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Mi considerano pazzo perché non voglio vendere i miei giorni in cambio di oro. E io li giudico pazzi perché pensano che i miei giorni abbiano un prezzo. (Khalil Gibran)

Monologo sul tempo

Che sei venuto a fare, qui?  A fare l’eroe? Sei fuori di testa?

Harry Hamilton

Piacere, Will Salas

Quanti anni hai? L’età in tempo reale

Ventotto

Io, centocinque

Buon per te. Ma non arriverai a centosei se avrai altre serate come quella di oggi

Hai ragione. Ma arriva il momento in cui ne hai abbastanza. La mente può essere esaurita anche se il corpo non lo è. E vogliamo morire. Dobbiamo farlo!

È questo il tuo problema? Hai vissuto troppo a lungo? Hai mai conosciuto qualcuno che è morto?

Per pochi immortali, la maggioranza deve morire!

Questo, che significa?

Non possono vivere, tutti, in eterno:  dove li metteremmo? Perché i prezzi e le tasse aumentano di continuo, nel ghetto? Il costo della vita aumenta per far si che la gente continui a morire. Non esisterebbero uomini con milioni di anni e altri che vivono alla giornata. Ma la verità è che… ce ne sarebbe per tutti: nessuno deve morire prima del tempo. Se tu avessi tanto tempo quanto ne ho io, cosa faresti?

Di sicuro, non lo sprecherei

Cari Lettori, la forza emotiva del dialogo che abbiamo sotto posto alla vostra attenzione è pari soltanto a quello che si prova nel momento in cui, tracciando il bilancio della nostra vita, ci accorgiamo di quanto, i condizionamenti (modello educativo in primis), abbiano bruciato la risorsa più importante: la vita, misurata in unità di Tempo.

Chiudiamo gli occhi per (più di) un momento.

Siamo nell’anno 2169, e noi siamo geneticamente programmati per invecchiare soltanto fino a 25 anni: da quel momento, sul nostro braccio, un timer (fermo dalla nascita fino a qual momento, inizia un conto alla rovescia che dura solo un altro anno, al termine del quale, moriremo all’istante).

Questo limite, però, può essere esteso con ulteriore tempo, permettendo di vivere ancora, senza peraltro invecchiare fisicamente.

Il tempo, quindi, è diventato la valuta corrente con cui paghiamo e veniamo pagati.

Grazie a una particolare tecnologia, è possibile immagazzinarlo e trasferirlo di persona in persona.

Tutto sommato, non sarebbe diverso da quello che viviamo già adesso, epoca in cui “il tempo è denaro”.

Tuttavia, riflettiamoci bene: allo stato attuale, in caso di furto di beni immobili e denaro contanti avremmo sempre la possibilità di “rifarci una vita”, in un modo o nell’altro. Ove mai, invece, venissimo privati di ciò che regola la funzionalità cardiaca e cerebrale, sarebbe finita per sempre!

Cari Lettori, continuiamo col nostro viaggio immaginario.

I nostri occhi si aprono sulla giornata rappresentata dal compleanno di nostra madre il cui orologio biologico segna solo tre giorni di risparmi…

La metà serve per l’affitto, 8 ore per l’elettricità. E c’è la rata del prestito…

Tutto, in questo mondo, ricordiamoci che si paga con il tempo: 4 minuti per una tazza di caffè, 1 ora per un cartone di birra, 59 anni per una vettura di lusso.

Mentre ai Casinò si puntano “Secoli”, i poveri fanno la fila davanti alla “Caritas del tempo” per sopravvivere ancora qualche ora.

Ora, siccome esiste una inflazione “pilotata” da orride leggi di Mercato, l’orologio di nostra madre improvvisamente si azzera e, lei, ci muore fra le braccia…

Una tonnellata d’oro non può comprare una briciola di tempo (Proverbio Cinese)

A questo punto, cari Lettori, ci sovviene che, ad ogni nostro compleanno, ripensiamo a ciò che abbiamo realizzato e concludiamo come Chilone di Sparta, che tre sono le cose difficili; custodire il segreto, soffrire le ingiurie ed impiegare bene il tempo.

