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Mente e dintorni è una rubrica (nata da una fortunata serie televisiva) che ci porta a curiosare nei meandri della nostra personalità, per scoprirne i segreti e capire i motivi per cui compaiono i disturbi e, ovviamente, prendere rimedio.

Perché, conoscersi e comprendersi, aiuta senz’altro a vivere meglio.

In questa quarantaseiesima puntata, ci occuperemo di “Enactment: nelle “stanze” mentali dell’Analista”

“Ma le scarpe?” dico io per ricondurlo al tema.

“Le scarpe!” sospira il cavaliere. “Oggi nessuno sa che cosa significhi questa parola. Una volta invece era un biglietto da visita, un traguardo sociale! Quando arrivava un cliente al laboratorio di papà in via Alabardieri, veniva ricevuto come se fosse stato il Principe di Savoia: gli offrivano il caffè e lo intrattenevano a parlare. Nel frattempo il piede aveva tutto il tempo per rasserenarsi e diventare normale. Poi iniziavano le misure. Se il piede era perfetto, il cliente riceveva i complimenti anche dai ragazzi dal laboratorio. Intanto si preparava il gesso per il calco, che era solo il primo approccio, uno dei tanti gradini necessari al raggiungimento dell’obiettivo finale: la scarpa perfetta.

La vera ragione sociale della ditta Carotenuto non era vendere scarpe o, perlomeno, non era solo questo quanto, piuttosto, raggiungere la perfezione assoluta a cui può arrivare una scarpa costruita da un uomo: la scarpità, questa è la parola!” (Luciano de Crescenzo – “Alfonso Carotenuto”, Storia della Filosofia Greca)

Questo racconto di Luciano de Crescenzo, pubblicato nella sua opera “Storia della Filosofia Greca”, ci aiuta a “sentire”, a “capire”, quasi ad “assaporare” la passione che ci spinge ad applicarci in ciò che amiamo di più.

E, in queste tre puntate dedicate al controtransfert, ci è apparsa chiara quanta disponibilità e dedizione sia necessaria per porsi come elemento solido e “tranquillizzante” in una relazione di aiuto, che sia in grado di porre le basi per una cura efficace.

Un cambiamento significativo nella comprensione del controtransfert si è avuto con il passaggio dalla psicologia unipersonale a quella bipersonale, che ha determinato una radicale riconsiderazione del ruolo dell’analista, il quale non può più essere considerato come un partecipante neutrale ma diviene un coautore, insieme al proprio analizzato, delle dinamiche presenti all’interno della relazione terapeutica.

L’incontro di due personalità è simile alla mescolanza di due diverse sostanze chimiche: un legame può trasformare entrambe (C.G. Jung)”

Questo “incontro” determina la creazione di uno spazio terzo definito “terzo analitico intersoggettivo”, che non consente di distinguere i contributi separati di paziente e terapeuta, all’interno della relazione che cura.

Per il risultato di un trattamento psichico, la personalità del terapeuta è, spesso, infinitamente più importante di ciò che dice o pensa anche se, tutto questo, può rappresentare un fattore non disprezzabile di perturbamento o di guarigione (C.G. Jung)

La partecipazione inconscia dell’analista alla co-creazione della “scena” (o setting) analitica ha posto una maggiore attenzione al flusso continuo di microazioni che accompagna lo scambio verbale tra paziente e analista, nel corso del trattamento.

Uno dei termini più utilizzati per cercare di descrivere la reciproca influenza tra paziente e terapeuta è quello dell’enactment, cioè il mettere in scena (da parte del paziente) durante la seduta, quello che è un suo tipico schema relazionale patologico, utilizzando l’analista come “attore” nell’interazione stessa.

Come abbiamo capito nel corso di queste tre puntate dedicate al controtransfert, l’analista è un personaggio che, con la propria personalità, ritrasmette contenuti filtrati, purificati e migliorati, necessari al processo di maturazione.

Nel corso del tempo, diversi autori hanno descritto molteplici aspetti e tipologie di risposte, nel controtransfert.

