Eccomi qui, grumo di mastice e sangue topazio, Grida di gioia e indicibile strazio Abbracci e baci d’intorno, Ricomincia ogni giorno. Nuova vita o ritorno? E ogni volta è così… strappo violento e spavento inaudito, fronte bagnata segnata col dito, e poco c’è da sapere: con passo incerto cadere, senza mai darlo a vedere, Riconoscersi in questo sonno confuso e agitato, In questo abbaglio che non c’è mai stato. E i passi portano via. Eccomi qui, soldato semplice e sangue corallo, pelle ferita sottile cristallo e poco c’è da sapere: curarti e darti da bere senza mai darlo a vedere; riconoscersi Soffio, Fuliggine, Pugno di mosche, Giornate limpide e immagini fosche. E i passi portano via”. (Pacifico – Ricomincia ogni giorno).
Questo lavoro ( ideato a seguito di una specifica puntata della serie televisiva “Mente & Dintorni”, portato in gestazione, nelle Marche, durante l’estate del 2011, pubblicato per la prima volta il 2 settembre 2011 e riproposto, adesso, con le aggiunte che il Tempo mi ha “insegnato”) nasce da un’esigenza personale.
Provare ad esprimere la difficoltà del riuscire ad entrare, nella maniera più adeguata, nelle profondità del proprio “io”, per compenetrarsi (e non sembri strano!) con le esigenze personali più intime, quelle che devi scoprire un po’ alla volta, passo dopo passo, dolore dopo dolore, errore dopo errore. Per giungere, se e quando ci riesci, senza alcun atlante per orientarti (anzi, con le cartine sbagliate che trovi in ogni angolo del sociale), a capire l’essenza.
Qualche aspetto della verità, che ti aiuti ad accettare il bello e il brutto della vita… perché tutto ha un senso.
Molte volte ci accorgiamo di alcune incongruenze, impattando con i paradossi dei rapporti di coppia (amanti, fratelli, genitori, figli, intimi colleghi di lavoro, amici, etc.): siamo lì, disponibili all’intesa… eppure, nonostante il nostro tendere la mano, l’altro “svanisce” (forse perché non ci capisce, forse perché non lo capiamo, forse perché siamo fuori tempo o fuori sintonia) come in un sortilegio che ci condanna ad una perenne solitudine. Accade la stessa cosa, anche nel rapporto con noi stessi. Ogni volta che smarriamo la via corretta che ci consente di mantenere il rispetto e la dignità. Ed è più pesante. Perché, a quel punto, la solitudine è insopportabile.
Ma le cose del mondo, spesso, ci spingono a comportamenti illogici e standardizzati. Quante volte, ad esempio, capita di non riuscire a prendere sonno! A quel punto, viene facile decidere di assumere qualcosa che faccia addormentare. Perché ci spiegano che è corretto. Ma ne siamo proprio sicuri? Nel momento in cui, quella parte del nostro cervello (la formazione reticolare ascendente, in prevalenza) deputata all’entrata nel mondo dei sogni, decide di non attivarsi, ci deve essere un motivo. Perché fare finta di niente? E se decidessimo, ogni tanto, di vivere questa esperienza come un “dono” (o una necessità) che ci consenta di stare un po’ in nostra compagnia per raccontarci storie e fatti, come quando eravamo bambini?
Qualcuno obietterà che, l’indomani, saremmo incapaci di affrontare le incombenze quotidiane!
Questo non è così automatico. Anzitutto, l’insonnia è un modo per mandarci a dire che, forse abbiamo esagerato o esagereremo, nel rapporto fra impegni e logicità di condotta esistenziale (quindi, anche tentando di imporci il sonno, andremmo incontro ad una giornata “infame”). Poi, non è mai capitato di aver partecipato a qualche festeggiamento per cui ne valesse la pena e, dopo poche ore di sonno, riattivarsi quasi come una rosa appena sbocciata?
Proviamo a vivere l’esperienza come un’occasione: quella di incontrare l’amico ritrovato!
A ben riflettere, ha un suo fascino, ogni tanto, stare svegli di notte e concedersi, coscientemente, del tempo che, chi “pisola”, non può fare. Il buio ci proietta incubi, è vero, ma ci consente (al riparo da rumori molesti) di creare intuizioni e soluzioni. La notte ha il suo mistero e, forse, è proprio per questo che merita di essere conosciuta a fondo. Come tentò di fare il Sole, in una vecchia storia indiana, riportata in un libro di Tiziano Terzani (Un altro giro di giostra – TEA Ed.)
Un uomo della Terra, va a trovare il Sole.
“Come vanno le cose, laggiù?” gli chiede il grande astro.
“Bene, mio Signore, tutti ti adorano”.
“Tutti? Ma davvero?”
“Beh, Signore… c’è una donna, solo una bellissima donna, che non si rivolge mai a te con devozione”.
“E chi è?”
“Si chiama Notte”.
“E dove vive, questa donna?”
“In India, mio Signore”.
Il Sole, a quel punto molto incuriosito, decide di recarsi velocemente nelle terre dove sa di poterla incontrare. La donna, però, resasi conto del suo arrivo, fugge via, dall’altra parte del mondo. Il Sole la rincorre e lei ritorna in India. Il Sole, allora, si reca in India, ma lei…
Ed è così che, il Sole, continua, ancora oggi, ad inseguire quella bella donna, senza raggiungerla mai.
LADYHAWKE
Il regista Richard Donner, deve essersi ispirato a qualcosa di simile quando ha deciso di girare, nel 1985, Ladyhawke (con Matthew Broderick, Rutger Hauer e Michelle Pfeiffer). Girato interamente in Italia e quasi completamente in Abruzzo, questo film mette in scena il copione del motto che, in fondo, accompagna la nostra vita: sempre insieme, eternamente divisi.
Durante quel periodo alquanto buio che è stato il Medioevo, nel castello d’Aguillon, il piccolo ladro Philippe Gaston (detto il Topo), riesce ad evadere dalle prigioni poco prima della sua esecuzione; durante la fuga, rischia di venire nuovamente catturato dalle guardie del Vescovo ma, in suo aiuto, accorre l’ex capitano Etienne Navarre che, battendosi contro i suoi vecchi soldati, lo porta al sicuro.
Per Phillipe non sarà facile capire che il suo oscuro salvatore è in realtà vittima di una maledizione, scagliata contro di lui e la sua amata, Isabeau d’Anjou, dal malvagio Vescovo. Infatti il corrotto prelato, invaghitosi della giovane e non sopportando l’idea di saperla felice insieme a Navarre, ha fatto un patto col diavolo condannando i due ad una vita infelice, senza la possibilità di incontrarsi: di giorno lei sarà lo splendido falco che Navarre cura e protegge, di notte lui sarà un feroce lupo nero, docile solo alle carezze di Isabeau. Ma Navarre non sopporta più la sorte che lo tormenta ormai da tempo e, in Philippe, riuscito a venir fuori dalle blindatissime prigioni del castello, egli vede l’unica possibilità di aiuto: vuole rientrare in città per uccidere il Vescovo, quindi togliersi la vita, sacrificando anche Isabeau.