Parafrasando il passo di un famoso libro di Luciano de Crescenzo (Il Dubbio – Mondadori Ed. – MILANO 1992) molti di noi, ad un certo punto della vita, si “vedono” seduti su una poltrona posta al bivio fra l’angolo dei ricordi e la strada della speranza, a tracciare un bilancio degli eventi per continuare a credere che il proprio scorrere del tempo avrà ancora un senso, nonostante la “polvere” del quotidiano, lentamente, “sbiadisca” sogni, ricordi, emozioni.

Consumiamo ogni giorno senza pensare, senza accorgerci che il consumo sta consumando noi e la sostanza del nostro desiderio. È una guerra silenziosa e la stiamo perdendo. (Zygmunt Bauman)

Perché gli uomini si trovino a dover condurre in porto quell’inestricabile avventura che connota gli elementi salienti della parabola esistenziale, ancora non ci è dato saperlo. Probabilmente per contribuire (come “pellegrini”) al cammino evolutivo di un percorso già scritto nelle (e dalle) Leggi di Natura e di cui noi dobbiamo scoprire come “arrivare” a destinazione.

Per ciò che riguarda il contingente, invece, siamo giunti alla conclusione che, nel tempo a nostra disposizione, è necessario realizzarsi mediante un impegno (che la Società Occidentale chiama “Lavoro”) capace di riconoscerci un’adeguata dignità, delle relazioni affettive e una buona gestione del proprio tempo libero.

Il tutto (per ricollegarci al discorso precedente) per aiutarci nell’evoluzione del passaggio dal narcisismo fusionale del rapporto con la propria Madre (che ci ha generato obbedendo, a sua volta, alle leggi della Creazione) alle relazioni oggettuali (cioè con il mondo esterno) nelle quali cerchiamo, comunque, un volto amico e delle mani che si possano prendere cura.

Ecco, dunque che (tornando al ragionamento precedente) è ricco chi sa come utilizzare il tempo a disposizione (dando un senso e uno scopo al proprio “andare”) ed è povero, invece, chi, paradossalmente, ha tutto ciò che potrebbe soddisfargli ogni sfizio e capriccio… ma non sa dare un perchè, al suo impegno quotidiano…

Grazie ad un buon livello di salute, l’individuo e il gruppo devono essere in grado di identificare e sviluppare le proprie aspirazioni, soddisfare i propri bisogni, modificare l’ambiente e adattarvisi”. (Carta di Ottawa, 1984)

Com’è possibile che nella nostra Società esistano dislivelli tanto evidenti che congiungono i picchi estremi che stanno fra la poesia (quella vera, quella che ti scalda l’animo e ti sblocca il cervello) e i paradossi contemporanei che, per delle opportunità offerte (comodità, previdenze di vario genere, etc.), ti prendono la vita a prezzo usuraio? 

Il tempo è la cosa più preziosa che un uomo possa spendere (Teofrasto)

Partiamo dal principio, che il tempo si può considerare come la dimensione all’interno della quale viene concepito e ricordato il trascorrere delle cose e degli eventi e che, ognuno, percepisce il tutto in maniera soggettiva in relazione al proprio umore del momento, al meccanismo della “sensibilità” percettiva e alle proprie esperienze che gli hanno insegnato il valore dell’attesa.

Si va sotto stress (con accelerazione psicofisica di affaticamento), ogni volta che ci si deve adeguare a variazioni considerevoli del mondo esterno (ambientali, sociali, lavorative, familiari, etc.) o del mondo interno (fluttuazioni del tono dell’umore, oscillazione del bioritmo funzionale di organi ed apparati).

Adeguarsi, questa è la parola chiave…

Adeguarsi, significa assumere la norma di vita o il comportamento più idoneo, rispetto alle circostanze. Ci si può adeguare attraverso la messa in atto di sistemi di adattamento, oppure subendo il mutare degli eventi (esterni e/o interni).

