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PREMESSA

Il contenuto di questo articolo (la cui prima pubblicazione risale al 13 giugno 2014), è il risultato di partecipazioni ad incontri specifici (il Convegno Scientifico Annuale 2012 della Società Italiana di Medicina Psicosociale -SIMPS e il Convegno sull’invecchiamento felice organizzato da Neverland Scarl) è stato esposto all’interno di un’apposita puntata della trasmissione Mente & Dintorni e verrà utilizzato per progetti ad hoc riguardanti l’invecchiamento attivo come, ad esempio, quello riguardante la prima giornata sull’Alzheimer, patrocinata dal Comune di Cosenza .

BUONA LETTURA

Ho visto gente andare, perdersi e tornare e perdersi ancora. E tendere la mano a mani vuote E con le stesse scarpe camminare per diverse strade. O con diverse scarpe su una strada sola… (Francesco de Gregori – Sempre e per sempre)

Fino a qualche anno fa pareva quasi un assioma inderogabile: le cellule cerebrali non sono in grado di rigenerarsi e, nel tempo sono destinate inevitabilmente a calare di numero. Da un po’ di temo a questa parte, sono in molti a pensarla diversamente, dal momento che, laboratoristicamente, si è dimostrato il contrario. Dal 2009, ad esempio (anche grazie alla sperimentazione condotta su taxisti londinesi, “costretti” ad inventarsi nuovi percorsi stradali) si è capito che, nell’area dell’ippocampo (che è coinvolto nelle risposte emotive e nel meccanismo dell’apprendimento), nascono, ogni giorno, migliaia di nuovi neuroni che restano in attività in maniera direttamente proporzionale all’interesse mostrato nello svolgimento dei compiti quotidiani.

Gianvito Martino, già Direttore della divisione di Neuroscienze dell’Ospedale San Raffaele di Milano,  ha scritto, fra gli altri, un libro (“Il cervello gioca in difesa”) per approfondire questo argomento.

Come specificato sopra, la neurogenesi sarebbe attiva anche nell’adulto, con circa 50.000 neuroni che, ogni giorno, si aggiungono a quelli disponibili nel cervello.

Queste importanti scoperte sulla neurogenesi, realizzate tutte negli ultimi anni, danno ragione delle capacità di autorigenerazione cerebrale, un settore affascinante e ricco di promesse per la scienza. La capacità di riadattamento dei neuroni, infatti, potrebbe rappresentare una chiave su cui agire per trattare eventuali danni in un’area cerebrale ad esempio in seguito ad un ictus, sfruttando le capacità di autoriparazione neuronale. Proprio l’ictus, e l’emiparesi che si può manifestare, sono un esempio di questo nuovo approccio.

“Prima si riabilitavano passivamente il braccio o la mano colpiti” – sottolinea Martino – “Ora si prova ad immobilizzare l’arto sano per muovere solo quello danneggiato e indurre, addirittura, la riorganizzazione del circuito cerebrale”.

Però, tutto questo, ha poco senso se non si coltivano interessi, per garantirsi una vita ed una vecchiaia di ottima qualità.

“Sono certo che parte della longevità sia legata alla consapevolezza che non bisogna smettere di essere curiosi e dedicarsi alle passioni intellettuali”. È quanto scrive l’oncologo Umberto Veronesi nel suo ultimo libro (del 2012), Longevità.

“Applicare alla salute della mente, le regole motivazionali”

Sostanzialmente, un invito a non perdere gli interessi culturali man mano che l’età avanza: questo, costituirebbe la chiave di accesso ad un’anzianità serena e duratura.

Come specificato in “Longevità”, una prova arriva dall’arcipelago giapponese di Okinawa, l’area geografica più longeva del mondo, con i centenari che rappresentano il 20% della popolazione. Un traguardo, questo, raggiunto seguendo un’alimentazione povera di calorie e ricca di aminoacidi, vitamine, e sali minerali.

Soprattutto, però, a favorire la longevità è il senso di appartenenza che si respira nella popolazione: così, gli ultranovantenni si sentono ancora importanti e necessari per la famiglia e la società e, di conseguenza, mantengono la voglia di vivere, divertirsi e lavorare.

Come sostiene l’illustre scienziato, per vivere ed invecchiare bene, non vale solo la regola del buono stato di salute fisico, ma conta la predisposizione mentale a quanto si affronta, ogni giorno.

