Qualcuno sostiene che esistono “caduti” che non si alzano per non tornare a cadere. Giovanni Verga ne “I Malavoglia” addirittura descrive un tipo di umanità che, di fronte a ciò che riteneva essere un destino ineluttabile, preferiva abbassarsi per essere travolta, dalle onde delle difficoltà, il più velocemente possibile.
“Io credo che se ci fosse un po’ più di silenzio, se tutti facessimo un po’ di silenzio, forse qualcosa potremmo capire.” (La voce della luna- Fellini, 1990).
Il silenzio: condizione di equilibrio necessaria indispensabile per poter vedere, finalmente, se stessi come riflessi in un tranquillo specchio d’acqua. Eppure ciascuno vacilla di fronte allo svanire di quelle certezze dettate dall’abitudine a credere vero quello che, spesso, tale non è. La Morte, ad esempio. Un’uscita di scena definitiva.
“All’inizio della mia carriera si rivolgevano a me chiamandomi… a Pa’. Dopo i miei primi successi… Sor Pa’. All’indomani della mia esperienza con Federico Fellini… Maestro!”.
Ecco, il sapere che un’icona come quella di Paolo Villaggio non sia più presente in carne e ossa, da ben 4 anni, fa sì che le emozioni si accavallino e la sua voce, i suoi personaggi comincino a scorrere nella mente come fotogrammi di un film montato male che riportano alla memoria le sue gag, il suo sorriso sarcastico, le sue battute pungenti.
“Del resto, è solo la curiosità che mi fa alzare la mattina!”
Così il prefetto Gonnella, nel film di Fellini descriveva la propria vita, così è possibile immaginare la vita vissuta da Paolo Villaggio.
Cari Lettori, se è vero che il silenzio dell’invidioso fa molto rumore (Khalil Gibran) è altrettanto vero che non è facile esprimere la creatività ricordando agli altri (alla stregua dell’odiato secchione di scolastica memoria) senza arrecare disturbo come ci ricorda la storia di quel sognatore utopico di nome King Camp Gillette che, pur avendo teorizzato (e finanziato) diversi progetti sul recupero e il rispetto dei diritti umani, rimase famoso (e indicato) come “il tipo dalla faccia dell’uomo – lama” per via dell’invenzione del rasoio di sicurezza che porta il suo nome.
“Non chiederci la parola che squadri da ogni lato l’animo nostro informe… non domandarci la formula che mondi possa aprirti. Perché, andando nel sole che abbaglia sentirai con triste meraviglia com’è tutta la vita e il suo travaglio: in questo seguitare una muraglia che ha, in cima, cocci aguzzi di bottiglia”. (Eugenio Montale)
Dove la curiosità verso i comportamenti umani certamente ha contribuito a dare vita al suo personaggio più famoso : Fantozzi Rag. Ugo, (come si legge sulla porta del suo appartamento nei film che lo vedono protagonista), surreale impiegato. “Il prototipo del tapino, ovvero la quintessenza della nullità”, come lo definì lo stesso Villaggio.
“Con Fantozzi ho cercato di raccontare l’avventura di chi vive in quella sezione della vita attraverso la quale tutti (tranne i figli dei potentissimi) passano o sono passati: il momento in cui si è sotto padrone. Molti ne vengono fuori con onore, molti ci sono passati a vent’anni, altri a trenta, molti ci rimangono per sempre e sono la maggior parte. Fantozzi è uno di questi”.
Eppure, osservando fino in fondo l’anima dell’uomo in questione e analizzando i suoi dolori, gli egoismi, le paure, la presunzione ma, anche, la grande cultura, non possiamo notare uno stridore fra lo stato d’animo che proviamo e il “supino” Fantozzi.
Potremmo parlare, psicoanaliticamente, di “formazione reattiva” cioè, il tentare di mostrare uno stato d’animo opposto a quello che si prova realmente. E, forse, questo è stato uno dei motivi di tutte le sue difficoltà di padre, nella vita reale…
Forse perchè il “ragioniere”, così passivo non era… forse perchè incarnava le frustrazioni, reali o temute, di tutti quanti noi. Ed è per questo che, quando osa definire “la corazzata Kotiomkin una cagata pazzesca” ciascuno di noi ha fatto parte di quel pubblico che, assieme ai colleghi di scena, gli ha tributato i simbolici “novantadue minuti di applausi“.
“Ero, a Mosca, in sala Lenin, gremita da 12.000 persone, proiettarono prima La corazzata Potemkin e poi Il secondo tragico Fantozzi. Alla battuta “La corazzata Potemkin è una cagata pazzesca” ci fu un applauso da esplosione nucleare perché era una liberazione da un’oppressione che, fin da bambino, ho subito anch’io.