Con il termine adattamento” si indica la capacità di accomodarsi alla meglio, creando dei nuovi equilibri, rispetto alle condizioni che si presentano. Attraverso il “subire” ci si adegua al mutare degli eventi, con rassegnazione, cercando di reprimere la “legittima” ribellione interna.

Diventa importante, a questo punto, considerare il nostro percorso che ci ha condotto dall’essere bambini bisognosi di protezione, al divenire adolescenti contestatori. È questo lasso di tempo che ha guidato la strutturazione della nostra Personalità, sia sul piano dell’Organizzazione (in funzione di quanto sappiamo mediare tra la ricerca del Piacere e il rispetto della Legge; di come ci contestualizziamo sul piano spazio temporale;  di quanto creiamo una adeguata immagine interiore e di come controlliamo le pulsioni, tolleriamo le frustrazioni e  “gestiamo” i conflitti interiori) che del Funzionamento.

Vivete come se doveste vivere per sempre; mai vi viene in mente la vostra caducità: non prestate attenzione a quanto tempo è già trascorso; lo disperdete come provenisse da una fonte rigogliosa e inesauribile benché, nel frattempo, proprio il giorno che è da voi donato a qualche uomo o attività, sia forse l’ultimo: Ogni cosa temete come mortali, ogni cosa desiderate come immortali. (Lucio Anneo Seneca)

Ma il tempo, trascorre per tutti allo stesso modo? 

Sosteneva Sant’Agostino, che il concetto di tempo (come unità di misura che misura i vari momenti della nostra esistenza) sia molto difficile da comprendere, in quanto è solo una dimensione dell’anima.

Il passato non esiste in quanto non è più, il futuro non esiste in quanto deve ancora essere, e il presente è solo un istante di separazione tra passato e futuro!

 E allora, come si devono intendere questi termini per non rischiare di perdersi nel qualunquismo di quelli che liquidano tutto rifugiandosi nelle citazioni di chi, ormai, non può più replicare?

Riflettendo, il passato costituisce il pianeta dei ricordi (che, in genere, si vivono con nostalgia o rammarico), il futuro rappresenta l’occasione per sperare in qualcosa. E il presente? “Incarna” l’opportunità di concretizzare! 

Si potrebbe dire che l’eterno mistero del mondo sia la sua comprensibilità. (Albert Einstein)

Forse la consapevolezza di una vita limitata nel tempo, porta alla ricerca di accelerare la realizzazione degli eventi. 

Personalmente, ci siamo considerati dei bulimici.

Non tanto di cibo quanto di emozioni. Questo, ci ha portato sovente alla necessità di un superlavoro mentale per far quadrare il rapporto fra tempo, problemi e capacità di “smaltimento”. Il tutto, a volte, si  è aggravato dal fatto di avere impattato con i limiti e la superficialità altrui.

Poi, abbiamo cominciato a capire che, se da una parte ogni giorno della vita ci pone di fronte problematiche da risolvere, dall’altra se non avessimo nulla da svolgere, durante una giornata, finiremmo col non sapere come allenare le nostre capacità potenziali.

E, quindi, abbiamo scoperto che concetti come vita, tempo e problemi, vanno analizzati come si può sorseggiare un calice di ottimo vino.

Quanto tempo ti è rimasto?

Solo un giorno!

In un giorno si possono fare tante cose! (Da “In Time”)

Il tempo, che “non esiste”, è stata una “invenzione utile all’uomo per organizzare e disciplinare tante esigenze materiali e spirituali.

Così è stato finora, così sarà certo in futuro.

Anzi, essendo sempre più sofisticato, il tempo sarà collegato alle tecnologie sempre più avanzate che saranno messe in campo.

Il sogno degli uomini sarebbe di durare sempre.