Gli stimoli, e il modo di reagire ad essi, sono fondamentali

L’amore verso le persone, gli animali e le cose, favoriscono reazioni positive a qualsiasi frustrazione. “Per questo, ciascuno di noi, può stabilire paradossalmente, quando morire… perché, nel momento stesso in cui si rinuncia ad invecchiare consapevolmente, si rinuncia inevitabilmente a se stessi” (U. Veronesi). L’obiettivo, quindi, è quello di valorizzare il contatto (e il dialogo) con se stessi, a qualsiasi età, soprattutto quella in cui si è maggiormente vulnerabili.

In conclusione…

ALLA MORTE GLI FACCIO UN MAZZO… (tratto da “Stanno tutti bene” di Giuseppe Tornatore del 1990)

-Sti cosi, a vederli così, sembrano fatti di plastica…– È vero!- Ma poi a mangiarli scopri che… minchia! Plastica è! Però, sapore… buono!-Nonno! Ma com’è che sei sempre allegro? Non sembri mica un vecchio!-In primis primis, io non sono un vecchio come.. come certuni che stanno qua dentro. In secondo secondo, come ti posso dire? Io, alla morte, ci faccio un culo così!

È notizia di non molto tempo fa, che sia già in produzione un apparecchio che realizza una copia più che accettabile della parete di un vaso sanguigno. Tale “miracolo” è reso possibile attraverso un meccanismo che fa depositare alcuni strati di cellule su una pellicola nanotecnologica biodegradabile.

Questa è la dimostrazione dei passi da gigante compiuti dall’ingegneria cellulare. Con questa, vanno di pari passo gli studi sui geni che controllano la longevità, comuni negli uomini e negli animali. Ma, sostengono gli esperti, sarà bene pensarci a lungo prima di ipotizzare interventi come la modifica del genoma per allungare la vita.

LA MALEDIZIONE DI UNA VUOTA, ETERNA VECCHIAIA

“Invecchiare è il modo migliore che ho trovato, per vivere più a lungo…”(A. Einstein))

Nel secolo appena trascorso, l’età media dell’uomo è aumentata quasi del doppio. Autorevoli scienziati ritengono che nei prossimi anni, la ricerca medica porterà ad un ulteriore incremento. A queste condizioni, possiamo concludere che, senza un miglioramento considerevole della qualità della vita, si correrà il rischio di prolungare soltanto le sofferenze terrene.

Il prof. Umberto Scapagnini, neuroimmunoendocrinologo di fama internazionale, nel suo libro “La manutenzione della vita”, narra di un certo Raimondo L., un misterioso personaggio al confine fra l’alchimista e il medico, vissuto a cavallo del tredicesimo secolo.

“Messer Raimondo, fra i vari esperimenti, si occupò anche del problema dell’immortalità. Si narra che, una sera, durante un sontuoso ricevimento, si sia innamorato di un’avvenente nobildonna. Questa, conoscendo la fama del suo spasimante, gli chiese in cambio del proprio amore un elisir di lunga vita, per conservarsi bella in eterno. Così Lullo, arso dalla febbre della passione, si rinchiuse nel suo laboratorio e si immerse in lunghi studi per sconfiggere l’antica nemica degli uomini. Dopo sforzi e fatiche, ottenne il risultato sperato. Subito provò su se stesso la pozione, poi corse al castello della sua amata, per dividere con lei la tanto ambita eternità. Giunto al suo cospetto, però, si accorse con raccapriccio che la bellezza della donna era svanita da un pezzo e che lui, concentrato nei suoi studi, aveva trascorso senza rendersene conto, quasi quarant’anni chiuso nel suo laboratorio. Il tempo era volato via e aveva portato con sé il suo vigore. Così, guardandosi allo specchio, vide l’immagine di un uomo appassito. Purtroppo, per la fretta di coronare il suo sogno, aveva già bevuto l’elisir …e così si ritrovò, suo malgrado, vecchio ed immortale, con le conseguenze (in termini di limitazioni) che una tarda età aveva a quei tempi. Con il passare degli anni, la noia di una vuota prospettiva, attanagliò sempre di più il suo animo. Qui la leggenda si fa e si sovrappone alla figura dell’Ebreo Errante. In ogni caso, si racconta che Raimondo vagò per il mondo per oltre cento anni cercando un modo per porre fine ai suoi giorni inutili. Le provò tutte (dai veleni alle armi) ottenendo come unico risultato, quello di peggiorare le sue condizioni fisiche. Solo dopo altri cento anni Dio, impietosito dalle preghiere e dalle sofferenze di quello che, ormai, era stato (una volta) il nobile Raimondo Lullo e che ora era solo un fusto vegetale, gli concesse la pace eterna, liberandolo dalla sua maledizione”.

