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Ma guarda un po’, sono qui con l’uomo più potente d’Italia, Silvio Berlusconi, il più acclamato, una cena che tutti m’invidieranno e mi viene una gran tristezza. Quest’uomo mi sembra così solo!  (Mike Bongiorno – Corriere della Sera, 9 settembre 2009)

Cari Lettori, qualcuno ha detto che la solitudine è come ascoltare il vento e non poterlo raccontare a nessuno…

Nella riflessione appena riportata, si concentra la motivazione del rapporto con l’assenza degli altri

Sono molti, infatti, quelli che dedicano la propria esistenza a realizzare una loro concezione di come dovrebbero essere (secondo le aspettative degli altri), invece di cercare la propria radice interiore e farne una bellissima pianta.

Se immaginassimo l’umanità come un bosco, potremmo concludere che, ogni germoglio che tenta la scalata per portare le sue chiome ad avere un posto al sole, è indiscutibilmente condizionato dagli alberi che ha intorno.

Quindi, ad esempio, se un bambino è stato cresciuto in una famiglia con forti ambizioni, porterà in sé una specie di “doppio binario” emotivo:

  • da una parte, qualcuno lo ha indotto a credersi “speciale”;
  • contemporaneamente, (sempre questo qualcuno) ha ridicolizzato o biasimato le sue paure e i fallimenti.

In questo tipo di famiglia, i sentimenti autentici (ritenuti “sconvenienti”) sono stati ignorati, censurati o repressi e si è prodotto un senso di inadeguatezza e vergogna ogni volta che ha percepito l’impossibilità di sentirsi all’altezza delle aspettative genitoriali. Parimenti, ha vissuto momenti di esaltazione “onnipotente”, per le lodi ricevute per ogni performance realizzata.

Il risultato, è stato quello di aver “prodotto” un individuo affamato di riconoscimenti esterni e di lodi che, da adulto, ha imparato a vedere (come proiezione di sé) gli altri senza mezze misure:

  • come “perfetti”;
  • o, all’opposto, come “senza valore” (in caso di minima défaillance).

Ma esiste una evenienza ancora peggiore, che si riscontra nel momento in cui, la famiglia, anziché spingere alla crescita individuale, scoraggia le legittime aspirazioni del figlio, soprattutto se, queste, sono contrarie alla volontà dei genitori, che lo accusano di ingratitudine e di egoismo.

Tutto ciò, sarà fonte di un risentimento da cui scaturirà un adulto con elevate aspettative su ciò che la vita dovrebbe concedergli come risarcimento.

Sembra chiaro, quindi, che lo sviluppo ottimale del narcisismo del bambino, dipende dalla maturità dei genitori e di come, gli stessi, vivono la propria autostima e il proprio equilibrio interiore.

Amici miei, ricordatevi questo; non vi sono né cattive erbe, né uomini cattivi; vi sono, semmai, dei cattivi coltivatori. (Victor Hugo – I Miserabili)

Da questo assunto, non è strano osservare uno scenario nel quale si passa da una condizione fisiologica di narcisismo (indispensabile per una corretta autostima) fino alla convinzione di essere molto meglio del resto del mondo che, quindi, viene percepito come qualcosa di “inferiore” popolato da “marionette evanescenti”, vissute (idealizzandole, temendole o svalutandole) come riflesso di un mondo vissuto come ostile e un sé vuoto, affamato, infuriato, timoroso.

A quel punto, ci troveremo di fronte a tre opzioni di Narcisismo, niente affatto rassicuranti:

Narcisismo Overt (quando si impone il proprio ego smisurato), Narcisismo Covert (quando si soffre moltissimo per la scarsa considerazione altrui che, in realtà, si pretenderebbe a dismisura), Narcisismo Maligno (quando si gode nello svilire l’altro).

Queste persone diventano estremamente esigenti e giudicanti con sé stesse e con gli altri, ma sono insofferenti alle critiche (che vivono come un giudizio sulla propria personalità), tendono a concepire le relazioni umane essenzialmente come basate sul potere e sul controllo (in una relazione, in una discussione, si “vince” o si “perde”) e sviluppano tecniche di comunicazione seduttive e manipolatori

Per tornare a uno dei concetti di partenza, la differenza tra realizzazione di sé e realizzazione della propria immagine di sé crea sceneggiature molto differenti.

La maggior parte delle persone vive soltanto per la propria immagine.

Dove alcuni hanno un sé “strutturato”, la maggior parte ha un vuoto profondo dato dalla ricerca di “proiettarsi” su effimeri modelli esteriori.

Siamo sempre, tragicamente soli, come spuma delle onde che si illude di essere sposa del mare e invece non ne è che concubina. (CHARLES PIERRE BAUDELAIRE)

Una sorta di maledizione dell’ideale: il non dover essere quello che si è.