Ciò, data la precarietà corporea, non sarà mai possibile. Con protesi di vario tipo si può durare un po’ di tempo in più, ma alla fine l’esistenza si dissolverà.

Le religioni più avanzate e seducenti, con grande abilità insistono sulla precarietà dell’esistenza (dato reale) per consegnare una grande speranza: la vera vita non è questa, il vero tempo non è questo misurato con l’orologio, ma il tempo eterno, il “sempre”.

È appena il caso di osservare che “sempre” è tutto e niente. È la stasi totale, il letargo eterno.

Siamo però dell’avviso che, se ognuno di noi è aiutato dalla fede, ben fa ad abbracciarla, perché tutto ciò che dà carica a questa precaria esistenza va incoraggiato.

Sapendo, nei momenti di lucidità, che si tratta di “pietosa insania”. Questo, non per crudeltà mentale, ma per rispetto delle nostre facoltà cogitative, è bene tenerlo presente.

Gli autori di molti film odierni amano fantasticare sul futuro e “giocano” molto sul concetto di tempo. Apparentemente si mettono in un terreno “altro”, ma di fatto tutto sarà condizionato sempre dal danaro, nelle sue varie declinazioni.

La lotta tra ricchi e poveri sempre ci sarà e ovviamente i ricchi vinceranno sempre perché potranno usufruire delle migliori opportunità.

Sarà una umanità diversa cui le generazioni future si avvicineranno per gradi e tutto a loro apparirà “naturale”.

Dovremmo fare uno sforzo per restare ben legati alla realtà.

Che cosa stiamo facendo per noi?

Che cosa stiamo facendo per gli altri?

Siamo consapevoli del nostro essere piccola ma pericolosa parte di un habitat vasto che ha bisogno della nostra collaborazione?

Dovremmo tutelare l’esistente se poi vorremo far arrivare le generazioni future alle date che inventiamo per le nostre narrazioni.

Benedetto Croce, in uno scritto dei suoi ultimi mesi, con saggezza che dovremmo tener presente, offre delle riflessioni di non poco momento.

Il filosofo ci ricorda che la vita ha una durata limitata per tutti. Qualche decennio in più non ha valore nel ritmo dell’universo.

“Il dramma”, commenta don Benedetto, “sarebbe il non morire mai ed essere costretti a ripetere le stesse operazioni materiali”.

Forse è perché si è distorto il valore della parola Io. Da propellente per tentare i primi passi verso la certezza di sapersi migliori, col tempo diventa sempre più fastidioso, come il segno di un pensiero infantile: Io, io… e ancora io

Strana parola, Io.

Spesso nasconde la paura di non essere nessuno. Che condanna, per chi ritiene di non essere nato per restare confuso nell’anonimato. Io, monosillabo “innocente”, vissuto come il primo e l’ultimo peccato originale. 

Non fuggire in cerca di libertà quando la tua più grande prigione è dentro di te (Cit.)

Insomma, quali sono i criteri da usare per programmare e organizzare al meglio il proprio lavoro e, in definitiva, la propria vita?

Tempo a disposizione; Energia da destinare; Motivazione all’agire.

Il tutto, ovviamente, valutando gli obiettivi e “scoprendo”, in sé, la voglia di affrontare il quotidiano (con un occhio al futuro, senza dimenticare il passato) in base alle proprie competenze e, possibilmente, operando una verifica preventiva, per ridurre il margine di rischio. Questo è tutto.

Vista dai giovani, la vita è un avvenire infinitamente lungo. Vista dai vecchi, un passato molto breve (Arthur Schopenhauer).

Ora cari Lettori, usciamo dal percorso della nostra immaginazione nel quale ci siamo calati un po’ di righi più sopra e mettiamoci comodi a osservare le immagini finali del film con cui abbiamo iniziato questo Editoriale: “In Time” (film distopico del 2011 scritto e diretto da Andrew Niccol, già sceneggiatore di “The Truman Show),

Will Salas rapisce la figlia del banchiere Weiss, nei cui forzieri è contenuta una quantità enorme di tempo, per poterlo ricattare: 1000 anni all’associazione Caritas della zona 12 in cambio di Sylvia.

