Ma che colpa abbiamo, io e voi, se le parole, per sé, sono vuote? Vuote, caro mio. E voi le riempite del senso vostro, nel dirmele; e io nell’accoglierle, inevitabilmente, le riempio del senso mio. Abbiamo creduto d’intenderci; non ci siamo intesi affatto (Luigi Pirandello).
Pasqua.
Etimologicamente significa “passaggio” e fa parte della vita di tanti che, in questo periodo di festività, provano a schivare gli orrori “di dentro” e di “fuori”, celebrando l’esaltazione della bontà all’insegna dell’umiltà, nel nome di un Cristo in cui pochi si riconoscono e troppi si identificano senza, però, professarne i principali insegnamenti: carità, umiltà…
Pasqua.
Convenzionalmente, vuol dire rinascita. Per il Cristo, ha significato resurrezione, per l’Uomo comune e mortale potrebbe e dovrebbe significare emendamento.
Ma perché usiamo questo termine?
Gli uomini, in larga parte, si comportano da malvagi e, nonostante le esortazioni, riescono ad essere buoni solo con il controllo della legge.
In pratica, il comportarsi bene raramente è frutto di una motivazione interiore. Spesso è la paura della “punizione” che ci costringe ad essere buoni.
Constatazione amara, ma è così.
Cari Lettori, non dobbiamo dimenticare che lo stesso Dio, dopo aver creato l’uomo e la donna, passati millenni e millenni, si rese conto che i frutti sperati erano sostanzialmente inesistenti e decise di azzerare grandissima parte del genere umano.
Leggiamo nel Vangelo secondo Luca (17, 26-37)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli :Come avvenne ai tempi di Noè, così sarà nei giorni del Figlio dell’uomo. mangiavano, bevevano, si ammogliavano e si maritavano, fino al giorno in cui Noè entro nell’arca e venne il diluvio e li fece perire tutti.
E si continua con Sodoma e Gomorra e altre negatività di ogni genere.
Dio, creatore dell’universo, non “riesce” a far cogliere, a noi umani, certi principi essenziali del vivere e dell’agire.
Suo malgrado è “costretto” a rinnegare le sue scelte quindi, in parte se stesso e a provare a ripartire quasi daccapo.
Come accadeva nelle famiglie di una volta, nelle quali il Padre rivestiva il ruolo (e l’ingrato compito) di “Punitore ufficiale” per le manchevolezze dei figli, dopo ogni castigo, gli umani sembrano aver capito la lezione e si trattengono dal male.
Ma poi il tempo passa e, pian piano, torna tutto come prima. Se non peggio.
Questo è vero anche per i nostri tempi.
Siedo sulla schiena di un uomo, soffocandolo, costringendolo a portarmi. E, intanto, cerco di convincere, me e gli altri, che sono pieno di compassione per lui e manifesto il desidero di migliorare la sua sortecon ogni mezzo possibile. Tranne che scendere dalla sua schiena (Lev Tostoj)
Eppure, volendo accettare la presenza (e l’azione) di un Essere Supremo, non possiamo fare a meno di perderci nella grandiosità dell’Infinito che parte da noi e ritorna, a noi, per dolerci del fatto che, pur possedendo ciò che serve per vivere bene, finiamo per dannare quello con cui interagiamo.
Un po’ come se, Dio, si fermasse ad osservarci. Ad una distanza, però, sempre una spanna più in là, della nostra capacita di raggiungerlo. O come se ci invitasse ad andare per la nostra strada, nascondendo, di fatto, l’ultimo tratto del percorso…
Cari Lettori, “Aggiungi un posto a tavola”, commedia musicale di Garinei e Giovannini ci invita a riflettere, in modo arioso e accattivante. Anche se, tratti, commovente.
Don Silvestro riceve l’ordine da Dio di costruire una nuova “Arca” perché, il Mondo, vivrà altri quaranta giorni di diluvio universale, per essere emendato dai “malvagi”
Osserveremo, a quel punto, una umanità divisa (per discriminazioni e “piccolezze”) che si ritrova, però, unita quando capisce che:
Una formica è solo una formica (uno zero, una nullità); due formiche sono due formiche, (un’idea di solidarietà); due formiche più altre due formiche sono il principio d’una Società.
A quel punto, Dio, sospende l’idea del diluvio e la gente sulla terra festeggia con un banchetto cui è stato aggiunto un posto per un amico in più.