In base al carattere dell’analista, della personalità dell’analizzato, dell’opportunità del momento, dei limiti di un determinato processo di cura, possiamo riconoscere:

  • risposte controtransferali di evitamento (in tutte quelle situazioni in cui il terapeuta evita inconsapevolmente l’approfondimento di alcune tematiche che emergono)
  • risposte controtransferali caratterizzate da una distorsione della percezione dell’analista (quando, il terapeuta, non “vede” o “distorce” la realtà di alcuni contenuti)
  • risposte controtransferali, come manifestazioni “acute” (disagio dell’analista, in circostanze specifiche e con analizzati aventi determinate caratteristiche di personalità)
  • risposte controtransferali, come manifestazioni “croniche” (problema caratteriale dell’analista, che tende a ripetersi nel tempo)

Le esperienze controtransferali possono distinguersi anche in:

  • pensieri di Controtransfert (emozioni, ricordi, collegamenti, che compaiono nella mente dell’analista e hanno carattere transitorio, a volte utili per comprendere in maniera più approfondita)
  • posizioni di Controtransfert (l’insieme di risposte emotive che un terapeuta può provare nel corso del trattamento e che si caratterizzano per essere persistenti e durature, come possibile risposta a conflitti irrisolti del terapeuta)

Volendo considerare proprio gli aspetti caratteriali del terapeuta, potremo osservare, sostanzialmente, tre possibili risposte controtransferali:

  • Il controtransfert oggettivo-razionale (che riflette una posizione distaccata)
  • Il controtransfert reattivo (che riflette una sorta di disagio difensivo rispetto all’ansia suscitata da conflitti non risolti)
  • Il controtransfert riflessivo (che riflette un atteggiamento consapevole, partecipativo)

In conclusione di questo lavoro, possiamo utilizzare una specie di “Cartina di Tornasole” per capire, dal tipo di controtransfert (e questo vale per chiunque si trovi ad ascoltare o ad osservare il proprio interlocutore) chi, con molta probabilità, ci troviamo di fronte.

Infatti, se proviamo una reazione emotiva poco intensa, con molta probabilità, ci troveremo di fronte a un soggetto “accettabilmente” nevrotico.

Nel caso in cui, invece, avvertiremo uno stato d’animo intenso, caotico e fluttuante, quasi certamente la persona con cui ci stiamo interfacciando, apparterrà all’organizzazione borderline di personalità.

Ove mai dovessimo avvertire una risposta emotiva, tutto sommato positiva, intensa e di tipo materno-salvifico, allora ci troveremo di fonte a un quadro di personalità psicotica che susciterà, appunto, la spinta a proteggere quella specie di bambino mai emotivamente cresciuto.

Papà, quando un cliente usciva dal laboratorio, lo seguiva con lo sguardo fino a che non scompariva da via Alabardieri, solo per studiare l’andatura e immaginare la sua opera migliore. E, credetemi, quando vi facevate una passeggiata con le nostre scarpe, anche dal marciapiede di fronte, la gente se ne accorgeva. Tutti dicevano: “Quelle debbono essere delle Carotenuto!”

Ma veniamo alla domanda che mi avete fatto prima: è così importante avere delle belle scarpe? Sì, vi assicuro che è molto importante. Quando la sera andate a dormire, se prima di prendere sonno date uno sguardo alle calzature che vi siete appena sfilate, voi vi accorgerete che un bel paio di scarpe perfette, classiche, snelle, inalterabili, pulite, comunica un senso di sicurezza. Fedeli testimoni della vostra giornata, esse vi hanno tenuto compagnia. (Luciano de Crescenzo – “Alfonso Carotenuto”, Storia della Filosofia Greca)

Con la speranza e l’obiettivo di essere stato utile per conoscere sempre meglio chi incontriamo (soprattutto quando ci guardiamo allo specchio), vi do appuntamento alla prossima puntata, nella quale affronteremo la delicata tematica “dell’alleanza terapeutica”

Questo video riassume, semplificandoli, i contenuti finora espressi, offerti con una delicata base musicale. Buona “degustazione”

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