo scopo di ricavare fondi in favore delle popolazioni dell’Etiopia colpite da una grave carestia, vengono consegnati alla Storia creando la definitiva consacrazione di Freddie Mercury.

Ma, a lui, non basta. Pubblica e canta insieme al soprano Montserrat Caballé, Barcelona, album con canzoni in inglese e in spagnolo che unisce la pop music con la musica lirica, una esperienza iniziata con Bohemian Rhapsody.

La sua tecnica era impressionante. Cantando passava da un registro vocale all’altro senza alcun sforzo. (Montserrat Caballé)

La storia di “These Are The Days Of Our Lives”, il regalo dell’amico Roger Taylor  a Freddie Mercury

Questo testo, così intimo e atipico per i Queen, con raffinati arrangiamenti e pubblicato nell’album “Innuendo” del 1991, nasce come riflessione sulla paternità e avrebbe dovuto essere dedicato al proprio figlio Rufus Taylor ma, vedendo l’amico Freddie lottare come un leone, nonostante lo spegnimento delle proprie forze, in quello che sarebbe stato l’ultimo anno della propria vita, lo adatta alla verà identità di Freddie e ne nasce un capolavoro interpretativo.

Buttava giù un sorso di vodka e cantava come non lo avevamo mai sentito prima, il suo coraggio era straordinario

These Are the Days of Our Lives viene pubblicata il 5 settembre 1991, giorno del 45esimo compleanno di Freddie Mercury e, subito dopo la sua scomparsa (il 9 dicembre) come doppio lato A insieme a Bohemian Rhapsody

A tatuarla nel cuore del pubblico è il videoclip, girato il 30 maggio 1991: l’ultima apparizione in assoluto di Freddie Mercury prima della sua morte.

Nelle immagini, girate in bianco e nero per nascondere i segni della malattia, Freddie indossa un gilet con dei gatti stampati (i suoi animali preferiti) e interpreta il brano esattamente come un “lascito testamentario” concludendo con un commovente primo piano e sussurrando “I still love you” (io vi amo ancora) prima di sparire dall’inquadratura con un gesto della mano.

A volte mi sento come tornato ai vecchi tempi, molto tempo fa

Quando eravamo bambini, quando eravamo giovani

Le cose sembravano così perfette, lo sai

Il sole splendeva sempre

A volte mi sembra che il resto della mia vita sia stato solo uno spettacolo

Quelli erano i giorni della nostra vita

Le cose brutte nella vita erano così poche

Quei giorni sono ormai passati, ma una cosa è vera

Quando ti guardo e ti trovo, io ti amo ancora

Non puoi riportare indietro l’orologio, non puoi riportare indietro la marea

È inutile sedersi e pensare a quello che hai fatto

Meglio sedersi e seguire il flusso

Perché questi sono i giorni della nostra vita

Hanno volato nella rapidità del tempo

Questi giorni sono ormai tutti passati, ma alcune cose rimangono

Quando guardo e trovo, non vedo alcun cambiamento

Quelli erano i giorni della nostra vita, sì

Quei giorni sono ormai passati, ma una cosa è ancora vera

Quando guardo e ti trovo, io ti amo ancora

Lo spirito creativo dell’artista, pur condizionato dall’evolversi di una malattia, è al di là dell’opposizione tra normale e anormale e può essere metaforicamente rappresentato come la perla che nasce dalla malattia della conchiglia: come non si pensa alla malattia della conchiglia ammirandone la perla, così di fronte alla forza vitale dell’opera, non pensiamo alla schizofrenia che forse era la condizione della sua nascita” (Karl Jaspers, Genio e follia, 1922)

Enzo Ferraro – già Dirigente Scolastico, Letterato, Umanista, Politologo

Giorgio Marchese – Direttore “La Strad@”

Un ringraziamento ad Amedeo Occhiuto per l’affettuosa disponibilità

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