Cari Lettori, non è affatto strano, quindi, che in ognuno di noi possa albergare una componente narcisistica.

Bisogna capire il danno che ne deriva.

Quando narcisista negativo è, ad esempio, un politico che ha molti consensi di voti o un presidente di qualsiasi associazione che appare come un “riferimento” importante, lìeffetto negativo è incalcolabile perché, il “capo” (o “la capa”, nel rispetto dell’identità di genere), nel suo delirio di onnipotenza si comporta in modo da perturbare la serenità e l’equilibrio di molti, senza peraltro raggiungere i risultati che (magari in buona fede) si è prefisso.

Massimo Recalcati, nel suo ultimo volume “A pugni chiusi” (Feltrinelli ed.) analizza limiti e virtù della Società civile e della classe politica.

Siamo sommersi dal godimento e, quindi, privi di desiderio. Vogliamo godere perché non abbiamo più valori di riferimento validi e, chi dovrebbe dare l’esempio, narcisisticamente si comporta in modo sgraziato e volgare.

E, a questo punto, diamo un senso all’immagine che abbiamo scelto per la copertina della settimana.

La scomparsa di Silvio Berlusconi segna il “Nadir” (opposto dello Zenit) di un’esistenza “larger than life” (oltre ogni limite, in tutti i sensi).

Costruttore  (o, per alcuni, “palazzinaro”), imprenditore nel mondo della comunicazione, presidente di squadre di calcio, politico… dicono che si sia sempre sentito escluso dai grandi processi sociali e politici nazionali.

Cresciuto nel triangolo geografico compreso fra Varese, Saronno e Milano è rimasto attinto da una filosofia di pensiero magistralmente esposta dal giornalista Giorgio Bocca:

Fare soldi, per fare soldi, per fare soldi: se esistono altre prospettive, chiedo scusa, non le ho viste. Abitanti cinquantasettemila, di operai venticinquemila, di milionari a battaglioni affiancati, di librerie neanche una

Da quel particolare punto di osservazione, il suo “Feudo” (pardon, la base del suo “Regno”), Berlusconi ha presagito non solo la fine della “prima repubblica” ma, anche, la fragilità della Milano da bere negli anni del Craxismo rampante.

A Milano costruimmo una giostra di cristallo/ ma la pioggia di monete l’ha distrutta sul più bello (I mercanti di liquore – Lombardia)

Passato dal Mattone alle Televisioni, quindi al Calcio e, infine, alla Politica, ha sempre guidato ogni manovra al motto del ghé pense mi”, fino a convincere (o a costringere) il parlamento italiano che Ruby Rubacuori fosse la nipote di Mubarak.

I miei alleati, erano fascisti, li ho portati al governo, li ho fatti ministri, erano democristiani, si flagellavano, si battevano il petto in mezzo a una strada, li ho rassicurati, quelli della Lega Nord, tutta Europa mi diceva stai attento, sono razzisti, li ho fatti ragionare, ho portato al governo anche loro […] tutti al governo li ho portati, tutti (Dal film “Il Caimano”, di Nanni Moretti)

Se vogliamo analizzare i fatti, in maniera (tristemente) razionale, possiamo affermare che, come per ogni sistema imposto con la forza (fosse anche solo quella della demagogia) l’epilogo non può che essere tragico.

Il “berlusconismo reale”, infatti, si sgretola nel 2011, con lo spread a 500 punti base, l’Europa pronta a commissariarci, l’Italia sull’orlo del default e la fine dei sogni di gloria (di molti di noi Italiani) con la fase depressiva (per ciò che restava, del “sistema Italia”) di Monti e del “Governo dei Migliori” (lacrime della Fornero, comprese).

Una pagina drammaticamente descritta in “Suburra”, film del 2015 diretto da Stefano Sollima e tratto dall’omonimo romanzo di Carlo Bonini e Giancarlo De Cataldo.

Berlusconi, un po’ come Craxi,  finisce tra due ali di folla urlanti sotto al Quirinale, quasi a confermare la profezia di Enzo Biagi:

Non si entra a Palazzo Chigi come si entra in azienda

Ma, riprendendo il tema di una vecchia canzone di Lucio Dalla, “Nuvolari rinasce come rinasce il ramarro” e, il “Berlusca”, quindi, dribblando una infinità di procedimenti giudiziari, si fa precedere da quella che, alla fine, si è rivelata essere solo una speranza disattesa (per chi ha creduto, in lui, fino in fondo, forse per identificazione proiettiva o, forse, perché necessitava di un  “Deus ex machina” capace di risolvere l’impossibile) o una tattica demagogica divisiva e distruttiva (per i disillusi o per chi non lo ha mai potuto sopportare): Ora ritorno e sistemo tutto” (traduzione italiana del refrain ghé pense mi”)