In realtà, in un giorno senza la notte e una notte senza il giorno, le cose volgeranno a favore dei due e la maledizione, finalmente, verrà “dissolta”. (Fonte Wikipedia)
Ricomincia ogni giorno (“Dobbiamo vivere, Padre! Ma da esseri umani!”)
Quello cha abbiamo avuto modo di apprezzare in questo video (e, cioè, la maledizione di non potersi mai “incontrare” sul serio) ricorda molto ciò che accade (per Legge di Fisica) nei rapporti d’Amore (anche in quelli migliori) e che è stato descritto nell’articolo “Il sofferto bisogno di Amare”
IL MOMENTO DI COPPIA
Per capire un po’ meglio, come stanno le cose, proviamo a chiedere aiuto a quello che ci dice, la Fisica, a proposito di coppia, a partire dalla definizione: “Sistema di due vettori paralleli di ugual modulo ma di verso opposto, applicati ad un corpo (cioè che girano intorno ad un fulcro).
In buona sostanza, a livello simbolico, una coppia di forze, rappresenta due esseri umani che agiscono, spingendo una immaginaria leva (o “ braccio” che, in base alla vicinanza emotiva e di condivisione, può essere corto o lungo) che ruota su un’asse centrale, determinando il movimento circolare che produce i dinamismi di una vita a due.
LA ROTAZIONE DETERMINA UNA CONDIZIONE ESSENZIALE CHE SI TRASFORMA, A VOLTE, IN UNA SORTA DI MALEDIZIONE…
Infatti, l’azione congiunta di due individui che, per la Fisica, debbono avere la stessa importanza, determina l’attivarsi di un percorso che, in base alla distanza fra i due, avrà una circonferenza variabile. Maggiore è il raggio della circonferenza (la distanza fra i due) minore sarà lo sforzo da sopportare. Maggiore, invece, sarà la fatica, nel caso il raggio dovesse essere minore.
Questo spiega perchè, sempre (ma non più tanto) metaforicamente, più ci avviciniamo come interessi, obiettivi e, di conseguenza, intimità, maggiori saranno gli attriti conflittuali…
Al contrario, più aumentiamo le distanze, minori saranno i problemi di interazione, anche se, poi, rischiamo di perderci. Un po’ alla volta.
Nessuno m’ha mai detto: “Volerai”. Nessuno m’ha promesso: “Non morirai”. Eppur, senz’ali, ho già volato tanto e, ora, senza alcun rimpianto di promesse mancate, di cose incompiute… senza pena aggiunta o tolta, mi preparo a volare un’altra volta (Tiziano Terzani).
“Sai quando si piange? Quando si conosce il bene e non lo si può avere!” (Filumena Marturano). Caro lettore, se hai avuto pazienza e disponibilità, quello che hai osservato poc’anzi nella sequenza (forse la più significativa) di Ladyhawke, rappresenta il miracolo e la maledizione dell’essere umano perché, ciò che hai sentito sulla tua pelle (probabilmente avrai avuto la pelle d’oca) è la metafora della nostra vita: spesso ti rendi conto di essere ad un passo dall’avere ciò per cui hai lottato ma, il tutto, ti sfugge di mano un attimo prima di averlo raggiunto.
Più ti approfondisci nel capire come funzionano le cose, più ti rendi conto di tutto quello che di bello potresti avere e più ti accorgi che arrivi ad un passo e, poi, si dissolve.
Tanti sono i motivi per cui puoi smarrire il filo conduttore di un tuo programma quotidiano (o a medio – lungo termine): le vie traverse che sei costretto a percorrere, le tante frustrazioni contro le quali impatti…
Ecco, se non hai chiaro cosa vuoi fare, non comprenderai adeguatamente il perché delle tue scelte. E faticherai a “ritrovarti”. E, quando accadrà, ti troverai in una posizione diversa. E dovrai ricominciare da capo.
È quello che ci accade, “dentro”, sul piano psicologico o, anche, fisico. Nel momento in cui percepiamo di stare bene (quindi, in equilibrio omeostatico), in realtà sta già accadendo qualcosa che ci crea un’assuefazione, che ci fa consumare le nostre risorse interiori (fisiche e psicologiche). Questo, a ben guardare, è un vantaggio ma è anche un tremendo prezzo da pagare perché dobbiamo subito darci da fare per avere qualcos’altro di più remunerativo dal punto di vista proprio della gratificazione… e ritrovarci su piani diversi perché, quando saremo riusciti a ricostruire un equilibrio, saremo migliori rispetto a prima e dovremo prepararci a ricominciare “il giro” senza sapere dove ci porterà la strada: dovremo sapere soltanto che, in qualche modo, ce la faremo.
E ricomincia ogni giorno.
Dopo alcune belle sequenze, un’altra bella immagine: due piedini in due mani protettive: nulla di meglio per dare valore ad un miracolo, quello della Nascita che, come per il Sole, (sulla destra dell’immagine) si rinnova ogni volta che ti scopri a bearti di fronte a simili meraviglie della Natura. Però se, per caso, dai per scontata la presenza di un figlio, ecco che, come un sortilegio, quel fagottino fra le mani, diventa un pacco ingombrante, che limita la tua libertà e che, forse, vorresti “restituire”…
E scopri con disappunto che, il Sole sulla destra, altro non è che la Luna di una notte che diventa, via via, sempre più profonda.
Niente è un miracolo, tutto è scontato. Ma quante volte, ognuno di noi, è portato a lasciarsi andare? Io ricordo che, mentre studiavo la Biochimica (uno dei primi esami del secondo anno della facoltà di Medicina), mi lamentavo moltissimo del fatto che non riuscissi a capire il perché mi dovessi approfondire in elementi tanto tecnici e, apparentemente, così lontani dalla mia futura professione di medico (la chimica, appunto). E mi “ostacolavo” sulla prosecuzione degli studi, attraverso vittimismi di ogni genere!
A distanza di tanti anni (quasi quaranta), ogni giorno che passa, mi rendo conto, invece, di quale importanza potesse rivestire quell’argomento. Praticamente, basta che tu cambi un piccolissimo elemento di una sostanza (ma veramente piccolo), quest’ultima si trasformerà in un’altra sostanza perché, quel piccolo elemento contiene vita che produrrà vita diversa, che contribuirà, comunque, al mantenimento o all’estinzione di una specie vivente.