“È meglio tentare di dare giorni alla vita, dando vita ai giorni!”( Rita Levi Montalcini)

Il Premio Nobel per l’economia, Daniel Kahneman insieme a un gruppo di psicologi ed epidemiologi ha collezionato migliaia di studi sulla felicità. Lo scopo è quello di indagare l’interazione tra cervello e sistema immunitario. Il dato fondamentale emerso è che lo star bene psicologico ha effetti benefici sulla salute fisica. Ne è nata la necessità di individuare test affidabili del grado di felicità soggettiva.

Sostanzialmente, una vita felice, è caratterizzata da una serie di obiettivi raggiunti che, nel tempo, siano stati in grado di generare:

  • Una ricchezza interiore(dal termine Feo che, in Greco, significa “produttore di fecondità);
  • Un basso livello di conflitti psicologici;
  • Una condizione mentale stabile ed equilibrata (senza eccessi), caratterizzata da disponibilità e conciliazione rivolte, prevalentemente, al proprio mondo interno.

Il tutto, per migliorare quel dialogo continuo e, prevalentemente, inconsapevole che ognuno ha con se stesso e che si chiama identità.

Le persone più felici non sono necessariamente coloro che hanno il meglio di tutto ma, semmai, coloro che traggono il meglio da ciò che hanno. La vita non è una questione di come sopravvivere alla tempesta, ma di come danzare nella pioggia! (Kahlil Gibran)

Secondo dati ISTAT, tra qualche decennio, un italiano su 7 sarà ultraottantenne. Inutile nascondercelo: a volte, l’idea della vecchiaia, ci spaventa. E allora, come possiamo affrontare tale processo naturale in modo idoneo?

Lo psichiatra, George Libman Engel, nato negli Stati Uniti nel 1913, intorno agli anni 70-80 del secolo scorso, ha teorizzato un modello Bio psico sociale per considerare lo stato di salute di un individuo. In pratica, partendo anche da quello che sosteneva l’Organizzazione Mondiale della Sanità relativamente alla salute (intesa come un insieme di fattori che devono tener conto anche dello stato emotivo, quindi psicologico, per poter dire “quella persona sta bene effettivamente” oppure “non completamente”) ha specificato che la necessità di dover tenere conto, non solo di come funziona il suo organismo ma, anche, dell’ambiente in cui si viene a trovare. La salute, infatti, è il risultato di una miriade di fattori (ambientali, familiari, personali e via discorrendo) ed è per questo che assume importanza, quindi, il concetto che comprenda l’analisi biologica, psicologica e socioambientale.

MA INVECCHIARE, ESATTAMENTE, COSA SIGNIFICA?

È questa la paura che ci portiamo dentro. Aver sprecato la gioventù, essersi smarriti nella cosiddetta “età della ragione” per, poi, trovarsi sull’orlo di un baratro…

D’altronde, Ambrose Pierce, sosteneva che la fanciullezza è quel periodo di transizione (nella vita umana) che sta tra l’ingenuità dell’infanzia e la presunzione della giovinezza, a due passi dagli errori della maturità e a tre dai rimpianti della vecchiaia!

È apodittico (cioè, ampiamente dimostrabile) affermare che, più andiamo avanti nel tempo, meno tempo ci rimane da poter vivere. Il “Tempo”, però, non si misura in quantità ma in qualità. Tale affermazione non è soltanto un’accezione teorica perché, fondamentalmente, noi siamo quello che percepiamo, istante per istante, con dei programmi, degli obiettivi ( anche se non manifesti ). L’ideale, per ciascuno, ognuno di noi è star bene in questo istante, sentendoci a posto e provando il piacere di sperimentare quello che accadrà l’istante successivo, soprattutto se l’istante precedente a quello che stiamo vivendo, ci è piaciuto.

ZEB MCAHAN E NUVOLA ROSSA

A quanto pare abbiamo di nuovo compagnia, Tenente. Credo sia il caso di andare a fare quattro chiacchiere.