Quando è evidente il completo disinteresse affettivo nei confronti della propria figlia, Will e Sylvia rapinano le banche del tempo e donano la refurtiva ai poveri del ghetto. In questo modo, inizia a sovvertirsi l’ordine stabilito e inizia un caos da cui, si spera, nascerà una Società migliore.

Cari Lettori, a ciascuno di noi resta il compito di terminare questo Editoriale per come meglio sente che possa calzargli.

Prendendo spunto da un suggerimento di Gianni Rodari, ogni lettore scontento del finale, può cambiarlo a suo piacere, aggiungendo  un capitolo o due. O anche tredici. Perché non bisogna mai lasciarsi spaventare dalla parola FINE.

In fondo, come ha detto qualcuno, chi cerca la verità dell’essere umano, deve anche farsi padrone del suo Dolore.

Per quel che ci riguarda, troviamo suggestiva la riflessione suggeritaci da una caro amico

Come se vedessi il mare per la prima volta: con quegli occhi pieni di stupore, dovresti incontrare la vita. Ogni giorno.

Perché tutto è nato dal Fuoco dell’esplosione primordiale che, raffreddandosi, è diventato Terra la quale, irrigata dall’Acqua del mare, ha creato la natura che conosciamo e l’Aria che respiriamo.

Verrà il tempo in cui avremo il passo lento e le mani stanche; riposeremo seduti accanto ad incolmabili vuoti, con gli occhi persi in antiche malinconie. Avremo rughe sul viso e nell’anima. Nel cuore, i ricordi di una vita da raccontare, il desiderio e il bisogno che qualcuno ci stia ad ascoltare.

Tu, quanto tempo hai?

Ci sono foglie che si aggrappano ai rami perché non vogliono cadere mai
Ci sono stelle che si aggrappano al cielo perché si accorgono di finire, sai
Ci sono ubriachi che stringono il bicchiere perché è sempre l’ultimo che fa paura
Ci sono uccelli che sentono lo sparo e contano quanto gli resta ancora

Ed è soltanto una questione di tempo, quello che serve a salvare un uomo
Il cielo quando, è in attesa di un lampo…
Una chitarra che aspetta un suono, una ragazza col cuore in gola
Perché il suo amore non può finire. il tempo prima della parola che non avresti mai voluto dire

E tu, quanto tempo hai? Tu, quanto amore hai?
Io non ti perdo mai
Ti aspetto al fondo Di questa strada, sai
Tu, quanto tempo hai? Quanto amore hai?

Ci son ragazzi che chiudono gli occhi e  si distruggono in un altro tempo
Ma d’altra parte ci sono vecchi che darebbero tutto per un momento
Ci sono lettere che non arrivano, baci che restano immaginari
Ci sono treni che si stanno chiedendo quando finiscono i binari

E ci sono poeti che chiedono a Dio un altro giorno per dire qualcosa
E giardinieri sdraiati di notte col naso sul gambo di una rosa
Ci sono bambini che aspettano quando verranno per spegnergli la luce
E uomini che hanno sfidato il tempo perché qualcuno fosse felice

E tu, quanto tempo hai?
Tu, quanto amore hai?
Basta solo sapere questo, sai, conta solo questo, sai

Tu, quanto tempo hai?
Tu, quanto amore hai?
Non è niente, non è successo niente, sai
Dimmi solo se ti ho perso o non ti ho perso mai
Tu, quanto tempo hai? Quanto amore hai?

“Non mi interessano le ore della giornata, ma che non mi sfugga il tempo dalle mani” (Da “in time”)

Enzo Ferraro – già Dirigente Scolastico, Letterato, Umanista, Politologo

Giorgio Marchese – Direttore “La Strad@”

Un ringraziamento ad Amedeo Occhiuto per l’affettuosa collaborazione