Questa affermazione ha rappresentato uno spartiacque epocale, sia in Italia (come critica a chi stabiliva delle regole come la Chiesa) che per la Russia (dove può essere stata la prima incrinatura vera a tutto il sistema sovietico)” Insignito del “Premio Gogol” per aver dato un seguito all’indagine sull’uomo umiliato e offeso avviata dal maestro russo con il racconto “Il cappotto“, conosceva a menadito Memorie dal sottosuolo e Delitto e Castigo di Dostoevskij, sentendo uno strano rapporto di “parentela” emotiva con Gogol e Cechov, nell’essenza del carattere e nel racconto dell’anima…
“La figura del sottomesso è una figura storica. In ogni cultura c’è sempre la distinzione tra il padroni e i sottomessi. Addirittura, nell’impero Romano l’80 per cento della popolazione era formata da schiavi. La condizione di umiliazione è, forse, il modo per descrivere esattamente tutto il proletariato russo dalla sua nascita fino ai giorni nostri. Mi sembra che la cosa non sia molto cambiata: c’è ancora una differenza tra il lavoratore russo e i turisti pieni di rubli che invadono il mondo. Fantozzi e Akakievich appartengono alla stessa schiera degli umiliati”.
E, soprattutto per questo, di applausi a teatro e al cinema l’attore (e l’uomo) Paolo Villaggio ne ha avuti tanti nel corso della sua carriera. Da ex impiegato dell’Italsider a interprete di ruoli indimenticabili.
Scrittore, autore, doppiatore, poliedrico, spietato, ironico, con lo spessore attoriale di un uomo dotato di genio capace di far ridere intere generazioni nei suoi ruoli più comici, intenso e commovente nei ruoli drammatici, Villaggio ha saputo dare ad ogni personaggio, ad ogni battuta quell’impronta geniale che se pur non sempre risultava gradita, forse perché troppo graffiante, o troppo sincera, rappresentava di certo un aspetto imprescindibile del suo essere originale.
“Avete mai chiesto a qualcuno per strada se è mai stato invidioso? Io si. Ebbene, avendo capito benissimo la domanda, vi chiederà di ripeterla per prender tempo e pensare a quella volta in cui è stato invidioso. La risposta che vi darà, probabilmente, sarà negativa…( con un tono beffardo) ma con la lente di ingrandimento potreste vedere un rivolo di livore che scorre da un lato della bocca”.
Essendo un profondo conoscitore della letteratura Russa, partiva dal principio “Dostoevskijano” che tutti sono infelici perché tutti hanno paura di proclamare il loro libero arbitrio.
Come amava raccontarci, la vita è come un treno, sul quale saliamo e conosciamo la gente che, mano mano, sale alle diverse stazioni intermedie. Quelli che scendono li salutiamo, promettendo di rivederci, con quelle che salgono stringiamo nuovi rapporti. Arriva un momento, però, in cui il treno accelera sempre più, evitando la salita di nuovi passeggeri e consentendo solo la discesa, repentina. Ad un certo punto alle nostre spalle il macchinista grida che il viaggio è finito. Non essendo rimasto nessun altro, capiamo che non può che rivolgersi a noi. E’ lì, che l’uomo scopre di essere solo…
Io combatto contro tre giganti, caro Sancho; questi sono: la paura, che ha radici forti e che afferra gli esseri e li trattiene affinché non oltrepassino il muro di ciò che è socialmente consentito o accettabile; l’altro è l’ingiustizia, che sta alla base del mondo travestito da giustizia generale, ma che è una giustizia istituita da pochi per difendere interessi meschini ed egoistici; e l’altra è l’ignoranza, anch’essa vestita o travestita da conoscenza e che inganna gli esseri facendogli credere di sapere quando in realtà non sanno e credono di avere ragione quando non ce l’hanno. Questa ignoranza, travestita da conoscenza, fa molti danni, e impedisce agli esseri di andare oltre la linea del ri-conoscersi e conoscersi realmente”. (Don Chisciotte della Mancia Miguel de Cervantes)
Triste, beffardo, romanticamente disincantato eppure capace di sperare, paternamente, in una “luce” migliore: “E’ quello che oggi manca alle generazioni, il credere, o meglio il credere in qualcosa che non sia il denaro o il successo (elementi fugaci)… ma in Dio”
Si narra che. ad una festa di gala, un soldato di guardia si innamorò della figlia del Re. Costei, impressionata dal suo coraggio e dal suo animo nobile, gli chiese, come prova d’amore, di restare, a guardia, cento giorni e cento notti sotto il proprio balcone, davanti al palazzo reale. Alla fine, sarebbe stata sua. Lui ebbe modo di dimostrare ciò che valeva e, imperterrito, rimase immobile giorno dopo giorno, con ogni tempo e trovando la forza di vincere fame, sete e sonno per novantanove giorni. Ma, giunti alla novantanovesima notte, inaspettatamente, andò via.