Tutto è vita, allora, nel momento in cui noi guardiamo il nostro televisore (o il monitor di un computer), parliamo di fronte ad una telecamera, ci rivolgiamo ad un amico, o dialoghiamo con noi stessi, ci lamentiamo di tutto quello che non va, oppure esprimiamo soddisfazione nei confronti di quello che ci piace. La normalità di una vita che scorre, come se nulla fosse, in un quadro di ovvietà.
Ma, in realtà, che cosa sta accadendo in quel momento?
Un sacco di reazioni, di passaggi di piccole particelle, trasferimenti di informazioni fanno si che, per esempio, la nostra mano rimanga tale (nella forma e nella sostanza) qualsiasi cosa accada. Eppure, se potessimo osservare questo particolare anatomico a grandissima risoluzione (a livello sub atomico, per esempio), scopriremmo che non stiamo parlando di una struttura solida ma, semmai, di una massa in movimento che, alla stregua di uno sciame d’api intorno ad un alveare, mantiene una determinata “forma” mentre potrebbe assumerne qualsiasi altra (creando deformazioni mostruose, in un attimo).
Costellazioni di atomi con, dentro, interi sistemi solari che generano movimento di microparticelle a velocità prossime a quelle della luce (trecentomila chilometri al secondo). Poi, osservandolo coi nostri occhi, questo “mondo” in movimento continuo, “riprende” la forma della nostra mano. Un comune arto, simile a quello di miliardi di altre persone… per quanto possiamo non considerare importante tutto ciò… ecco, questo è uno dei grandi miracoli della vita, rappresentato dal fatto che, evidentemente, c’è un programma, da qualche parte qui dentro, che dice a quegli atomi: “Signori, per quanta libertà di movimento vi sia stata concessa, dal Big Bang in avanti, voi dovrete mantenere la forma di questa mano!”
La nostra vita: Un tentativo di decollo, in presenza di frequenti tifoni…
Come dicevano i saggi antichi, “Ogni conoscenza, è una CoNascenza…”. Ecco che, se impariamo e riflettiamo, scopriamo che, in presenza di quelle forti tempeste che prendono vari nomi (Tornado, tromba d’aria, tifone, etc.) il vorticoso soffiare del vento, prende spunto da un fulcro centrale in cui, per forza di cose, la turbolenza è pari a zero. Il famoso Occhio del Ciclone.
Di conseguenza, basta attendere e sapersi posizionare al centro del “problema” e (a condizione di conoscere bene se st0essi, quindi, il “vettore”, e le risorse di cui disporre) dando fondo a tutta la potenza di cui si dispone, decollare uscendo attraverso il centro del “Cono”!
Da quel momento in avanti, ci si troverà a pilotare un aereo, dovendo centellinare il carburante a disposizione (perchè, scopriremo le mete, andando avanti nel volo). Allora si procederà riducendo il gas fino a quando il velivolo si avvicinerà alla velocità di stallo (in pratica si tirerà il fiato fino a quando si potrà) per, poi, riaccelerare anche perché, se non si viaggia in maniera adeguata all’interesse di chi ci sta intorno, finiremo col non avere più interlocutori.
In pratica, ci si troverà nella condizione paradossale riportata nel riquadro a destra dell’immagine: su una corda tesa nel vuoto, diretta verso l’ignoto e senza la possibilità di usufruire del giusto equipaggiamento!
Lummi non era un’isola particolarmente bella ma, un gruppo di giovani ambientalisti erano riusciti a salvare le sue grandi foreste di cedri centenari, a impedire che la terra venisse lottizzata e a far sì che il paesaggio mantenesse una sua aspra naturalezza. Quel che non avevano potuto salvare era il panorama umano e, con quello, l’America tornò a colpirmi.
Gli abitanti originari dell’isola, i pellerossa, non esistevano più, quelli venuti dopo di loro erano quasi tutti ripartiti e la popolazione era, ora, un’angosciante collezione di neoimmigrati: donne e uomini soli alla ricerca di felicità: omosessuali divorziati, vecchie miliardarie californiane che vivevano con pescatori di decenni più giovani di loro, barbuti ecologisti di Los Angeles improvvisati boscaioli e vari “artisti”. Tutti col loro pick-up truck, il furgoncino col quale erano arrivati portandosi i resti di una qualche esistenza altrove e col quale erano pronti a ripartire rimettendo dentro, quel poco che sarebbe loro rimasto dell’esistenza lì.
Quel furgoncino col cassone posteriore aperto, che vedevo davanti a ogni casa, divenne, per me, il simbolo dell’America in cui nessuno vive nel posto in cui è nato o muore dove è vissuto, in cui tutti sono indipendenti e sconosciuti in mezzo ad altri indipendenti e sconosciuti coi quali, per un breve periodo di tempo, giocano ad essere in grande intimità. Il costante, inquieto muoversi degli americani, il loro sentirsi senza limiti in un paese immenso crea, certo, quella sensazione di libertà che è alla base del mito americano. Ma anche tanta infelicità, mi pareva.
Spesso, davanti a una casa, notavo due furgoncini: uno per lui, uno per lei;ognuno dei due pronto ad andarsene in ogni momento. Un marito, una moglie, un amante non va più? Un posto diventa troppo stretto? Si mette tutto nel furgone, i resti del fallimento, la cassetta degli arnesi, qualche vestito e si riparte per un altro posto, un’altra isola, un’altra città dove si ricomincia tutto da capo: a lavorare, a fare l’amore, a “dire” di avere amici.
La Società del furgone non garantisce nulla, tranne la possibilità di scappare. Che differenza dal mondo della mia infanzia quando, pur poveri, tutti avevano ancora la famiglia, il mestiere, le amicizie su cui contare e in cui impegnarsi! La gente viveva e lavorava in un contesto sociale che era fatto di storia. Gli artigiani fiorentini traevano orgoglio e sicurezza dall’essere radicati, spesso da generazioni, nella stessa bottega, nello stesso quartiere. Anche questo è cambiato nel corso della mia vita e oggi, anche da noi, parole come “mobilità” e “flessibilità” vengono usate per mascherare la nuova situazione economica in cui, sempre meno giovani, hanno un lavoro fisso o la possibilità di scegliersi l’arte o il mestiere verso cui si sentono portati.
Anche da noi, ormai, l’insicurezza è presentata come una forma di libertà. Una falsa libertà. Non siamo ancora arrivati alla logica del furgone, ma la tendenza è quella perché, anche da noi, l’incertezza aumenta su tutti i fronti e i rapporti umani (da quelli di lavoro a quelli affettivi) si fanno sempre più instabili e meno impegnativi. La soluzione? Alcuni aspettano che cada dal cielo! (Tiziano Terzani – Un altro giro di giostra – Tea Ed.)
