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Mente e dintorni è una rubrica (nata da una fortunata serie televisiva) che ci porta a curiosare nei meandri della nostra personalità, per scoprirne i segreti e capire i motivi per cui compaiono i disturbi e, ovviamente, prendere rimedio.

Perché, conoscersi e comprendersi, aiuta senz’altro a vivere meglio.

In questa quarantasettesima puntata, ci occuperemo di “Alleanza terapeutica”

Non capita tutti i giorni di vedere avvicinarsi Dio che porta, con sé, una valigia…

Ma quando accade, dopo un attimo di smarrimento, tu capisci che, probabilmente è giunta la tua ora.

-Figliuolo è ora di andare.
– Così presto? Avevo tanti piani…
– Mi dispiace, ma così è stato stabilito

-Cosa porti nella valigia?
– Ciò che ti appartiene.
– Quello che mi appartiene? I miei vestiti, i miei soldi?
– Quelle cose non ti sono mai appartenute: erano del mondo.
– Porti i miei ricordi?
– Quelli non ti sono mai appartenuti: erano del tempo.
– Porti i miei successi?
– Quelli erano il frutto di circostanze.
– Porti i miei amici?
– Mi dispiace, loro non ti sono mai appartenuti: erano del cammino.
– Porti mia moglie, i miei figli?
– Loro non ti sono mai appartenuti: erano del tuo cuore.
– Porti il mio corpo?
– Mai ti è appartenuto: il corpo era della polvere.
– Allora porti la mia anima?
– No, l’anima è mia.
– Ma, allora, quella valigia è vuota! Ma come: non ho mai avuto niente?
– Ogni momento che hai vissuto. Quello è stato, veramente, tuo. Ma solo per un momento.

La lettura di questa “parabola”, ci porta a riflettere sul fatto che, la vita, è fatta di momenti. Come se fossero fotogrammi di una pellicola cinematografica

In pratica, non esiste un “tempo orizzontale”: si invecchia, ci si incontra, ci si lascia e crediamo che, il prima, diventi il poi. E, per la stessa ragione, si ricorda, si rimpiange, si protesta, si spera. Perchè crediamo che ci sia stato un prima e ci sarà un dopo.

Per la paura che ci dà l’indefinito

E, fra un fotogramma e l’altro, c’è un anello che si chiama Attesa.  Non riuscendo a sopportare l’angoscia di separazione, questo anello, lo chiamiamo speranza.

Esiste un termine, nella lingua italiana che, forse, più di ogni altro definisce il momento di un incontro che aiuti a sentirsi capiti, per riuscire a ripartire verso obiettivi condivisi: si chiama “Alleanza”

Ed è per questo che, all’interno di un percorso analitico, così come in ogni incontro significativo, è importante che si crei questa alleanza “terapeutica”, che aiuta a crescere.

Tecnicamente, possiamo parlare di dimensione interattiva, tra analizzato e terapeuta, caratterizzata dallo sviluppo di un legame basato su fiducia, rispetto e mutua collaborazione nel perseguire gli obiettivi terapeutici comuni

Il risultato, dipende dall’analizzato, dall’analista e dal setting (cioè, dal contesto che si crea in quello spazio definito “terzo analitico intersoggettivo”, che non consente di distinguere i contributi separati di paziente e terapeuta, all’interno della relazione che cura).

Abbiamo intuito, nelle puntate dedicate al transfert e al controtransfert, quanto sia delicato e difficile il rapporto fra analizzato e analista. Sigmund Freud ha avuto modo di studiare diversi motivi di possibile fallimento terapeutico  per mancata “alleanza”

Osserviamone alcuni

  • Offesa: quando l’analizzato subisce una piccola ingiustizia, una disattenzione, un disinteresse da parte dell’analista, la sua capacità di collaborare, inconsciamente si ottunde;
  • Dipendenza: il timore di perdere la propria autonomia e rimanere legato psicologicamente al terapeuta, può portare l’analizzato alla ribellione inconscia,  negando la collaborazione;
  • Falso nesso: l’analizzato attribuisce al terapeuta rappresentazioni spiacevoli, perché la sua “figura” gli ricorda qualcuno o qualcosa appartenente ad ambiti angoscianti e conflittuali.

POSSIBILI ALTRI FATTORI OSTACOLANTI

  • Autoreferenzialità del terapeuta (l’impressione che, egli, non si consideri l’elemento di un sistema come, ad esempio, il “terzo analitico intersoggettivo” ma che si “viva” come “il” sistema di riferimento);
  • Tendenza a distrarsi quando l’analizzato parla;
  • Scarso coinvolgimento emotivo nello scambio;
  • Sfiducia nelle proprie capacità di aiutare l’analizzato;
  • Tendenza a criticare e a colpevolizzare l’analizzato
  • Uso inappropriato dell’autosvelamento (rivelare, in modo cosciente e intenzionale, una propria esperienza personale) e del silenzio.

POSSIBILI ELEMENTI FAVORENTI

  • il desiderio di comprendere l’analizzato attraverso la sintonizzazione empatica con le sue emozioni, i suoi bisogni e i suoi vissuti;
  • La costruzione condivisa degli obiettivi della terapia;
  • l’utilizzo del “noi” e il richiamo all’impegno comune;
  • La capacità di porsi come oggetto costante e definitivo (andando a “sanare” le sofferenze dei modelli e degli stili di attaccamento.

IN CONCLUSIONE…

L’alleanza terapeutica è il frutto dell’interazione tra le capacità empatiche e quelle riflessive dell’analista e il desiderio dell’analizzato di comprendere e di essere compreso, di essere aiutato e di sviluppare la propria personalità.

Abbiamo iniziato il percorso, quest’oggi, soffermandoci sulla necessità di capire l’importanza della vita racchiusa in singoli, fondamentali, istanti.

Non c’è modo migliore di concluderla con la riflessione che la psicoanalista Margaret Mahler, confidò ai più intimi, pochi giorni prima di lasciare questo Mondo.

Amo guardare le stelle. So che sono infinite. Mi identifico con loro perché, in fondo, anche io sono un piccolo punto, del tutto privo di importanza, nel cielo.

Con la speranza e l’obiettivo di essere stato utile per conoscere sempre meglio chi incontriamo (soprattutto quando ci guardiamo allo specchio), vi do appuntamento alla prossima puntata, nella quale affronteremo la tematica de “I fantasmi originari”

Questo video riassume, semplificandoli, i contenuti finora espressi, offerti con una delicata base musicale. Buona “degustazione”

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