Che cosa stanno facendo?

Stanno parlando.

Questo l’avevo capito da solo! Ma di cosa staranno parlando?

Oh… dei vecchi tempi, delle vecchie battaglie, qualcosa del genere…

Vuol dire che si conoscono?

Se si conoscono? Tenente, l’uomo che sta seduto su quella coperta con Nuvola Rossa, conosce tutti gli indiani di queste montagne. È quasi un indiano anche lui. E se Nuvola Rossa facesse uno sgarbo a Zeb Macahan la cosa si tramanderebbe di padre in figlio finchè non ci fosse un solo indiano sulla Terra.

Sostanzialmente, quindi, la risposta alla domanda iniziale si racchiude nel far trascorrere del tempo capitalizzando le esperienze per diventare migliori. Quando ci riusciamo otteniamo il raggiungimento di uno scopo, sentendoci felici.

A queste condizioni, paradossalmente, invecchiando si diventa felici.

Pioggia e sole cambiano la faccia alle persone. Fanno il diavolo a quattro nel cuore e passano e tornano. E non la smettono mai (F. de Gregori – Sempre e per sempre)

Lo stesso modello di automobile (l’Hudson Hornet del 1951) ma due “facce” diverse della stessa medaglia. In alto, il Tempo ha “corroso”; in basso, il tempo ha “nobilitato”. Quella unità di misura nella quale troviamo gli istanti della nostra vita (e che si chiama “Tempo”), registra una trasformazione di tutto quello che è sottoposto alle sue Leggi. Non è lo “scorrere dell’acqua sotto i ponti” a modificare persone, oggetti e quant’altro ci sovvenga… ma, semmai, è il modo di reagire (adattandosi e predisponendosi al meglio) agli eventi che la vita ci propone. Il tempo è solo un’unità di misura che può evidenziare ciò che accade all’interno di un momento di osservazione: un minuto, un anno, un’intera esistenza.

In base a come noi ci rapportiamo alle nostre aspirazioni, ai nostri sogni, ai nostri obiettivi, man mano, cambiamo direzione bypassando gli ostacoli e accomodandoci su nuovi ripiani. Il Tempo, infatti, si misura coi numeri, è contato in secondi e raccontato negli anni. La Vita, invece, si apprezza nei battiti, si “sente” col cuore e si racconta con l’anima.

Ecco perchè ci trasformiamo: sia da un punto di vista emotivo (quindi, psicologico) che, anche, organico e corporeo, diamo tutto ciò che siamo, consumiamo quello che abbiamo e dobbiamo ottimizzare l’utilizzo di risorse e riserve (mentali e organiche), man mano che andiamo a fornire quello che serve per il raggiungimento di uno scopo.

Poi, se ci piace quello che stiamo facendo, diamo il via ad una serie di lavori di ripristino che non ci riporteranno nella condizione precedente, ma ci faranno diventare come un mobile “restaurato”; altrimenti, si invecchia degradandosi, senza amore.

In sostanza se, alla fine del tuo caffè esistenziale, noti un retrogusto tra l’acido e l’amaro, sei invecchiato male; se, invece, ti porti dentro quella armonia di aromi che si sprigiona quando la miscela è fuori dal comune, allora, ti sei “antichizzato”.

BUONA GIORNATA. IL RESTO NON CONTA.

E i valori, sono il rapporto umano e l’amore, verso di me, oltre che verso di te. Questo costituisce una specie di codice di ingresso al tuo dolore che, poi, (avendo la base umana, in comune) è anche il mio. Senza un amore condiviso (un hobby in comune, un filo conduttore da assaggiare un po’ per uno… ) io scopro cosa significa volermi bene e, naturalmente cercherò di riappropriarmi di qualcosa che, per troppo tempo, mi era sfuggita…

ME, ATTRAVERSO TE! IL RESTO NON CONTA.

Nell’immagine, due giovani che si proiettano verso la vita agganciati a degli elastici. In alto a sinistra, un piccolo riquadro di vita: cromosomi che consentono alle cellule di costruire un organismo e di farlo funzionare. Man mano che procedono nel loro lavoro, però, consumano il tappino (in rosso, nell’immagine) che impedisce il loro “sfaldamento”, avvicinandosi al proprio “game over”. Esiste, però, una sostanza, un enzima, che è in grado di ripristinare la struttura originaria di questo tappino. Questo si produce se accadono determinate condizioni che sono governate da un principio chiamato epigenetica.