Di “profilo” diverso, invece, la filosofia di vita proposta da Cesare Pavese. Anche in questo caso, si parla di (ri)cominciare. Però, in ottica più costruttiva.
Il contadino che, nell’immagine, nonostante l’età, ci mostra e ci dimostra che bisogna darsi da fare, bisogna arare, bisogna zappare, bisogna seminare, nell’attesa di un raccolto che, forse, non vedrà.
Ma il bello è proprio questo: cominciare, o ricominciare.
Se fai progetti a breve termine, semina il grano… vivrai bene per un anno. Se il tuo pensiero va un po’ più in là, pianta un albero…ne usufruiranno i tuoi figli. Se, invece, chiudendo gli occhi, sei in grado di vedere un futuro migliore… allora istruisci un popolo!
“Cominciare” è l’inizio di una nuova storia di cui tu finalmente sei il protagonista, lo sceneggiatore, il regista, colui che cura ogni dettaglio, colui, o colei, che si mette in condizione di scrivere qualcosa per poi interpretarla. Certo, il fastidio che proviamo e il prezzo che pagano gli altri è che noi vorremmo dettare le condizioni, d’altronde è la “nostra” storia ma, maturità vuole, che ci rendiamo conto del fatto che quelle che noi riteniamo essere comparse, in realtà, nella loro mente, sono attori principali che vengono incontro a noi con la “loro” storia. E sono tante storie che si incontrano; non sempre si andranno ad integrare: l’importante è cominciare, provare e riprovare, capire dagli errori e andare oltre.
UN MEDICO, UN UOMO
Un medico, un uomo (titolo originale “The doctor”) è un film del 1991, diretto dal regista Randa Haines.
Jack McKee, un brillante e spregiudicato chirurgo quarantenne, opera non lesinando ironia e sarcasmo, sia ai suoi pazienti che ai propri colleghi e assistenti, anche nel momenti più drammatici di un intervento, in sala operatooria. Quando si accorge di avere un tumore alla gola diviene, suo malgrado, un paziente e deve subire il peso del “potere” sanitario e medico: analisi fastidiose, supponenza ed arroganza dei colleghi, intralci burocratici ed errori sanitari.
Tuttavia, questa tremenda esperienza, gli serve per scoprire i valori umani e la solidarietà tra malati. Fra questi, spicca la giovane June Ellis, la quale ha avuto la diagnosi di tumore cerebrale in ritardo per colpa dell’assicurazione, che non le ha consentito l’unico esame in grado di diagnosticarlo in tempo, perchè troppo costoso. Nonostante sappia di essere “condannata”, la donna ha una grande forza d’animo e un atteggiamento positivo verso la vita ma, soprattutto, verso il prossimo.
Jack è sposato con Anne e, da tempo, il dialogo tra i due è ridotto a rituali abitudinari e privi di un coinvolgimento frutto di veri obiettivi comuni. Entrambi sono molto impegnati nei rispettivi ambiti professionali e la nuova situazione li costringe ad avvicinarsi ma, a quelle condizioni, un’invisibile barriera sembra sempre frapporsi alla linearità e all’armonia del loro dialogo. Tra l’altro, Anne soffre l’amicizia tra Jack e June, anche perchè riconosce, fra loro due, la sintonia che, invece, manca fra lei e il marito.
Costretto ad operarsi per il proliferare del tumore, Jack decide di troncare il rapporto con la gelida otorino che lo ha in cura ed affidarsi ad un collega rivale, l’ebreo Eli Blumfield, col quale ha avuto dissapori in passato, ma che ora vede in una luce ben diversa. Sarà Blumfield ad operarlo ed a salvarlo.
June muore ma lascia a Jack una lettera con un apologo, in cui lo invita ad aprirsi sinceramente al prossimo, se vorrà essere veramente felice. Il nuovo Jack, oltre alla voce (persa, a seguio dell’intervento alla laringe), ritrova il rapporto con la moglie e torna, con una profonda umanità, al suo lavoro, che non vede più come esercizio di potere e soldi ma, semmai, come strumento per aiutare chi soffre. (Fonte Wikipedia)
Abbiamo pensato di selezionare le scene più significative, in grado di sintetizzare lo spirito del racconto e dividerle in quattro capitoli:
- L’arroganza
- La malattia
- La trasformazione
- La rinascita
Parte prima – L’arroganza.
“E’ incredibile! Ha pubblicato un saggio: Dialogare con i pazienti sotto anestesia. io lo considero la mia Bibbia. Quello comunque crede veramente che sentano tutto!”
– “Perché io non parlo con te?”
– “Io almeno fingo di sentirti! Ciao! Mangiamo?”
– “Non lo so, ho da fare!”
– “Che cos’hai nella gola? Eh! Senti, Pit vuole mettere un bypass a quel cuoco! Come si chiama? Grulm, Grum, …….. ha un un cuore come un dirigibile. Anni sessantacinque, centoventi chili, due infarti e trenta sigarette al giorno”
– “Sta messo bene allora!”
– “E’ uno che, tra sei mesi crepa e ci rovina la media. Ciao!”
– ” Ciao! Salve dottore!”
– “Ciao ……! Ci vediamo!”
– “Brutto ipocrita!”
– “Qua, qua! In bocca al lupo!”
– “Da quanto è che hai questa gola?”
– “Da tutta la vita! Non lo so… un paio… è già un po’!”
– “Beh! Io non vedo niente! Si, un po’ di gonfiore, un po’ di infiammazione ma niente di preoccupante. Hai fatto qualche aerosol? Si o no?”
– “No, niente!”
– “Niente, eh? Ecco perché ti da fastidio! Ma sei venuto a farmi perdere tempo?”
– “Lo sai come sono le mogli dei medici, no?”
– “Altroché se lo so! Vuoi consultare qualcun altro?”
– “No! Hai ragione dovrei fare l’aerosol!”
– “Ti prescrivo un po’ di antibiotici, ma dovrai chiamare tua moglie e ordinare di coccolarti! Ecco, tieni!”
– “Grazie!”
– “Come ve la passate, voi prime donne?”
– “Li stendiamo tutti!”
– “Salve! Come andiamo?”
– “Bene, grazie!”
– “Scusi se l’ho fatta aspettare. Una giornataccia! L’hanno trattata bene?”
– “Si, grazie!
– “Le ha fatto male?”
– “Beh, un po’! Si!”
– “Ok! Ah si! Si sta rimarginando bene! Adesso togliamo i punti. Contenta?”
– “Dottore! Mio marito è un brav’uomo e mi vuole bene. Ecco, io credo che sia un po’ preoccupato. Questa cicatrice sarà sempre così?”
– “Dica a suo marito che sembrerà il paginone di Playboy, ha addirittura le graffette!”
