Posted on

Vorrei, quasi, che fossimo farfalle e vivessimo appena tre giorni d’estate: tre giorni così, con te, li colmerei di tali delizie che, cinquant’anni comuni, non potrebbero mai contenere (John Keats)

C’è chi parla di “August Blues” (Malinconia d’Agosto) per via di ciò che non si è potuto ottenere nonostante le aspettative e chi, rifacendosi a studi di approfondimento specifico, ci spiega che, in fondo, ciascuno si porta dentro il peso dell’angoscia legato all’incompiutezza dell’Essere “Umano”.

Cari Lettori, la verità è che, questo, è il periodo dell’anno in cui, noi ragazzi che fummo, fra falò e chitarre in riva al mare abbiamo voluto credere che gli occhi di un amore troppo grande per essere vero, potessero brillare solo per noi, come le stelle cadenti nella notte di San Lorenzo.

E, come ogni anno, è arrivata. E pur scalciando, non ci si sottrae al suo incontro. In genere è un appuntamento sudato, fatto di respiro che si accorcia e di sguardi furtivi alla ricerca di ombre.

Un appuntamento di ricordi che, da un bianco e nero ormai sepolto, si innervano sulla scia dell’iride. Ricordi che nella calura incantano sfuggendo e riemergendo, amari e teneri ma sempre profumati.

Attimi pensosi che allentano il presente e si rifugiano nel già datato, nel già dato.

Si può odiare l’estate, per le illusioni tradite, i progetti affondati nel mare che riscalda col suo impeto naturale. Per gli abbracci felici ormai allentati e per i baci caldi, infine, a labbra chiuse.

È il tempo dei poeti malinconici, seduti di sghembo sui sentieri bruciati ad oriente. Ed è la caccia delle ombre, oasi ossigenate per gli affanni feriali.

Durerà, e col suo assedio, trapasserà anche i corpi grondanti, violentando equilibri che reclamano dignità.

Forse si commuoverà, regalando estasi di momenti irripetibili, magie incandescenti per cuori assetati di festa e d’amore. Ma, alla fine, evaporerà il reale e le piazze e le vie e gli incontri.

E con furore, odiosa, brucerà ogni memoria” (Alessandro Citro)

Cari Lettori, volendo dare una “lettura alla Vivaldi” e alle sue “quattro stagioni”, l’estate rappresenta l’espressione di forza di quella vita che è giunta al suo acme.

Dopo un anno di lavoro e di tantissimi fastidi pratici (angustiati come siamo dalla terrificante burocrazia) il periodo estivo sembra consegnarci più tempo libero per pensare a noi stessi, all’ombra del riposo.

Ma, non sempre, è così perché molto congiura a trasformare l’estate in un periodo di confusione e di profonda interiore stanchezza.

Sarà perché i media ci ricordano che gli uomini, dopo millenni, amano ancora giocare alla guerra?

È molto probabile.

Ci proponiamo, d’Estate, di ridurre al minimo l’impatto TV ma, di fatto, non risolviamo nulla perché il cellulare, perennemente attivo, ci porta dinanzi agli occhi stragi, sangue, sofferenze, dolori.

Per quanto possiamo fare l’abitudine ai mali del mondo, dentro avvertiamo sempre un forte senso di fastidio, che non ci fa stare in pace con noi stessi.

Avendo trattato l’ambiente nel modo che sappiamo (e temiamo), anche le stagioni si sono, per così dire, adeguate e il caldo estivo, necessario e atteso, non è più il caldo di una volta ma ha una sua volgarità di fondo, quasi a fare il verso a tanti nostri innaturali comportamenti.

L’estate è la stagione che chiude annualmente il ciclo della vita.

Ha sempre il contrassegno della forza che vive il suo momento di maturità ma con delle crepe, con delle avvisaglie che non lasciano ben sperare per gli anni futuri.

L’estate, per chi ha ancora   autonomia di giudizio e di comportamento, è un periodo in cui si ha più tempo per leggere o rileggere un buon libro che allunga la vita e dà modo di riflettere sull’esistenza.

Ognuno ha i suoi amori letterari e sceglie la strada che meglio lo porta alla scoperta di una autenticità.

Non vogliamo sottrarre molto tempo con proposte culturali.

Ci limitiamo a regalare qualche verso famoso per illuminare di luce poetica il sole stesso che è già luminoso di suo.

Pablo Neruda, per esempio, ha dedicato attenzione a questo particolare stagione:

Estate, violino rosso, nuvola chiara, un ronzio di catena montuosa o di cicale, ti precede…

Il sole, per Neruda, è “indiavolato sole terribile e paterno, sudato, come un bue lavorando..”

I poeti per l’estate utilizzano, a seconda dello stato d’animo, i colori più vari.