Cioè, sulla base dell’ambiente in cui viviamo, del piacere che proviamo nel restare in quel luogo, della nostra alimentazione, di quello che pensiamo, del nostro stile di vita, orientiamo, senza accorgercene, la lettura del nostro DNA, un po’ come un pianista che suona una melodia fantastica anche se il pianoforte è un po’ scordato.

Sulla base di questo, noi ci manteniamo in forma. Ma fino a che punto?

Ritornando all’immagine, cosa c’entra l’elastico con i due giovani che si protendono verso la vita? Ognuno di noi ha un punto di partenza, che è sicuramente il momento in cui nasce ma che, anagraficamente, può riportarsi più indietro: cioè, dal punto di vista della mentalità noi, quando veniamo al mondo, acquisiamo le informazioni, l’educazione, l’amore e tutto quello che i nostri genitori possono dare, filtrati dalla loro personalità, che è il risultato di una vita condotta ben prima che noi nascessimo. Per cui, noi acquisiamo un modo di pensare che è molto antecedente all’anno della nostra venuta al mondo.

Facciamo un esempio personale. Io sono del 1964 ma, nella realtà dei fatti, attraverso quello che ho acquisito dai miei genitori, potrei situarmi, come data di partenza, intorno al 1940. Quindi, siccome ci troviamo nel 2014, non ho 50 anni (come apprendimenti di base che, nonostante l’elasticità mentale che ho sviluppato, mi condizioneranno) ma molti di più, dal punto di vista del dato di partenza. Questo elemento da cui sono partito, pianta un chiodo che tiene fermo l’elastico, la cui resistenza dovrò vincere man mano che andrò avanti nella vita.

Perché?

Perché più procedo, più mi trasformo, adattandomi alle sollecitazioni che il mondo esterno mi propone e, a volte, mi impone, più mi allontano da quel punto di partenza, che continua a restare. Il giorno in cui ci sarà una distanza eccessiva fra il punto (e il modo) in cui ero, e quello in cui il Mondo mi chiede di andare, io raggiungerò un momento critico oltre il quale, la resistenza dell’elastico diventerà maggiore della mia capacità di spinta.

Ecco perchè, un po’ alla volta, se non avrò scoperto in che modo continuare a provare gusto alla vita, mi demotiverò, invecchiando, dentro.

Ma, come si fa a restare più a lungo e in considerevole, gratificante, forma di salute?

Un pensatore, qualche tempo fa, ha proposto le 10 “A” sull’educazione, da utilizzare , almeno, nei contesti che riteniamo essere più importanti

  1. Ascoltare (empaticamente)
  2. Accogliere (senza inibizioni)
  3. Avvicinare (senza paura)
  4. Attendere (con pazienza)
  5. Aggregare (costruttivamente)
  6. Ammirare (senza invidia)
  7. Ammonire (evitando inutili sofferenze)
  8. Accompagnare (senza abbandonare)
  9. Accostarsi (con delicatezza)
  10. Amare (rispettando)

IL TEMPO INTERNO E IL TEMPO ESTERNO…

Caro Don Carlo, Lei che è il suo confessore ci deve aiutare; sa che mia madre si è innamorata ed è scappata di casa?

E allora?

Ma come “allora”, scusi… io le dico che una donna di 65 anni scappa di casa e Lei mi dice “e allora”…

Ed io che dovrei dire?

Ma come “che dovrei dire”? Ma, scusi, una persona di 65 anni che si comporta come se ne avesse 16, ma le pare normale, scusi?!

Oscar, 16 o 65 è la stessa cosa! Il tempo è una convenzione: serve solo a sapere che ora è!

Ma, scusi, lei ha presente mia madre?

Certo che l’ho presente! E così, a occhio e croce, mi sembra pure più giovane di te! Perché, vedi Oscar: una tartaruga vive 100 anni, un topo vive 3 anni, in Cina c’è una farfalla che vive solo un’ora… come dice il poeta? “Un’ora vive la gialla farfalla e tempo ha che le basta!” – Prendimi la stola- Ora tu, a una farfalla che vive solo un’ora che ci puoi dire? “Ue! Aspetta 5 minuti che mò vengo!”