Questo Amico, è proprio Dio, troppo preso dai suoi impegni, la cui presenza è auspicata per rilanciare una Società non di egoisti e malvagi ma di buoni e amorevoli.
E allora?
In questo tempo, che è nel tempo che verrà, io seguo solo il mio destino ed è lui che guida me… se altra strada da percorrere non c’è, che colpa ne ho? (Gianni Togni)
Forse perché ci sentiamo in colpa, in questo periodo, sembriamo più disponibili a immaginare regali, dolci e paganità di vario genere. Mettiamo in atto uno scambio di reciproche (attualmente, virtuali) attenzioni… addirittura in eccesso. Veniamo coinvolti in riti e propiziazioni augurali che culminano in “febbre di santità”.
La mattina è quella che mi piace di più, sembra che tutto ricominci da capo (Haruki Murakami).
Ma siccome, il Tempo (che è una nostra convenzione) non “ha” Tempo, forse si dovrebbe chiudere gli occhi quel tanto che basta per riconnettersi col nostro “Io” profondo dove sentire che le paure degli altri sono le stesse che ci attanagliano e capire che, se avremo mai un avvenire, questo dipende da noi. In fondo, tutto quello che ci serve è un orizzonte aperto allo sguardo, una “Domenica” per ripartire e un pane da spartire e da offrire in cambio del perdono che “ci” dobbiamo.
Perchè, la Verità e che, “non c’è pietà, per chi non prega, e si convincerà, che non è solo una macchia scura, il cielo!”
Cari Lettori, ci torna in mente una immagine di cui abbiamo parlato anche altre volte: “Aurora”, creata nel 1948 da Salvador Dalì.
L’autore ha voluto simboleggiare, nel suo senso macrocosmico, l’utero (o la matrice) da cui tutti proveniamo mentre, sul piano microcosmico, ha inteso simboleggiare una valenza mistico–alchemica come recipiente in cui si svolge la cova dell’Opera, ossia dove la materia viene trasmutata.
Amico mio accanto a te non ho nulla di cui scusarmi, nulla da cui difendermi, nulla da dimostrare: trovo la pace… Al di là delle mie parole maldestre tu riesci a vedere in me semplicemente l’uomo. (Antoine de Saint-Exupéry)
Una leggenda Indiana narra che nella notte dei tempi (in cui tutte le cose erano immerse nelle tenebre) “Colui che sussiste per se stesso” creò (dalla propria sostanza) dapprima le acque deponendovi un uovo splendente come il sole. Dentro l’uovo galleggiante nacque Brahama che vi rimase nascosto per un anno intero; poi il dio divise l’uovo in due parti formando il cielo e la terra, e lasciando nel mezzo le acque.
Secondo la Mitologia Greca, invece, in principio esisteva la Notte, che nelle sembianze di un grande uccello fecondato dal Vento depose un uovo d’argento nel grembo dell’Oscurità. Dall’uovo balzò Eros dalle ali d’oro, portando alla luce quello che vi era nascosto: il cosmo intero con le sue creature.
Quell’uovo mitico non è (secondo la Rivelazione) se non Colui che era in principio presso Dio, come scrive Giovanni nel suo Vangelo: “Tutto è stato fatto per mezzo di Lui, e niente senza di Lui è stato fatto di tutto ciò che esiste. In lui era la vita, e la vita era la luce degli uomini”
Applicandoci in una veloce riflessione, possiamo concludere che, se l’uovo si rompe dall’interno, produce l’espressione di una vita che va incontro alle manifestazioni dei propri potenziali; Se, invece, viene rotto da agenti esterni, ogni potenziale viene interrotto e, al massimo si trasforma in alimento commestibile
Volendo riportare il discorso all’essere umano, possiamo concludere che, qualsiasi cambiamento (con relativa rottura delle abitudini) che si genera dall’interno (per opportune riflessioni maturative), produce una “resurrezione” di potenziali ancestrali; qualsiasi “forzatura” indotta dall’esterno (attraverso coercizioni o convincimenti di varia natura) produce l’interruzione di un percorso fisiologico e la trasformazione in “modelli” antropomorfici privi di autodeterminazione.
Non si può essere adulti se nessuno ha visto il bambino che siamo stati, noi per primi. Adulto è colui che ha preso in carico il bambino che è stato e ne è diventato il padre e la madre. (Janusz Korczak)
Qualcuno ci ha spiegato che, non passione ma, semmai, compassione ci vuole. Cioè, la capacità di estrarre, dall’altro, la radice del suo dolore e di farla propria senza esitazione.
Appunto per questo, Carl Gustav Jung ha detto che un “vero” Atto d’amore è quello di accogliere in noi la nostra parte più ferita e fragile, accorgersi che dobbiamo amare l’ultimo degli uomini perché arriva terribile il momento in cui ci accorgiamo che l’ultimo degli uomini siamo noi. Forse, allora, il modo di risorgere può passare attraverso le azioni degne di “diventare un ricordo”.
Ecco perché Omero ci ha tramandato la seguente “rivelazione”: “Così hanno decretato gli Dei. Che, nel perdersi, ciascuno possa ritrovare se stesso!”
A questo punto, un invito…
All’approssimarsi della “vera” Pasqua, stiamo attenti ad evitare di inebriarci troppo di quella santità che non ci appartiene. Siamo esseri umani e la differenza diviene evidente attraverso il nostro quotidiano operato: ricordiamoci della “resurrezione” anche quando la sua commemorazione non è. Ognuno di noi dovrebbe rivedersi in quel Lazzaro risvegliato da un uomo giusto e realizzare, nella Libertà, tutto quello che può esprimere, non quello che gli altri credono che si debba fare.
Cari Lettori, vorremmo accomiatarci abbracciandovi, tutti, in un ideale canto d’amore in grado di ricordarci che…
“Una formica da sola non esiste, ma resiste solo perché sa che tante formiche possono formare una comunità… su coraggio coraggio, passatevi il messaggio, unite il vostro coro; l’esempio è trascinante per altre formiche che chiamano altrettante. Insieme esistono, lottano, le montagne smuovono”.
UNA FORMICA E’ SOLO UNA FORMICA
Signore, è inutile, in questo momento abbandonato da te, solo fra la mia gente mi sento solamente una formica. Una formica è solo una formica, uno zero, una nullità; i granelli di sabbia per lei sono montagnema basta che abbia vicino le compagne e una formica smuove le montagne.
Una formica da sola non esiste, ma resiste soltanto perchè sa che come tante gocce fanno il mare, tante formiche possono formare una comunità.
Ma se da sola affronta la fatica, allora sì ch’è solo una formica. Ma due formiche sono due formiche, un’idea di solidarietà. C’è ben poco da fare di fronte alle montagne, ma se può contare su tutte le compagne, quella formica smuove le montagne.
Ma due formiche più altre due formiche, il principio d’una Società.Su coraggio, coraggio, passatevi il messaggio, al nostro lavoro unite il vostro coro, un’altra s’aggrega, un’altra si fa sotto, e già siamo un gruppo, insieme siamo otto formiche, l’esempio è trascinante per altre formiche che chiamano altrettante formiche che vengono in aiuto di altre formiche crescendo ogni minuto in lieto fermento diventano già cento formiche schierate in lunga fila.
Son mille, duemila, son tutte le formiche che esistono, corrono, le montagne smuovono e, insieme, esistono, sgobbano, le montagne smuovono e, insieme, esistono, lottano, le montagne smuovono e, insieme, esistono,
“Possiamo vivere nel mondo una vita meravigliosa se sappiamo lavorare e amare, lavorare per coloro che amiamo e amare ciò per cui lavoriamo.” (Lev Tolstoj)
Enzo Ferraro – già Dirigente Scolastico, Letterato, Umanista, Politologo
Giorgio Marchese – Direttore “La Strad@”
Un ringraziamento affettuoso ad Amedeo Occhiuto, per la collaborazione offerta
Direttore Responsabile “La Strad@” – Medico Psicoterapeuta – Vicedirettore e Docente di Psicologia Fisiologica, PNEI & Epigenetica c/o la Scuola di Formazione in Psicoterapia ad Indirizzo Dinamico SFPID (Roma/ Bologna) – Presidente NEVERLANDSCARL e NEVERLAND “CAPELLI D’ARGENTO” ETS (a favore di un invecchiamento attivo e a sostegno dei caregiver per la Resilienza nel Dolore Sociale) – Responsabile Progetto SOS Alzheimer realizzato da NEVERLAND “CAPELLI D’ARGENTO” ETS – Responsabile area psicosociale dell’Ambulatorio Popolare (a sostegno dei meno abbienti) nel Centro Storico di Cosenza – Componente “Rete Centro Storico” Cosenza – Giornalista Pubblicista – CTU Tribunale di Cosenza.
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