Arthur Rimbaud è molto intrigato dalle sere di questo periodo dell’anno:

Le sere blu d’estate, andrò per i sentieri, graffiato dagli steli, sfiorando l’erba nuova

Passeggiando nei pensieri di questo grande autore e seguendolo per i sentieri dell’erba nuova, a noi, mentre osserviamo il cielo stellato, oppure il mare tanto calmo da sembrare, esso stesso, un altro cielo, viene da domandarci: “Io, chi sono?”

Si, perché, i sassi del sentiero non se lo chiedono. Probabilmente è una domanda che le piante non hanno bisogno di porsi. E, forse, neppure agli animali, che per tanti versi sono gli esseri più vicini a noi nel creato, interessa“Io, chi sono?”

Mai come adesso percepiamo la voglia d’estate, la luce del sole che brilla sulla pelle, il colore del cielo riflesso sul mare e quella sensazione di quando eravamo bambini: bellissima proprio perché non può più ritornare. Quel senso di festa di quando la scuola è finita e, tu, sei pronto alle avventure, alle prime uscite di sera tardi e, soprattutto, agli amori…

Ci rendiamo conto del fatto che, in noi, portiamo contestualmente, la nostalgia e la curiosità di un tempo tutto da vivere: uno splendido “fiore” di cui potremo raccontare alle generazioni future…

L’essere umano si è, da sempre, interrogato sulla natura del suo essere. E, nello stesso tempo, si è angosciato dall’incertezza della risposta.

Forse perché, tutto quello che vediamo è infinitamente più grande di noi, finiamo per sentirci “come una piccola onda che, intimorita dalla vastità dell’oceano, sogna solo di essere un’onda più grossa, più possente per non venire schiacciata dalle altre onde”.

Dalla paura di essere troppo piccoli e dal bisogno di diventare onnipotenti nasce la nostra perpetua insoddisfazione. E la nostra tristezza.

Eugenio Montale traduce questo conflitto interiore attraverso dei versi significativi:

Meriggiare pallido e assorto presso un rovente muro d’orto(…), e andando nel sole che abbaglia, sentire con triste meraviglia com’è tutta la vita e il suo travaglio, in questo seguitare: una muraglia che ha, in cima, cocci aguzzi di bottiglia.

Odio l’estate è un film del 2020 diretto da Massimo Venier con, protagonisti, Aldo, Giovanni e Giacomo. Descrive l’incontro fortuito di tre famiglie milanesi che, ritrovatesi (loro malgrado) a condividere la stessa villa, sulle coste della Campania, scoprono il profondo senso di umanità che nasce all’interno di una amicizia creata nel valore della condivisione emotiva.

Giacomo: “Come va?”

Aldo: Meglio.”

Giacomo: “Ma tua moglie Carmen lo sa, che ti resta pochissimo da vivere?”

Aldo: No, e che potevo fare? Stare 3 mesi chiusi in casa ad aspettare che succedesse? E’ stata una bella vacanza, no?”

Giacomo: “Sì, è stata davvero bella, ci siamo divertiti. Ma ora glielo devi dire, se lo scoprono da soli è peggio!”

Aldo: “Patti chiari però. Ho ancora 10 giorni di vacanza e li voglio godere tutti!”

Odio l’Estate, si. Ma solo quando finisce

Cari Lettori, è possibile che, per intravedere un barlume di autenticità, bisogna prima ferirsi?

Cesare Pavese ed Ennio Flaiano, ci suggeriscono di cercare i nostri penseri felici frugando nelle tasche dei ricordi

Per tornare ai tempi in cui era sempre festa: bastava uscire di casa e attraversare la strada per scoprire che tutto era bello, specialmente di notte. Perché non c’è che una stagione: l’estate. Tanto bella che le altre le girano attorno. L’autunno la ricorda, l’inverno la invoca, la primavera la invidia e tenta, puerilmente, di guastarla.

ESTATE

Estate, Sei calda come i baci che ho perduto
Sei piena di un amore che è passato, che il cuore mio vorrebbe cancellar

Odio l’estate
Il sole che ogni giorno ci donava, gli splendidi tramonti che creava
Adesso brucia solo con furor

Tornerà un altro inverno, cadranno mille petali di rose
La neve coprirà tutte le cose e, il cuore, un po’ di pace troverà

Odio l’estate
Che ha dato il suo profumo ad ogni fiore
L’estate che ha creato il nostro amore Per farmi poi morire di dolor

L’estate doveva essere libertà e giovinezza e nessuna scuola e, in più,  la possibilità, l’avventura e l’esplorazione. L’estate era un libro pieno di speranza. Ecco perché ho amato e odiato le estati. Perché mi hanno fatto venire voglia di crederci. (Benjamin Alire Sáenz)

Enzo Ferraro – già Dirigente Scolastico, Letterato, Umanista, Politologo

Giorgio Marchese – Direttore “La Strad@”

Un ringraziamento ad Amedeo Occhiuto per l’affettuosa collaborazione

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *