Io li conosco i domani che non arrivano mai.
Conosco la stanza stretta…
E la luce che manca, da cercare dentro.
Io li conosco i giorni che passano uguali.
Fatti di sonno e dolore.
E sonno per dimenticare il dolore.
Conosco la paura di quei domani lontani,
che, sembra, il binocolo non basti.
Ma questi giorni sono quelli per ricordare
le cose belle fatte,
le fortune vissute,
i sorrisi scambiati, che valgono baci e abbracci.
Questi sono i giorni per ricordare,
Per correggere e giocare,
Si, giocare a immaginare domani.
Perché il domani, quello col sole vero, arriva.
E dovremo immaginarlo migliore,
per costruirlo
Perché, domani, non dovremo ricostruire
ma costruire e, costruendo, sognare.
Perché, rinascere, vuole dire costruire
Insieme, uno per uno.
Adesso però, state a casa pensando a domani.
E costruire è bellissimo,
Il gioco più bello:
Cominciamo…
(Ezio Bosso)
Cari Lettori, avete mai provato la sensazione di morire?
Non ci riferiamo allo stato d’animo che precede il cosiddetto attacco di panico quanto, piuttosto, a quella condizione di svuotamento (quasi) totale dopo che, per tanto tempo i neuroni sono stati messi alla frusta…
Ecco in quei momenti, ad un certo momento, uno strano sapore metallico pervade le papille gustative, la vista si sfoca, l’udito confonde i suoni articolati, le parole escono con difficoltà e, pur senza grandi sconvolgimenti emotivi, percepisci di essere prossimo alla fine: come se stesse scoppiando, nella tua testa, una specie di Ictus…
Perché questa premessa?
Eravamo così poveri che, a Natale, il mio vecchio usciva di casa, sparava un colpo di pistola in aria, poi rientrava in casa e diceva: Spiacente ma Babbo Natale si è suicidato! (Jack La Motta)
Cosa si può scrivere, per un Natale (con il conseguente consuntivo di fine anno) che ci ricorda che siamo la generazione più triste degli ultimi 30 anni?
E, in effetti, le congiunture createsi, sono tali da costringere a rispondere colpo su colpo, alla pressione fiscale, alle guerre di ogni genere e alle altre difficoltà contingenti.
Per quel che ci riguarda, siamo giunti alla conclusione che, oggi, per consentirsi la creazione di una famiglia, si debba lavorare tanto da non riuscire a godersela. Per provare a trarne gioia, infatti, si finirebbe per non potersela permettere.
Ma non esiste solo la povertà economica…
Ce n’è una ancora più grave: quella morale. Il delitto più grave che la cosiddetta globalizzazione ha determinato, consiste nell’aver mutuato mentalità speculative per cui, il danaro è diventato una meta assoluta, fine solo a sé stessa, per raggiungere la quale ogni mezzo è lecito. Posti di lavoro cancellati, risorse svendute, sogni infranti. Solo la mortificazione del sentirsi abbrutiti…
Che l’inizio del nuovo anno sia, per voi, un momento dove, l’essenza dei valori, porti serenità nei vostri cuori! (Paolo Chiaia)
Che cosa strana. La Storia (quella che ci impongono di studiare) non mi ha mai raccontato che, la sera del 24 dicembre 1914 all’inizio di quella carneficina che prese il nome di Prima Guerra Mondiale, soldati di trincea (la carne da macello, insomma) tedeschi (e austroungarici), francesi e britannici, sospendono le ostilità e si stringono la mano, di fronte alla magia di “Astro del Ciel” seduti, sulla neve del Belgio, ad ascoltare la Santa Messa della Notte di Natale. Gli uni accanto agli altri. Stretti stretti, per ripararsi dal freddo.
Soprattutto morale.
Verranno puniti, per ciò, dai Comandi superiori. Un vescovo “Cristiano” incita le truppe ad uccidere il nemico, visto come “IL” Male. Il Blocco tedesco, viene “piombato” in vagoni speciali e spedito a soffrire chissà dove… ma, mentre va incontro al suo destino, si ode promanare da quel treno di morte, un inno natalizio scozzese. Una speranza, contro il buio delle coscienze. Resta traccia di ciò, in un bel film del 2005: Joyeux Noël – Una verità dimenticata dalla Storia.
“La cosa migliore da fare quando si è tristi”, replicò Merlino, “è imparare qualcosa. È l’unica cosa che non fallisce mai. Puoi essere invecchiato, con il tuo corpo tremolante e indebolito, puoi passare notti insonni ad ascoltare la malattia che prende le tue vene, puoi perdere il tuo solo Amore, puoi vedere il mondo attorno a te devastato da lunatici maligni, o sapere che il tuo onore è calpestato nelle fogne delle menti più vili…C’è solo una cosa che tu possa fare per questo: IMPARARE.
Impara perché il mondo si muove, e cosa lo muove. Questa è l’unica cosa di cui la mente non si stancherà mai, non si alienerà mai, non ne sarà mai torturata, né spaventata o intimidita, né sognerà mai di pentirsene. Imparare è l’unica cosa per te. Guarda quante cose ci sono da imparare”. [T. H. White]
Ogni anno, sul finire di dicembre, ci poniamo sempre le stesse domande. Un anno è andato e un altro arriverà.
Il nuovo come sarà? La speranza ce lo prepara roseo, anche se poi la realtà si incaricherà di colorarlo di moltissimo grigio, con qualche chiazza di bei colori.
La speranza è, come dice il Foscolo, ultima Dea, l’ultima a lasciarci quando staremo per concludere il nostro precario e traballante viaggio terreno. L’unico di cui gli umani siano a conoscenza. Il resto, nobilissimo, appartiene alla fede che, in chi ce l’ha, rispettiamo e forse anche invidiamo.
Nel frattempo, il discorso è sempre quello presentato da Leopardi nella sua notissima operetta morale sul venditore di almanacchi.
A quale anno passato vorreste che somigliasse il nuovo anno?
A nessuno. Probabilmente.
L’uomo, nella sua fragilità, osa sperare che il nuovo porterà cose bellissime. Quali esse siano non sa, però, elencare. Anche il desiderio più grande, una volta realizzatosi sembrerà poca cosa.
Per sfuggire a visioni paralizzanti dell’esistenza bisogna, quindi, guardare sempre avanti puntando sul fare e sull’agire.
Parimenti, stilare bilanci provvisori è necessario perché diviene anche un modo per individuare i punti deboli dell’azione e cercar di porvi rimedio.
Ciò che è stato non deve essere qualcosa di statico e paralizzante ma, semmai, “lievito” per un consapevole impegno futuro.
Aiuta molto, far propria l’espressione di Cesare:
Ritenendo di nulla aver fatto, finché c’è ancora qualcosa da fare
Questa tipologia di vita non annulla quanto abbiamo messo in piedi ma ci invita ad una umiltà di fondo.
Il consuntivo si tira alla fine.
Qualunque azione grande o piccola riteniamo di aver “mosso”, andrà inserita “nel dare e avere” della vita.
A consuntivo, potrà perdere valore, se il futuro non avrà onorato qualsiasi impresa importante.
E allora, il nostro bilancio di fine anno dovrà essere non statico ma dinamico.
La mente corre a ciò che dovremo fare e noi avvertiamo dentro la “folle sicurezza” che il tempo non ci mancherà.
L’uomo “autentico”, del resto, giunto ad una certa età deve organizzare la propria vita tenendo conto che potrà morire dopo trenta secondi o dopo trent’anni.
L’uomo “verticale” pensa ai trenta anni anche se realisticamente sa che probabilmente sarà interrotto “prima”.
Interrotto, appunto.
Ma, come scrisse Benedetto Croce, la Natura o Altro che verrà a interromperci non dovrà trovarci in “ozio stupido”.
Più gli anni passano, più diminuisce (o dovrebbe diminuire) il nostro egoismo perché ci rendiamo conto di fare parte di un’ideale staffetta che avrà futuro.
E si coglie che non è per noi che si vive ma per gli altri: la morte si sconta vivendo.
Trepidiamo per le future generazioni alle quali stiamo lasciando un mondo indecente in cui la natura è offesa, vilipesa e ogni giorno “stuprata”.
Diamo, a partire dall’anno che verrà, tutto il nostro contributo per favorire una inversione di tendenza che tenga lontano l’abisso.
Espressioni qualunquistiche (tipo “a me che interessa?”) sono prive di senso.
Noi abbiamo l’obbligo di guardare al Futuro perché, in esso, vivranno le nuove generazioni che non è detto debbano per forza essere “sangue del nostro sangue”.
Dovremo lavorare per i futuri esseri senzienti. Ogni gesto di amore collettivo avrà senso e sarà di esempio.
Come, ad esempio, il piantare un albero a settanta anni non perché ci si debba cibare dei suoi frutti ma perché, la morte individuale, possa essere ogni volta sconfitta dalla vita che continua. Magari in futuro con un senso di sempre più amorevole gioiosità
La mattina è quella che mi piace di più, sembra che tutto ricominci da capo. (Haruki Murakami)
E se questa mattina ci desse la possibilità di vivere il nostro nuovo, personale “Natale”?
“L’altro giorno, dopo un’intensa giornata lavorativa, mi sono fermato da un fioraio per prendere un pensiero ad una persona che dovevo andare a trovare.
Andavo di fretta, più o meno come sempre.
Perché ormai è uno stile di vita quello di vivere a 100 all’ora, col tempo che sfugge di mano.