Nella creazione del primo Governo Letta, Berlusconi era convinto di aver fatto un’operazione di strategia con cui sente di essere diventato un De Gasperi e, in realtà gli hanno teso uno sgambetto che lui neanche immaginava. Infatti, lui era convinto di aver predisposto 18 ministeri con, dentro, 5 dei suoi uomini. All’improvviso si accorge che, altri, avevano predisposto ben 22 Ministeri riducendo, quindi, il suo peso nel Governo. (Luigi Bisignani)

Il senso di solitudine e la dipendenza (affettiva) del narcisista

La Psicologia ci spiega che il bisogno di attenzione e ammirazione del narcisista è dominante e porta a “scegliere” (simbolicamente o realmente) più di una “vittima” da irretire, in modo da assicurarsi rifornimenti continui per un’autostima fragile e dipendente dalle conferme esterne.

Che sia più di un partner o l’accumulo di soldi e potere, il bisogno è sempre lo stesso: avere l’acclamazione del mondo esterno.

Se qualcuno di questi “approvvigionamenti” viene a mancare (il narcisista sperimenta un grande senso di vuoto che, in un modo o nell’altro, “deve” essere colmato (o “narcotizzato”) attraverso qualsiasi attività compulsiva.  

Umberto Galimberti ha scritto che l’egocentrico/narcisista ritiene che il suo problema (il suo lavoro, il suo libro, il suo progetto, le sue idee, la sua situazione sentimentale) sia, in assoluto il più importante: anzi, l’unico veramente importante. “Sotto sotto pensa che pure gli altri, pure i suoi concorrenti, pure Dio dovrebbero preoccuparsi soprattutto di ciò che sta a cuore a lui, del suo bisogno e del suo desiderio. Perché, la sua pena, è umanamente più profonda e la sua sensibilità più dolorosamente vulnerabile di quelle degli altri”.

Mi spiace, non voglio parlare di me in terza persona ma molto spesso mi viene comodo. Questo però non significa nessuna aumentata considerazione di me stesso, anche perché più alta di così non potrebbe essere. (Silvio Berlusconi)

Nonostante i suoi tentativi di apparire invulnerabile e grandioso, il narcisista ha una grande dipendenza affettiva (dalle partner o da chiunque mostri ammirazione o adulazione) proprio perchè non tollera quella solitudine che rappresenta la massima paura, dal momento che vengono a mancare le conferme di cui ha tanto bisogno per sopravvivere al “vuoto”.

All’interno di qualsiasi relazione (di lavoro, sentimentale, etc.) paradossalmente tenderà a dominare, manipolare, incolpare, sedurre, minacciare l’abbandono in modo da garantirsi una posizione di potere e mantenere l’altro in un ruolo di dipendenza e sottomissione.

Sei sopravvissuto grazie a Craxi e ti sei attorniato di persone che sono andate in galera al posto tuo”. (Veronica Lario /Elena Sofia Ricci – “Loro 2”)

Il regista Paolo Sorrentino, in “Loro 2”, pennella il ritratto di un Silvio Berlusconi privato, un uomo solo e malinconico, (immaginato) cosciente di essere patetico nel voler piacere a ragazze di 50 anni più giovani ma ugualmente convinto di sé e delle sue grandi doti di imbonitore.

Il pubblico italiano non è fatto solo di intellettuali, la maggioranza è un ragazzo di seconda media che nemmeno siede al primo banco. È a loro che devo parlare. (Silvio Berlusconi)

Cari Lettori, abbiamo ancora nella mente molti dei fotogrammi di “Quarto Potere di (e con) Orson Welles, che narra la vita del magnate della stampa Charles Foster Kane, incapace di amare se non “solo alle sue condizioni”, con la conseguenza di creare il vuoto attorno a sé e rimanere, solo, all’interno della sua gigantesca residenza dove muore, abbandonato da tutti.

Spero che questa mia esistenza terrena possa terminare mentre io sono teso a raggiungere un altro traguardo oltre la siepe (Silvio Berlusconi)

Al contrario del magnate interpretato da Orson Welles, il “nostro” Berlusconi termina la sua avventura terrena, probabilmente come aveva sempre desiderato: con le Istituzioni a rendere onore, i funerali di stato e antichi avversari a ricordarlo nella sua figura di Statista.

Perché?

Al di là di ogni considerazione politico filosofica, osservando la triste foto di un Berlusconi senza trucco, abbiamo ripescato dalla nostra memoria un’altra immagine altrettanto triste ed emblematica: quella del “vecchio” Capitan Uncino nel momento culminante del duello con Peter Pan, nel film “Hook, Capitan Uncino”

Andiamo papà, non può farci più niente

Si, ben detto, benedetto figliuolo. Corretto Jacke. Dopotutto, cosa sarebbe il mondo, senza Capitan Uncino?