– “Ciao”
– “Ciao, ma questo è un furgoncino! È venuto il muratore o sbaglio?”
-“E’ venuto!”
– “Ah! ma è un miracolo! Hanno cominciato?”
– “Già! Hanno cominciato a sfasciare tutto!”
– “Anne, tesoro! Ti tolgono la vecchia cucina e te ne mettono una nuova senza farti sentire niente. Ti puoi fidare di me: faccio il chirurgo. Tutto a posto per stasera?”
– “Beh, ho un po’ di paura ma me la caverò!”
– “E perché hai paura?”
– “Ah, non lo so! In fondo che ci vuole a parlare di fronte a duecento persone?”
– “Non devi parlare tu, parlo io! Tu devi solo sedermi accanto ed essere bellissima!”
– “No! Devo parlare io! No, frena, frena, stiamo parlando della stessa cosa? Jack! La riunione dei genitori! Oh no! No, Jack! Te ne sei dimenticato anche quest’anno! E ti domandi perché i ragazzi mi chiamano signorina? Oh! Sei un vero disastro!”
Perdersi per poi ritrovarsi. L’arroganza di un uomo che riveste un ruolo sociale molto alto: è un medico, è un chirurgo di un famoso ospedale americano. Che cosa possiamo notare? Probabilmente quello che ognuno si porta dentro: il bisogno di ostentare, per paura. Una forma di reazione, insomma, che fa arrogare (in questo caso, come medico) il diritto di scegliere, il diritto di esercitare il potere (quello che la Società riconosce, per gli studi effettuati).
Il punto è questo: quest’uomo, questo dottore, che poi scoprirà di essere un uomo (e soltanto un uomo), esercita senza rispetto. Tale condotta, è motivata (anche se non giustificata) dal bisogno di esorcizzare la paura della morte, la paura della sofferenza, la paura di non farcela, la paura del fallimento. Non dimentichiamo, infatti, che stiamo parlando di un chirurgo che, in quanto tale, quando ha sotto le proprie mani, sotto i propri ferri qualcuno per cui il lavoro che sta facendo potrà essere fondamentale, sente il peso dello stress e delle responsabilità!
Quindi, la paura di sbagliare (e, di perdersi) c’è!
E allora, probabilmente uno dei modi per non pensarci, per tenerla lontano, per non usurarsi (perché altrimenti si finirebbe con il lasciare quel lavoro piuttosto velocemente), è quello di diventare ironici, sarcastici, proprio per svilire inconsapevolmente il valore di una vita.
In questo modo si gioca come con i dadi senza che tu scommetta granché o, quantomeno, con i soldi degli altri.
E, in effetti, tu stai scommettendo con la vita degli altri.
Ma è un errore, perché in realtà tu fai i conti anche con la “tua” vita, perché ogni volta che non ti sentirai soddisfatto del tuo comportamento avrai fatto un altro graffio alla tua coscienza. E allora, ecco spiegato il perché della sua risposta alla signora che chiede: “Ma la mia cicatrice resterà così evidente?”
È chiaro che lui, come medico, avrebbe dovuto rispondere: “Ma ti ho impiantato un cuore nuovo, la tua esistenza si sarebbe dovuta fermare e, invece, sei qui e, addirittura, ti senti talmente in vita da voler essere piacevole per tuo marito e per te stessa. Ma di cosa ti lamenti?”
Ma tutto questo non ha avuto il tempo, il modo e la possibilità di pensarlo… per cui ha concluso con una battuta quantomeno infelice: “Dica a suo marito che sembrerà il paginone di playboy; ha i anche i segni delle graffette, come piercing”. E questo, senza curarsi più di tanto dell’espressione di imbarazzo della signora. Ma, in fondo, non potrebbe essere diversamente perché, altrimenti, ogni volta che affonderebbe quel bisturi nelle carni di qualcuno, si domanderebbe:
“Sto facendo la cosa giusta?”
E allora, per evitare questo stillicidio, il risultato è quello che vediamo e sentiamo… ma corrode, corrode tutto quello che fai e vedremo, poi, in cosa si trasformerà.
Questa è un’affermazione molto, molto delicata e si riaggancia a quanto emerso finora. La vita di un uomo, è una via verso se stesso, per cercare di capire chi è questo se stesso, per provare a ritrovarsi dopo essersi perso, perché siamo complessi e non ci hanno dato il libretto di istruzioni e dobbiamo “assemblarlo” avendo a disposizione un taccuino e una matita spuntata: potremo prendere degli appunti che il tempo cancellerà, quindi li dobbiamo rinnovare e, ogni volta che li riscriviamo, scopriremo di aver aggiunto qualcosa. E la nostra vita scorre così, l’accenno di un sentiero, il tentativo di qualcosa, una via verso se stesso; un impegno, insomma!
Per alcuni diventa una fatica, per altri avrà senso, per altri no!
Anche quando soffriamo, perché svilirlo? Combattiamo, contestiamo, spingiamo, ma è un peccato lasciarsi andare. Eppure, se dovessimo farlo, pazienza! Purché sia una scelta dettata da motivi concreti. E poi staremo a vedere cos’altro accadrà!
In questo “quadro” di Salvador Dalì… farfalle che faranno muovere dei meccanismi che produrranno lavoro e farina: pane per chi ha fame. “Quando soffia il vento del cambiamento, alcuni costruiscono muri, altri mulini a vento.”
Beh! Che cosa possiamo intendere?
Ad esempio, la differenza che passa, spesso, fra il Nord e il Sud del mondo. Nei paesi dove probabilmente si sono adattati meglio alle intemperie, quelli del Nord, sono riusciti a sopravvivere, sono riusciti a fare qualcosa che poi li ha proiettati verso risultati interessanti.
Evidentemente, un po’ più a Sud, si è stati “posizionati” meglio, dalle condizioni e dalle circostanze casuali: un ambiente molto più dolce, molto più temperato. E questo ha portato a concludere che, qualsiasi condizione avversa, poi diventa un problema perché non si è allenati abbastanza e allora, quando cambia qualcosa, spesso finisce che ci si arrocca nel difendere ciò che legittimamente si ritiene essere degli interessi, non riuscendo a cogliere l’occasione del nuovo.
Questo, ovviamente, è un errore perché, invece, tutto cambia, altrimenti non esiste vita. Tutto è movimento. Inutile erigere “muri”: è innaturale. Difenderemo delle posizioni che, di per sé, non vanno difese: vanno capite, vanno amate, vanno cambiate in meglio o in peggio ma, comunque, trasformate, perché è da lì che continua quel miracolo che dobbiamo vivere a pieno.
The doctor parte 2 – La malattia
– “Salve! Scusi il ritardo ma è una giornataccia!”