La morale di questa storia, probabilmente è che il coraggioso soldato, decise di non correre il rischio di scoprire che la Principessa avrebbe potuto non mantenere la parola data. In questo modo, almeno per novantanove notti, visse nell’illusione che lei fosse li, ad aspettarlo.
E probabilmente allo stesso modo, il Maestro esce di scena un attimo prima di mandare in onda la sua ultima fatica: “la voce di Fantozzi”. Forse per la paura di scoprire un’umanità non più capace di capirlo. E incapace, quindi, di salvare se stessa.
Qualcuno ha spiegato che la maggior parte degli uomini sono come foglie secche che scendono ondeggiando al suolo ma, pochi altri, sono come stelle fisse, che vanno per un loro corso preciso, e non c’è vento che li tocchi, hanno in loro stessi la loro legge ed il loro cammino
Dal 3 luglio di cinque anni fa, Paolo Villaggio non è più tra noi, forse è insieme al suo grande amico Fabrizio de Andrè con il quale scrisse “Carlo Martello ritorna dalla battaglia di Poitiers” e il meno conosciuto “Il fannullone” di cui non possiamo non riportare al riportiamo alcuni versi molto suggestivi nel loro alludere al mondo ingiusto che si guarda bene di ridurre le distanze sociali :
“Non si risenta la gente per bene se non mi adatto a portar le catene. Ti diedero lavoro in un grande ristorante a lavar gli avanzi della gente elegante. Ma tu dicevi: il cielo è la mia unica fortuna e, l’acqua dei piatti, non rispecchia la luna”.
Forse, ora, suonano insieme. Magari un violino.
“Ma certo. Che ne potete sapere voi? Avete mai sentito il suono di un violino? No. Perché se aveste ascoltato le voci dei violini come le sentivamo noi, adesso stareste in silenzio…”
Quel silenzio che (alla stregua del bianco, che contiene ogni colore dell’arcobaleno), racchiude tutti i suoni dell’Universo.
Cari Lettori, Paolo Villaggio ha recitato in molti parti drammatiche partecipando a film di registi come Federico Fellini, Ermanno Olmi, Lina Wertmuller, Mario Monicelli, Pupi Avati, Gabriele Salvatores, e Marco Ferrer.
A noi piace concludere questo ricordo con un bellissimo film della Wertmuller in cui il maestro elementare Marco Tullio Sperelli trasferito per errore alla scuola Edmondo De Amicis di Corzano (diroccato comune del napoletano) si scontra con realtà controverse che, alla stregua di un simbolico ritratto di Dorian Gray, lo rende peggiore in maniera direttamente proporzionale alla sua capacità di rendere migliori i suoi allievi. Nella suggestiva immagine di copertina, possiamo “vedere” questo Maestro che se ne va (per via di un trasferimento ministeriale) lasciando i suoi piccoli scolari a guardare il futuro senza più paura: solo un po’ di nebbia all’orizzonte, che preannuncia il sole: “Io speriamo che me la cavo”.
Il brano che abbiamo scelto come linea guida di questo editoriale è del maestro Lee Ru-ma, in arte Yiruma.
KISS THE RAIN
“Ho impiegato molto tempo a comporre una melodia che sembrasse una canzone senza parole. Questa potrebbe essere una ragione per la quale le persone amano la mia musica. Viene dal profondo di te. Io cerco di renderla semplice ma delicata. Una musica a cui sono più legato è Kiss the rain, una composizione molto espressiva perché esprime, numerosi stati d’animo e ricorda una dolce ninna nanna”. (Yiruma)
Enzo Ferraro – già Dirigente Scolastico, Letterato, Umanista, Politologo
Giorgio Marchese – Direttore “La Strad@”
Un ringraziamento affettuoso ad Amedeo Occhiuto, per avere suggerito molti degli interessanti aforismi inseriti nell’articolo.
Direttore Responsabile “La Strad@” – Medico Psicoterapeuta – Vicedirettore e Docente di Psicologia Fisiologica, PNEI & Epigenetica c/o la Scuola di Formazione in Psicoterapia ad Indirizzo Dinamico SFPID (Roma/ Bologna) – Presidente NEVERLANDSCARL e NEVERLAND “CAPELLI D’ARGENTO” ETS (a favore di un invecchiamento attivo e a sostegno dei caregiver per la Resilienza nel Dolore Sociale) – Responsabile Progetto SOS Alzheimer realizzato da NEVERLAND “CAPELLI D’ARGENTO” ETS – Responsabile area psicosociale dell’Ambulatorio Popolare (a sostegno dei meno abbienti) nel Centro Storico di Cosenza – Componente “Rete Centro Storico” Cosenza – Giornalista Pubblicista – CTU Tribunale di Cosenza.
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