Ma cosa c’entrano le farfalle adesso….

C’entrano, c’entrano! Perché… chi è che si è innamorato? Il corpo o l’anima di tua madre? L’anima! E per un’anima che ha da vivere tutta un’eternità, che vuoi che siano 65 anni?! Un’istante!

E, allora secondo Lei mia madre è tornata adolescente?!

Nossignore! Non è tornata adolescente, è adolescente! Vedi, figlio mio: esiste un tempo esterno e un tempo interno. Il tempo esterno è quello degli orologi, quello dei calendari, ed è uguale per tutti; il tempo interno, invece, è un fatto personale, nostro… è come il colore degli occhi, come il colore dei capelli, capisci? Ci appartiene ed è diverso da persona a persona. Ecco perché ci sono delle persone che magari hanno 50 anni, 60, 70 anni e hanno l’impressione di averne 20. La verità è che non si tratta di un’impressione: veramente ne hanno 20!

Mi scusi, sa… Ma questa sono soltanto parole. Quello che mi meraviglia è che proprio lei che è un uomo di Chiesa possa giustificare la fuga di due amanti!

Eh, vabbuò, “amanti”, mò non esageriamo!

Si! Amanti! Mi vergogno a dirlo perché si tratta di mia madre ma… caro Don Carlo, non ci sono dubbi: mia madre ha un amante!

Il guaio, Oscar, è che tu la cosa la vedi solo in termini sessuali. L’amore, invece, è un sentimento complesso, è un insieme di tante cose: è conforto, è tenerezza, è sostegno reciproco…

Eh, ma è anche occasione di peccato! O no?

Eh si, il “peccato”! Sai che parola che è questa “peccato”! per me, per esempio, il peccato peggiore è l’egoismo che, guarda caso, è l’incontrario dell’amore. Per esempio: è peccato per una persona di 65 anni vivere solo per comprarsi CCT; eppure non puoi sapere quanta gente c’è che lo fa e non se lo viene nemmeno a confessare.

Nell’immagine… due mani callose, arricchite dal tempo, che stringono un bastone che non è visto soltanto come uno strumento ausiliario, di appoggio per una deambulazione autonoma ma, semmai, come un punto fermo che segna il tempo agli altri immaturi.

“UNA STORIA VERA”

Ehm… tra pezzi e manodopera arriviamo a 247 dollari e 80.Beh!

Direi che è un po’ tanto per un lavoretto da poco, non credete? Ho gli occhi da vecchio ma… vedo benissimo che queste non sono gomme nuove…

Beh! Sono… sono riciclate, è vero! Ma il battistrada è buono.

D’accordo, amico! Ma mi fai pagare il buono o il nuovo?

Ah… possiamo fare un piccolo ritocco!

Bene! Credo che il ritocco dovrebbe essere almeno di 30 dollari. È questo che scrive la tua matita? Ehm.. quanto alla manodopera: apprezzo molto che voi ragazzi ci abbiate perso un po’ di tempo, ma… quando uno ha a che fare con dei gemelli che litigano, deve chiedersi quanto tempo di lavoro loro hanno perso per litigare.

Ben detto!

Zitto Danny!!!

Se dovessi giudicare dalla divertente conversazione a cui ho assistito oggi, dovrei calcolare un 20% in meno di manodopera.

Nient’altro, signore?!

Ehm… beh! Non sono di queste parti ma, al mio Paese direbbero che nel vostro Paese, questa lattina di olio è piuttosto cara…

Mmm… l’olio è gratis! Glielo regaliamo!

È un’offerta generosa. Ve ne sono grato! Quanto fa in tutto?

Ah… Ehm… Ah… 180 dollari?

Perfetto!

Ah…

Grazie a voi ragazzi, ora posso rimettere quest’aggeggio sulla strada. L’ho guidato per tutta la Iowa e spero che regga ancora. Deve portarmi fino al Wisconsin: mio fratello vive lì. Non lo vedo da 10 anni. Nessuno conosce meglio la tua vita di un fratello che ha quasi la tua età; sa chi sei e cosa sei meglio di chiunque altro. Mio fratello ed io ci siamo detti delle cose imperdonabili l’ultima volta che ci siamo visti, e sto cercando di buttarmele alle spalle. E questo viaggio è duro da mandare giù per il mio orgoglio, ma spero di non arrivare tardi. Un fratello è un fratello!

Ho conosciuto Gianfranco Jannuzzo molti anni fa, al Teatro Sistina, a Roma, dove accompagnava il grande Gino Bramieri, in una delle sue ultime apparizioni pubbliche. Quello che colpisce, di questo interprete, è la capacità di provare e manifestare amore verso qualcosa che si porta dentro: la sua arte, il proprio modo di essere, la città natale… Girgenti.

Ritengo memorabile la sua dichiarazione sentimentale, frutto di un autorevole “segno” mentale, messa su carta e incastonata nel cuore: Girgenti amore mio.

Intima connessione con ciò che si è, abbracciando la memoria della propria appartenenza, per affrontare il futuro, senza preoccuparsi del destino.

Io ho amato la mia città, come si ama una donna: voltando spesso le spalle, sbattendo la porta prima di uscire ma… tornando, poi, sempre sui miei passi; perché ogni volta che tu torni indietro, riannodi, in un solo istante, tutti i fili di una memoria che, altrimenti, andrebbe perduta, e tu lo sai… che solo nella memoria si può conservare un Amore! Agrigento è la mia città. Ho imparato ad amarla crescendo, ascoltando i ricordi di chi c’era nato prima di me, di chi, a quel tempo, la chiamava con un altro nome: allora si chiamava Girgenti.

Questo nome è la sua memoria e, in questa memoria, sta tutto il mio amore; per questo, mi piace ancora chiamarla così: Girgenti.

Girgenti è il nome che non c’è più di una città che, invece, c’è ancora. Agrigento è solo un punto delle coordinate di una cartina geografica; Girgenti, invece, è l’incrocio obbligato dove passano tutte le mie emozioni; è gli stessi confini della mia anima, confini invisibili, ma incancellabili.

Per ognuno di noi è così: la città che ti porti dentro non ti abbandona, ti viene dietro.

Tutte le strade che percorri, ogni piazza che attraversi, sono le stesse strade, le stesse piazze e gli stessi angoli che hai già girato un’infinità di volte.

Ho amato la mia città come si ama la donna di cui sei innamorato; ma ho amato le città di tutti gli altri come si ama una donna che non ti appartiene, quella che non puoi avere, e che altri hanno il diritto di amare più di te.

Ma è guardando le loro città che mi sono accorto della mia; ho sentito che nelle città degli altri, c’erano gli stessi meravigliosi profumi, lo stesso tenace orgoglio di esserne figlio, la stessa eredità: passi, ombre, tracce, gesti, la stessa rabbia mescolata all’impotenza.

Perché, il sale del mio mare, brucia come il fiume di ciminiere in certe periferie metropolitane; il cuore arabo della mia Girgenti, ha gli stessi battiti di quello greco di Napoli; i vicoli delle mie città sono le stesse vene che disegnano i Carruggi di Genova; le pietre dei miei templi resistono immobili come le pacifiche Cattedrali di città toscane. E così, ho capito che non è la mia città quella che amo, ma la città che amano tutti gli altri… quella che sento dentro di me.

È una fitta ragnatela di emozioni che appartengono ad ognuno di noi. Palermo amore mio. Milano amore mio. Trieste amore mio. Napoli amore mio. Girgenti, già! Girgenti è la mia città!

E io mi chiedo, che cosa mai possa esserci di più mio, se non quello che mi accomuna a tutti gli altri. Per questo, la mia Girgenti, quella che amo, è sicuramente uguale alle vostre!

Cari lettori, sicuramente la vita, quella che dovrei amare, che è la mia vita, è simile alle vostre. L’augurio è quello di poterle condividere, interfacciarci, anche se virtualmente, per poterci scambiare, rinforzandoli, sentimenti, emozioni, stati d’animo che ci spingono, poi, a voler procedere nonostante l’elastico che ci tiene ancorati e che ci vorrebbe riportare indietro. Per poterci consentire una buona, grande vita. Fino alla fine dei nostri giorni terreni.

Tu non credere se qualcuno ti dirà che non sono più lo stesso ormai Pioggia e sole abbaiano e mordono ma lasciano, lasciano il tempo che trovano. E il vero amore può nascondersi, confondersi ma non può perdersi mai Sempre e per sempre, dalla stessa parte, mi troverai (F. de Gregori)

G. M. (Giugno 2014)

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