– “Jack McKee!”
– “Ah si, lo so! Si sieda!”
– “Certo!”
– “Allora! qual è il problema?”
– “Come? Niente, voglio dire ho una tossetta, un po’ di raucedine.”
– “Allora, diamo un’occhiata! Apra! Questo è un po’ amaro! Di più! Deve tenerla! Con la mano! Testa in avanti e apra! Dica: ehhhhh!”
– “Ehhhhhhh!”
– “Grazie! Basta così! Dottore! Lei ha un Tumore!”
– “Che cosa?”
– “Un tumore alla laringe, qui sulla corda vocale!”
– “Lo so dov’è la laringe!”
– “Ora controllo con la mia segretaria. Possibilmente vorrei fare una biopsia domani. È d’accordo?”
– “Beh! Grazie.”
– “Si figuri!”
– “Ma che ci faccio io seduto qui come un comune mortale! Scusi! Senta!”
– “Nome?”
– “Dottor McKee !”
– “Nome di battesimo!”
– “Jack!”
– “E’ evidente che non le risulta ma, lavoro come chirurgo in questo ospedale da undici anni!”
– “Allora saprà come si riempie un modulo!”
– “Siamo seduti lì da venti minuti, perché quella non ce li ha dati quando siamo arrivati?”
– “Già! Avrebbe dovuto!”
– “La prima volta sotto i ferri? Scommetto che non sai cosa ti sta succedendo! Dico bene? Non ti preoccupare, non lo sanno neanche loro! Il mio dottore, quel figlio di puttana, mi racconta un sacco di balle.”
– “Il chirurgo!”
– “E’ toccato anche a te?”
“Già!”
Parafrasando un vecchio detto, potremmo concludere che, prima, era un dottore “solo”, mentre, ora, è “solo” un uomo che impatta contro quello cui non era preparato, che temeva e da cui tentava di fuggire (con il suo sarcasmo, appunto) fin dagli studi universitari. Fin dalle prime battute di questa sequenza, si accorge di cosa significa sentirsi dire:
“Scusi il ritardo ma è stata una giornataccia!”
la stessa affermazione che lui usava nei confronti dei propri pazienti, questa volta, è toccato a lui! Per te, è stata una giornataccia. Ma perché, per me, no? Io che cosa ho fatto fino ad ora? Io ti sto aspettando per sapere cosa ne sarà della mia vita, quanto meno della mia salute!
Cosa si prova ad essere “violentato”?
In fondo, è stata soltanto un’esplorazione con un apparecchio ultramoderno. Però, senza rispetto dei modi e dei tempi fisiologici: l’otorino gli spruzza in bocca l’anestetico, gli tasta i denti (come si fa con i cavalli), lo “esplora” e poi, brutalmente, distaccatamente:
“Dottore, lei ha il cancro!”
Si, d’accordo, la verità bisogna dirla soprattutto per prepararsi… ma con un po’ di partecipazione. Non è che devi metterti a piangere accanto a lui, perché tra l’altro non gli daresti speranza, però… non stiamo parlando di patate al mercato (per quanto anche le patate al mercato hanno la loro dignità!). E che cosa potrà rispondere, lui, il dott. Mc Kee?
Grazie!
Ma è stravolto. Perché? Perché è stato rivoltato come un calzino, probabilmente come lui avrà fatto con tanti altri suoi pazienti. “Che ci faccio seduto qui come un comune mortale?” E ringrazia il tuo Dio (se ci credi) che non sei ancora morto! Anche se hai scoperto che, in fondo, non sei che un comune mortale, impara ad apprezzare meglio ciò che resta del tuo tempo, non lo sprecare con inutili rappresentazioni di arroganza.
È toccato anche a te! Già!
Certe cose (direttamente o indirettamente), prima o poi toccano a tutti: sapremo affrontarle? Se ci riflettiamo, si! Anche perché, molte volte, ci possiamo domandare: “Da cosa è dipeso? Che cosa non ha funzionato? Come posso fare per aiutare la scienza ad aiutarmi? Ecco! Sono pronto!” Sosteneva un saggio del passato che, quando ci comunicano che siamo malati, possiamo fare due cose:
Prepararci a soffrire da rassegnati, o lottare!
Seduto sulla spiaggia deserta cerco di concentrare la mia mente su un vecchio detto indiano che nel dormiveglia mi è entrato in testa e non se ne va: “L’uomo dice che il tempo passa. Il tempo dice che l’uomo passa” (Tiziano Terzani).
Ricomincia ogni giorno!
Noi non abbiamo tregua perché siamo come i motori di una grande fabbrica. Una di quelle che non chiudono neanche di notte perché il ciclo produttivo non può fermarsi. Struggersi, significa vivere con passione. Combattere, lottare, soffrire e ricominciare, perché è questo che ci tocca ma, la vita non è solo sofferenza anzi, tutt’altro! La sofferenza ci serve a smuoverci da una posizione stanziale. Ed è a queste condizioni (e secondo questi principi e parametri) che troveremo la spinta per cercare qualcos’altro che, però, non serve se poi non ce lo godiamo. Eppure, dovremmo godercelo mentre pensiamo di farlo, quando lo facciamo e nel ricordo di ciò che è stato che ci spingerà a sua volta a cercare qualcos’altro di meglio.
Quindi, tutto quello che ci suggerisce Tolstoj va bene: l’importante è godere passo, passo anche quando le cose non vanno bene. Proviamo a domandarci: “Ora come me la cavo? Dai, su! Voglio vedere!”
E te lo godi mentre ti osservi.
Un pomeriggio curiosando in un vecchio edificio, arrivai per una scaletta di legno in una grande stanza vuota. Il pavimento era coperto da un telone sul quale era dipinto in bianco e viola un labirinto. Era ovviamente fatto per camminarci sopra. Mi tolsi i sandali e a piedi nudi, passo, passo, sbadigliando, tornando indietro e ripartendo, lentamente riuscii ad arrivare al centro. Ero solo. C’era silenzio e provai una bella sensazione. Ci tornai un paio di volte. Mi piaceva. C’era qualcosa di magico in quel perdersi e ritrovarsi, sempre puntando verso il centro (Tiziano Terzani – Un altro giro di giostra – Tea Ed.)
The doctor parte terza – La trasformazione
– “Signor Maris, ha qualche domanda?”
– “Sa dottore, mi sembra così strano, c’è qualcuno che ora è vivo, fa la sua vita… poi gli succede una cosa terribile e muore! Io prendo il suo cuore. È a questo che pensavo!”
– “Già! Senta, aspettiamo! Forse ci vorrà un bel po’ prima di poter avere un cuore adatto.
– “Lo So!”
– “Signor Maris è sempre una buona idea sistemare le proprie cose!”