Capitan Uncino e Berlusconi: la simbologia “nascosta”

Uncino/Berlusconi, è un pirata (quindi, un abile marinaio) in grado di affrontare la pericolosità del mare che, simbolicamente, rappresenta una via di mezzo fra conscio e inconscio, con le sue onde a rappresentare emozioni.

Proprio perché di tutto il romanzo, è il personaggio che, più di ogni altro, è a contatto col Reale e col Tempo (del cui correre, ha grande paura) deve confrontarsi con i fantasmi persecutori dei quali, un po’ tutti, siamo vittime.

Ecco, quindi, il “coccodrillo” che con il ticchettio della sveglia, gli ricorda che tutto scorre e nulla sarà più come prima.

Uncino, insomma, è il più “reale” dei personaggi e, con la paura di essere divorato dal coccodrillo, mostra l’angoscia di tuffarsi nelle profondità dell’inconscio.

La sua morte (con la “scomparsa” nella pancia del  coccodrillo, che rappresenta l’inconscio), libera i bambini de l’isola che non c’è, dal sortilegio del “non luogo” senza tempo. Come ci insegna la psicoanalisi, qualcosa deve morire, perché qualcos’altro possa rinascere.

La fiaba termina con l’adozione dei bambini perduti da parte dei genitori di Wendy. Questo “passaggio” descrive, di fatto, l’integrazione degli esclusi ai quali viene dato, finalmente, un posto e un riconoscimento.

Simbolicamente, questi bambini rappresentano strascichi di un lutto originario che, grazie al sacrificio di Uncino, viene finalmente superato.

Cari Lettori, è possibile che Silvio Berlusconi abbia rappresentato nell’immaginario collettivo, una sorta di passaggio attraverso lo stretto canale di un simbolico parto: sofferenza e travaglio per consentirci di assurgere, quindi, a nuova vita.

Non vi sembri strano, quindi, se abbiamo scelto, per accomiatarci, una colonna sonora che descriva quello che la paura narcisistica di Uncino /Berlusconi ha, con molta probabilità, sempre nascosto

Il Mostro

L’unica cosa evidente è che il mostro ha paura
Il mostro ha paura

Ecco spuntare da un mondo lontano
L’ultimo mostro peloso e gigante
L’unico esempio rimasto di mostro a sei zampe
Quanto mi piace vederlo passare
Cosa farei per poterlo toccare, io cosa farei

Dicono che sia capace di uccidere un uomo
Non per difendersi, solo perché non è buono
Dicono loro che sono scienziati affermati
Classe di uomini scelti e di gente sicura
Ma l’unica cosa evidente, l’unica cosa evidente
È che il mostro ha paura, il mostro ha paura

È alla ricerca di un posto lontano dal male
Certo una grotta in un bosco sarebbe ideale
Ma l’unico posto tranquillo è quel vecchio cortile
L’unico spazio che c’è per un grande animale
Dicono: Siamo in diretta, lo scoop è servito
Questa è la tana del mostro, l’abbiamo seguito
Dicono loro che sono cronisti d’assalto
Classe di uomini scelti e di gente sicura
Ma l’unica cosa evidente, l’unica cosa evidente
È che il mostro ha paura, il mostro ha paura

Basta passare la voce che il mostro è cattivo
Poi aspettare un minuto e un esercito arriva
Bombe e fucili, ci siamo, l’attacco è totale
Gruppi speciali circondano il vecchio cortile
Dicono che sono pronti a sparare sul mostro
Lo prenderemo, sia vivo che morto sul posto
Dicono loro che sono soldati d’azione
Classe di uomini scelti e di gente sicura
Ma l’unica cosa evidente, l’unica cosa evidente
È che il mostro ha paura, il mostro ha paura

Vorrebbe farsi un letargo e prova a chiudere gli occhi
Ma lui sa che il letargo viene solo d’inverno
Riapre gli occhi sul mondo, questo mondo di mostri
Che hanno solo due zampe ma sono molto più mostri
Gli resta solo una cosa, chiamare il suo mondo lontano
Lo fa con tutto il suo fiato, ma sempre più piano
Vorrei poterlo salvare, portarlo via con un treno
Lasciarlo dopo la pioggia, là sotto l’arcobaleno

Cantate e danzate insieme e siate felici, ma fate in modo che ognuno di voi sia anche solo, come sono sole le corde di un liuto, sebbene vibrino alla stessa musica. (KHALIL GIBRAN)

Enzo Ferraro – già Dirigente Scolastico, Letterato, Umanista, Politologo

Giorgio Marchese – Direttore “La Strad@”

Un ringraziamento affettuoso ad Amedeo Occhiuto per la preziosa collaborazione

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