La fioraia stava servendo un anziano signore, che indossava delle scarpe marroni, sciupate dal tempo.
Aveva capelli bianchi e tante rughe in viso.
Avrà avuto ottant’anni, forse più.
Era leggermente ricurvo e il suo parlare aveva una progressione lenta, fin troppo lenta.
E alla mia fretta questo non piaceva.
L’anziano sceglieva delle rose a gambo lungo, dispari e rosse.
Per ogni rosa che la fioraia prendeva, lui si accertava che fosse perfetta, che le foglie fossero verdi, che non fosse troppo sbocciata ma nemmeno il contrario.
Una, però, non lo convinceva.
E allora, con mano tremante, decise di scartarla, chiedendo gentilmente di sostituirla.
Scelse personalmente il fiocco più bello per poterle legare tutte insieme.
Erano trascorsi dieci minuti abbondanti, ed io vedevo passare davanti ai miei occhi tutti gli appuntamenti che avevo in quel pomeriggio.
Pensavo alla stanchezza, al ritardo che avrei fatto al mio incontro e agli altri impegni che magari sarebbero saltati per colpa dell’anziano signore.
Improvvisamente, l’uomo, con la solita mano tremante, tirò fuori il portafoglio e con voce gentile, disse: “Le ho fatto perdere tempo, mi scusi, ma ci tenevo che tutto fosse perfetto. È il regalo di Natale per mia moglie”.
La fioraia rispose: “Vedrà che la farà felice”.
L’uomo la guardò ancora: “Ne sono certo. Adesso glielo porto al cimitero”.
Prese le sue rose bellissime, improvvisò un sorriso ed incrociando i miei occhi se ne andò via, per sempre.
Non l’avrei più rivisto.
Ecco, quello che vi auguro per queste feste è di poter amare così.
Che sia un compagno, un amante, un figlio, un amico, un cane.
Vi auguro di amare qualcuno in questo modo.
Ma vi auguro di amarlo di un amore che non ha paura di niente, neppure della stessa morte.
Perché l’amore è per sempre e perché il solo tempo che non torna è quello che si spende a non amare.
Tutto il resto può aspettare”
Cari Lettori, riteniamo che agire bene, nella consapevolezza della nostra precarietà, abbia il fascino di sentirsi collegati con qualcosa che sa di infinito.
Nonostante il peso della vita, entrambi ci consideriamo, ancora come Fiocco Rosso, un cardellino capitato su un’isola bellissima su cui c’era cibo in abbondanza e la vita scorreva tranquilla. Nessuno, però, riusciva a volar via, perché i “guardiani del Popolo” avevano creato una gabbia invalicabile costituita da una rete di parole che dissuadevano chiunque dall’andarsene. Fiocco Rosso, allora, volando di mattino presto, con il sole ancora basso, all’orizzonte, riuscì a trovare l’unico punto in cui non era stato possibile intrecciare le maglie della rete. Fra le parole “Fantasia” e “Libertà”. E, di nuovo, fu padrone del proprio destino.
E, a proposito della voglia di “volare” cari Lettori, vorremmo concludere questa passeggiata di fine anno insieme, nello stesso moco con cui abbiamo “aperto la porta”, con le bellissime melodie di Ezio Bosso e il suo desiderio di (in)seguire gli uccelli, liberi, nell’aria…
FOLLOWING A BIRD
Vorremmo, soltanto, dire ai nostri figli (che sono il nostro futuro): “Ogni anno che passa, ci lascia dentro quel qualcosa che vorremmo poter trasmettere ma che, alla fine, ci resta in gola, come un sospiro inespresso. L’importante, comunque, è che sappiate che vi vogliamo bene. Tanto tanto”.
Buona Vita.
Enzo Ferraro – già Dirigente Scolastico, Letterato, Umanista, Politologo
Giorgio Marchese – Direttore “La Strad@”
Un ringraziamento affettuoso ad Amedeo Occhiuto per la collaborazione offerta
Direttore Responsabile “La Strad@” – Medico Psicoterapeuta – Vicedirettore e Docente di Psicologia Fisiologica, PNEI & Epigenetica c/o la Scuola di Formazione in Psicoterapia ad Indirizzo Dinamico SFPID (Roma/ Bologna) – Presidente NEVERLANDSCARL e NEVERLAND “CAPELLI D’ARGENTO” ETS (a favore di un invecchiamento attivo e a sostegno dei caregiver per la Resilienza nel Dolore Sociale) – Responsabile Progetto SOS Alzheimer realizzato da NEVERLAND “CAPELLI D’ARGENTO” ETS – Responsabile area psicosociale dell’Ambulatorio Popolare (a sostegno dei meno abbienti) nel Centro Storico di Cosenza – Componente “Rete Centro Storico” Cosenza – Giornalista Pubblicista – CTU Tribunale di Cosenza.
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