– “Le mie cose sono già sistemate!”
– “Bene!”
– “Io ho grande fiducia in lei!”
– “Ok!”
– “Grazie!”
– Sono venuta qua su quando si sono decisi a diagnosticarmi il tumore. Avevo pensato di fare un bel tuffo da qui. Dio! Ero così…! Mi sentivo come se mi stessero spellando viva. Capisci? Ho urlato, ho urlato, fino a non… C’era un piccione appollaiato proprio lì, se ne stava a guardarmi e pareva che dicesse: “Signorina, qual è il suo problema?” E allora ho riso, mi sentivo così stupida che sono scoppiata a ridere. Sai una cosa? Credo che fosse un angelo. Coraggio, urla pure, non può sentirti nessuno!
– “Non mi va di urlare!”
– “Allora buttati di sotto!”
– “Non mi va di buttarmi!!
– “Allora combatti! Combatti! Ma tu, puoi lasciare tutto e andartene così?”
– “Ho deciso che il mio tumore mi concede delle libertà che non mi ero concesso prima.”
“Signorina qual è il suo problema?” “Sto morendo!” “Ma questo non è un problema!”
Dietro alle battute più significative, possiamo immaginare questo tipo di dialogo. “Perché non è un problema?”- “Ma perché lei finora non ha vissuto: ha solo sprecato la sua vita. Ora che sa che le sta sfuggendo di mano… ecco, provi a porre rimedio!” “Come?” “Come dice il suo amico, che, finalmente, ha capito: Il mio tumore mi concede delle libertà che prima non mi ero mai preso”.
Questa è vita!
E allora, forse, il tutto, va osservato da angolazioni diverse, rendendosi conto di quale senso dare a ciò che hai. Di solito quando ci pongono la domanda “Per te qual è la cosa più importante?” si risponde “La salute!”
Beh, è un errore!
Perché se poi non sai cosa fartene, della tua salute, diventa una condanna. Perché sei condannato a vivere senza neanche poterti lamentare, visto che stai in salute. E quante volte ci dicono: “Ma che ti manca? Hai la salute, hai dei beni materiali, hai una famiglia, hai gente che ti vuole bene… e su! E ti lamenti! Ma che ti manca?”
“Mi manca il senso, questo mi manca, mi sono perso e non riesco a ritrovarmi e ogni giorno ricomincia questa storia, ma non riesco a ritrovarmi! Quindi ogni giorno mi perdo. Però, se mi perdo, vuol dire che da qualche parte comincio: altrimenti, come faccio a perdermi? E allora vuol dire che, forse, io avevo raggiunto una condizione adeguata, a cui non ho saputo dare importanza”.
“Di che cosa hai bisogno?” – si ripeteva – “Di che cosa? Di non soffrire. Di vivere” rispondeva a se stesso. E di nuovo si abbandonò all’ascolto con tale tensione che neppure il dolore lo distolse. “Vivere? Come vivere?” – Chiedeva la voce all’anima -“Sì, vivere come vivevo prima: bene, piacevolmente” – “Perché, prima vivevi bene e piacevolmente?” – chiedeva la voce. Egli cominciò a passare in rassegna i minuti migliori della sua piacevole vita. Ma stranamente quei minuti ora non gli apparivano più tali. Nessuno, tranne i primi ricordi dell’infanzia. Proprio lì, nell’infanzia, c’era qualcosa di davvero piacevole con cui avrebbe potuto vivere, se solo fosse tornato indietro.
“Forse non ho vissuto come dovevo” gli venne in mente all’improvviso (La morte di Ivan IL’Ic – Lev Nikolaeviè Tolstoj).
E allora, proviamo, su, diamo un significato a quello che siamo e che facciamo!
Quattro, sono le domande importanti della vita:
- Cosa è sacro;
- Di cosa è fatto lo spirito;
- Per cosa vale la pena vivere;
- Per cosa vale la pena morire.
Il minimo comune multiplo, è l’Amore”.(Don Juan de Marco – Maestro d’amore)
Quanto è bello aver visto la scena in cui il cuoco (quello di centoventi chili che fuma trenta sigarette al giorno, quello che il chirurgo non voleva operare perché lo riteneva inutile) abbraccia il “suo” amico dottore: “Io ho fiducia in te!”
E lui, il dottore, questa volta, non ha risposto in maniera sarcastica: è rimasto spiazzato! Finalmente si è vista la sua difficoltà, la difficoltà che ha sempre avuto, solo che ora si rende conto di cosa significa non rispettare il dolore altrui; perché, quando soffri diventi, di diritto, una persona con maggiore sensibilità e onore. Soprattutto se, quello che stai provando, lo porti con dignità, perché darà l’esempio agli altri di come comportarsi nei momenti difficili.
Eknath Easwaran, un mistico indiano morto nel 1999, che per quarant’anni ha insegnato prima letteratura inglese poi meditazione all’Università di Berkley, raccontava come sua nonna, che era stata la sua guida spirituale, gli aveva dato una semplice, ma importante lezione. Quando, ancora bambino, era rimasto colpito dalla morte di un familiare, lei lo aveva fatto sedere su una grande sedia di legno e gli aveva detto di reggersi a quella con tutte le sue forze. Lui s’era aggrappato ai braccioli, ma lei era riuscita lo stesso a strapparlo via. Nel resistere lui aveva sentito male. La nonna gli aveva poi chiesto di sedersi di nuovo, ma questa volta senza fare inutile resistenza. Anzi, l’invito fu di essere composto e dignitoso. Lei lo aveva, allora tolto dalla sedia gentilmente, prendendolo in braccio. “Così avviene con la morte. Sta a te scegliere come vuoi andartene. Ricordatelo”. (Tiziano Terzani – Un altro giro di giostra – Tea Ed.)
The doctor – Parte quarta – La rinascita
– “Mi scusi, non può entrare! Il dottor Mac Kee sta venendo di là! È meglio che esca!”
– “Dottor Mac Kee! Che cosa vuole?”
– “Ha un minuto?”
– “Come vede, ho la sala piena di pazienti!”
– “Meno uno!”
– “Cosa?”
– “Dico, ne ha uno di meno di pazienti! Io me ne vado!”
– “Vede dottore, io, io lo so come deve sentirsi!”
– “E’ questo il problema! Lei non ha la minima idea di come mi sento!”
– “Sarà opportuno continuare la conversazione un’altra volta!”
– “Secondo me, farebbe meglio a cambiare atteggiamento, dottoressa! Perché oggi sono malato io, domani, o tra sei mesi, o tra vent’anni toccherà a lei. Ogni medico diventa paziente, è una cosa naturale e allora sarà dura, come lo è per me!”
