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Su le aspre giogaie, e ginestre, e tamerici, e profumi di colori nascondono rocce corrusche; irrompe, ancor, l’estate, nel dolce incanto di sua malìa.

Lieve, l’onda disseta la riva riarsa. Invano il tepore notturno contende il tempo alla luce, che, già, l’alba rosata incide, sul tenue turchino, le aspre cime del monte.

Voci lontane nei campi or rinnovano il culto di Cerere; benigna, la dea riempie gli orti di pomi e verdure.

E, intanto, l’ospite dorme, nel villaggio alfin quietato; nella lunga vigìlia notturna, ha ballato sino all’ultima danza.

Il mare, sconvolto, nel giorno, da tuffi e motori, ricompone il suo luccichio, nell’indifferente pallore lunare.

D’improvviso, il primo scroscio di piòggia ci richiama alla solita noia; ancora un ultimo abbraccio nei flutti più freschi, che già l’auto arranca sull’aspra salita.

Illusi dal mito di Faust, ci siamo inondati di sole; chiazzato, inesorabile, riappare il pallido ovale del viso che ci trasforma in mesti Pierrot.

Qualcuno ha scagliato sull’onda il suo cuore -istanti d’estasi per un amore fugace- ecco, rimbalza, affonda, riemerge una…,due…,più volte!

Poi, l’onda ricopre quel cuore.-

12 settembre 2002