– “Sono io! Sono Jack! Sono venuto da te ieri sera a farti stancare. Sai la mia operazione è domani e da bravo egoista speravo che tu fossi lì ad aiutarmi. Oh June! Sapessi che paura sento dentro! Dico la verità! Me lo hai insegnato tu. La verità!”
– “Ciao Bob!”
– “Ciao Jack!”
– “Jack! Che piacere! Come va?”
– “Bene, grazie!”
– “Allora, il cuore per lei arriverà a momenti, lo portano da New York! Da dove vengono tutte le cose migliori!”
“L’elicottero è atterrato, quindici minuti, dottore!”
“Grazie, Nancy!”
“Arturo! Ci siamo! È un cuore generoso!”
“C’era una volta un contadino, che aveva tanti campi e teneva lontani dal suo raccolto tutti gli uccelli e gli altri animali con trappole e steccati; ci riusciva benissimo ma si sentiva molto solo… così, un giorno si mise in mezzo al campo per dare il benvenuto agli animali. Rimase lì dall’alba al tramonto, con le braccia spalancate, a chiamarli… ma non arrivò un solo animale, non una sola creatura vivente, erano tutti terrorizzati, naturalmente, dal nuovo spaventapasseri del contadino. Caro Jack cerca di abbassare le braccia e verremo tutti da te!”
Abbassare le braccia. Già! la vita, in fondo, è un incontro /scontro fra braccia che si cercano ma, spesso si fanno male…. ho ricevuto una mail interessante. Pare che siano riflessioni di Charlie Chaplin. Apparentemente, c’è la soluzione. Andiamo a leggerla!
“Quando ho cominciato ad amarmi davvero, mi sono reso conto che la sofferenza e il dolore emozionali sono solo un avvertimento che mi dice di non vivere contro la mia verità; Oggi, so che questo si chiama AUTENTICITA’.
..ho capito com’ è imbarazzante aver voluto imporre a qualcuno i miei desideri, pur sapendo che i tempi non erano maturi e la persona non era pronta, anche se quella persona ero io. Oggi so che questo si chiama RISPETTO PER SE STESSI.
..ho smesso di desiderare un’altra vita e mi sono accorto che tutto ciò che mi circonda é un invito a crescere. Oggi so che questo si chiama MATURITA’.
..ho capito di trovarmi sempre ed in ogni occasione al posto giusto nel momento giusto e che tutto quello che succede va bene. Da allora ho potuto stare tranquillo. Oggi so che questo si chiama ACCETTAZIONE DI SE’.
..ho smesso di privarmi del mio tempo libero e di concepire progetti grandiosi per il futuro. Ora faccio solo ciò che mi procura gioia e divertimento, ciò che amo e che mi fa ridere, a modo mio e con i miei ritmi. Oggi so che questo si chiama SINCERITA’.
..mi sono liberato di tutto ciò che non mi faceva del bene: cibi, persone, cose, situazioni e da tutto ciò che mi tirava verso il basso allontanandomi da me stesso, all’inizio lo chiamavo “sano egoismo”, ma oggi so che questo è AMORE DI SE’.
..ho smesso di voler avere sempre ragione. E così ho commesso meno errori. Oggi mi sono reso conto che questo si chiama SEMPLICITA’.
..mi sono rifiutato di vivere nel passato e di preoccuparmi del mio futuro. Ora vivo di più nel momento presente, in cui TUTTO ha un luogo. E’ la mia condizione di vita quotidiana e la chiamo PERFEZIONE.
..mi sono reso conto che il mio pensiero può rendermi miserabile e malato. Ma quando ho chiamato a raccolta le energie del mio cuore, l’intelletto è diventato un compagno importante. Oggi a questa unione ho dato il nome di SAGGEZZA DEL CUORE.
Non dobbiamo continuare a temere i contrasti, i conflitti e i problemi con noi stessi e con gli altri perché perfino le stelle, a volte, si scontrano fra loro dando origine a nuovi mondi. Oggi so che questo è la vita”. (Charlie Chaplin)
Quest’anno (come negli ultimi quattro anni) non andrò in vacanza. Forse sono arrivato fin qui un po’ troppo stanco ma, quello che cerco, è di continuare ad essere presente a me stesso. Non so se sono diventato maturo quanto basta per non stupirmi più di tanto delle meraviglie che mi circondano. Resto (per mia fortuna), comunque, affascinato. Forse, il tempo va troppo in fretta o io, spesso, sono fuori sintonia con lui. Ma, a chi dice che io, forse, sto “bruciando” la mia vita cercando, ogni giorno di più, di capirne il “senso”, io rispondo con una bellissima poesia che ho ascoltato un po’ di tempo fa.
Se sei stanco e la strada ti sembra lunga, se ti accorgi che hai sbagliato strada,
…Non lasciarti portare dai giorni e dai tempi,
Ricomincia.
Se la vita ti sembra assurda,
Se sei deluso da troppe cose e da troppe persone
…Non cercare di capire il perché: Ricomincia.
Se hai provato ad amare ed essere utile, Se hai conosciuto la povertà dei tuoi limiti,
…Non lasciar là un impegno assolto a metà,
Ricomincia.
Se gli altri ti guardano con rimprovero,
Se sono delusi di te, ìrritati,
… ma non domandar loro nulla,
Ricomincia.
Perché l’albero germoglia di nuovo dimenticando l’inverno, Il ramo fiorisce senza domandare perché,
E l’uccello fa il suo nido senza pensare all’autunno,
Perché la vita è speranza e sempre ricomincia.
Cari lettori, sono convinto che, questa volta, insieme, abbiamo fato una bella passeggiata nei meandri del nostro “io” più profondo. Per renderla indimenticabile, concediti ancora qualche minuto, per guardare questo bellissimo filmato che mi è stato segnalato, su Internet.
Buona vita a tutti!
Cagli (PU) – Agosto 2011 – Castrolibero (CS) Luglio 2022
Direttore Responsabile “La Strad@” – Medico Psicoterapeuta – Vicedirettore e Docente di Psicologia Fisiologica, PNEI & Epigenetica c/o la Scuola di Formazione in Psicoterapia ad Indirizzo Dinamico SFPID (Roma/ Bologna) – Presidente NEVERLANDSCARL e NEVERLAND “CAPELLI D’ARGENTO” ETS (a favore di un invecchiamento attivo e a sostegno dei caregiver per la Resilienza nel Dolore Sociale) – Responsabile Progetto SOS Alzheimer realizzato da NEVERLAND “CAPELLI D’ARGENTO” ETS – Responsabile area psicosociale dell’Ambulatorio Popolare (a sostegno dei meno abbienti) nel Centro Storico di Cosenza – Componente “Rete Centro Storico” Cosenza – Giornalista Pubblicista – CTU Tribunale di Cosenza.
Pagina personale
Canale youtube: