Questo Articolo Intervista, ha visto la sua pubblicazione nel lontano 10 luglio 2009. Lo si ripropone, adeguatamente “spolverato” per via degli interessanti temi trattati.
BUONA LETTURA
Buongiorno, dottore, quest’oggi mi preme parlare di qualcosa che non riesco a mettere bene a fuoco. Insomma non so darmi delle risposte che, invece mi servirebbero a capire come e perché adattarmi alle angustie della vita.
Si vive male perché non si riesce a condurre un’esistenza più a “dimensione umana”.
In linea di massima, semplificando il discorso, è così.
Tutto ciò che ci crea disagio (come le paure, i conflitti, le frustrazioni in genere) rientra in quegli elementi che fanno parte della vita e che condizionano negativamente solo perché non si sa come affrontarli.
Nella maggior parte dei casi è vero.
Eppure basterebbe imparare ciò che occorre per vivere in modo conforme alle leggi di natura per migliorare notevolmente la qualità della propria vita: cosa lo impedisce?
Una miriade di fattori. Le abitudini nostre e quelle degli altri, tanto per cominciare, che agiscono come freno inerziale per un’azione più libera da condizionamenti. Molti esperti concordano nell’affermare che l’essere umano, per come lo conosciamo noi, sia comparso non più di 6000 anni fa come risultato di un processo evolutivo iniziato più di 4 milioni di anni fa. L’universo, però, è comparso (dopo l’innesco del Big Bang) qualcosa come 14 miliardi di anni fa! Sarebbe come dire che il “tutto” sia iniziato lo scorso anno e che noi siamo giunti sul posto da pochi minuti.
Beh, dovremo avere un po’ di tempo per raccapezzarci in merito al tempo e allo spazio, per poterci organizzare un po’, prima di agire!
Brava. Ecco che, invece, non conoscendo quasi nulla, ci si trova costretti a correre per portare a casa qualche risultato!
“Gabbia de’ matti è il mondo” (Tommaso Campanella).
Allora, visto che non c’è molta chiarezza su quali siano le leggi di natura, chi ha la fortuna di poterle “incrociare” sulla propria strada (per via dello studio o dell’esperienza personale, magari catalizzata da un percorso di psicoterapia ad hoc), come fa a vivere in coerenza con queste ultime e, al tempo stesso, a non isolarsi da una Società che si basa su valori non proprio corretti?
Acquisendo, via via, maturità e saggezza.
Me lo ha già spiegato un po’ di tempo fa… ma che differenza c’è fra maturità e saggezza?
Sia la persona matura che quella saggia ricercano il senso dell’esistenza, si danno da fare per migliorare lo standard qualitativo e si domandano come distinguere il reale dai falsi miti: in parole povere, tendono ad esprimere pienamente se stessi (nel rapporto con la propria identità e nei riguardi del contesto ambientale “ristretto” ed “allargato”), la propria personalità (in maniera proporzionale alle proprie capacità introspettive) ed il proprio ruolo (di partner, genitore, figlio, fratello, soggetto economicamente produttivo, etc.). Il saggio, però, riesce, in virtù della maggiore esperienza di vita (in termini qualitativi, oltre che quantitativi), a manifestare una sorta di plusvalenza nella capacità di integrazione e adattamento.
Perché quando si scopre di aver vissuto male per alcuni aspetti della propria personalità e si riesce, nonostante tutto, a cambiare rotta, per potersi godere nella maniera migliore il resto del proprio tempo vitale, si continua a rimuginare su ciò che si è perso, invece di compiacersi per quello che si avrà di buono?
Per motivi legati alla percezione di avere impiegato male il proprio tempo e all’attivazione di meccanismi di risonanza interna che “avvelenano” il tempo residuo. Ovviamente questo vale per colori i quali hanno acquisito l’abitudine a farsi del male ed hanno paura di essere felici .
A riprova di ciò, le riporto lo stralcio relativo ad una acquisizione scientifica di un po’ di tempo fa:
“Quando fantastichiamo sul futuro non usiamo soltanto la fantasia. Perché, per immaginare il domani sfruttiamo soprattutto i ricordi del passato. Fisicamente gli esseri umani vivono nel qui e ora, ma con il pensiero sono per lo più, nel domani. Sia che ripercorriamo mentalmente gli impegni della giornata, sia che annotiamo le scadenze nell’agenda o che progettiamo le vacanze, ci facciamo sempre delle idee molto concrete sugli eventi futuri. In che modo il nostro pensiero padroneggia questo compito? Per quanto possa sembrare paradossale, lo fa attraverso il ricordo. Secondo i neuroscienziati, infatti, nel fare previsioni sul futuro usiamo soprattutto la nostra memoria”. Mente &Cervello, luglio 2009, n. 55 C’era una volta domani Di Thomas GrÃter
Lei ha parlato della sofferenza intesa come mezzo per rompere quella sorta di torpore interiore che ci impedisce di trovare il sistema per superare le difficoltà, e che va affrontata con dignità.
Si.
Tuttavia, visto che è caratterizzata da una fase di scombussolamento, destinata poi a cessare e a lasciare il posto a nuovi equilibri, mi potrebbe spiegare come vivere al meglio possibile la fase critica, poiché, per come siamo strutturati, noi dovremmo essere capaci di provare per lo più benessere?
Mi sembra di avere già utilizzato il termine “dignità”. Aggiungerei, “tenacia”, capacità di utilizzare l’esperienza per trasformare le frustrazioni in opportunità. Potrei continuare a lungo ma preferisco raccontarle un po’ della vita di James Taylor, uno dei cantautori folk – rock – blues più famosi ed apprezzati dagli anni settanta ad oggi, un signore caratterizzato da garbo e cortesia. Nato nel 1948 e cresciuto nella cittadina di Chapel Hil (Nella Carolina del Nord), negli anni sessanta abbandonò gli studi per dedicarsi alla chitarra. Formò una band col fratello Alex, ma venne ricoverato in un ospedale psichiatrico per curare una forma di depressione. Riuscì ad ottenere il diploma durante il soggiorno in ospedale, quindi si iscrisse alla Milton Academy. Trasferitosi a New York, divenne eroinomane e la canzone “Jump Up Behind Me” è, di fatto, un omaggio al padre Isaac che, in seguito ad una disperata telefonata del figlio, dovette correre in soccorso. Nel pezzo, Taylor lo ringrazia per l’aiuto avuto in un periodo di disperato bisogno e descrive i ricordi del lungo viaggio in automobile verso casa. I suoi primi dischi, nel 1968,non ebbero successo, nonostante servissero da base per altri musicisti del calibro di Paul Mc Cartney e George Harrison. Nel1969, fu costretto ad un nuovo ricovero per provare a liberarsi dalla tossicodipendenza. Dopo una serie di esibizioni in cui annusò il piacere della ribalta, ebbe un incidente motociclistico a seguito del quale si fratturò entrambe le mani. Nel 1970 il settimanale Times gli dedicò la copertina e si cominciò a parlare di questa nuova corrente crepuscolare e soggettivista di cui Taylor fu il massimo alfiere degli anni settanta. Egli è, infatti, il prototipo del genere crepuscolare, agrodolce, malinconico e dalle tinte pastello che tanta fortuna ebbe in quel decennio. In ciò fu aiutato da una vena compositiva felice, da una raffinata tecnica chitarristica improntata al Finger picking e da una voce nasale duttile e pastosa che veicola in modo molto efficace il mondo solitario e neo-romantico della sua America. All’inizio degli anni ’80 la sua carriera sembrò in pericolo per colpa dei problemi di tossicodipendenza, del divorzio dalla sua prima moglie e del calo di popolarità delle sue canzoni . In quella che sarebbe dovuta essere la sua ultima esibizione pubblica e l’addio al mondo della musica, oltre 250.000 spettatori acclamanti, lo “convinsero” a riprendere in mano la sua vita e la sua carriera. Da allora, ancora oggi, è un autore molto apprezzato, a livello internazionale, comparendo anche in una puntata della fortunata serie televisiva “The Simpson”.
“Vola solo chi osa farlo” (Luis Sepulveda)
Ma insomma, come mai è così difficile vivere?
Vorrei iniziare a risponderle con un aforisma suggeritomi dall’amico Enzo Ferraro
Il termine difficile, significa, letteralmente, “complesso, critico, pieno di disagi, oscuro, arduo da comprendere, che richiede abilità, attenzione, impegno”. Di sicuro, un simile sistema non consente la noia, che è uno dei grandi mali dell’umanità.
“La noia è il più controverso dei sentimenti umani, in quanto ci mostra l’insufficienza delle cose esistenti di fronte alla grandezza del desiderio nostro”. (Giacomo Leopardi)
Qualcuno sostiene che siamo nati per espiare; qualcun altro, invece, è del parere che siamo nati per esplorare. Quale che sia la motivazione, in realtà siamo stati “progettati” per soffrire ma non per lamentarci. La sofferenza, infatti, è il risultato di un impegno globale che affatica ma, al tempo stesso, allena alle avversità e, in definitiva, rende più efficaci. In ultima analisi: migliori.
Oggi non è che un giorno qualunque di tutti i giorni che verranno, ma ciò che farai in tutti i giorni che verranno dipende da quello che farai oggi. (Ernest Hemingway)
Qualsiasi idea “creativa” e innovativa richiede un impegno dell’attività cerebrale che precede una tempesta organizzativa (gli anglosassoni la definiscono “brain storming”) e consegue ad un’articolata processazione fatta di verifiche e superamento di ostacoli interiori, derivanti da condizionamenti, a volte inconsapevoli.
E’ impossibile scrivere in pace se quello che si scrive vale qualcosa. (Charles Bukowski)
Perché ci si deve affannare?
Quanto monotona sarebbe la faccia della Terra senza le montagne. (Immanuel Kant)
Se cerchiamo il termine affanno, sui dizionari della lingua italiana, lo assoceremo al concetto di privazione del respiro, afflizione e travaglio. Riconducendoci al discorso precedente, non possiamo evitare l’impegno continuo come unico antidoto contro l’assuefazione e la conseguente demotivazione. Purché, ovviamente, tutto abbia un senso. Il piacere che proveremo, per forza di cose sarà breve perché ci abitueremo velocemente a quella condizione che, in quanto priva di novità, non ci darà più alcuna soddisfazione. Dovremo, a quel punto, ripartire per cercare nuovi obiettivi di soddisfazione. Questo è il sistema che ci “costringe” a diventare migliori. Continuamente. Probabilmente non è un caso che sulla lingua, le papille gustative siano di quattro tipi, tre ci consentono di apprezzare variegate sfumature frustranti che passano per l’amaro, il salato e l’acido; solo una serve per il dolce, la cui percezione genera dipendenza e assuefazione. Come dire, vogliamo il buono, in misura crescente e, per ottenerlo dobbiamo fare lo slalom fra gli ostacoli.
Che senso ha, scusi?
Quello di “costringerci” a migliorarci, incessantemente. È attraverso questo che passa il concetto di evoluzione.
La vita umana è come un pendolo che oscilla incessantemente fra noia e dolore, con intervalli fugaci di piacere e gioia. (Arthur Schopenhauer)
Sin da piccoli, spesso, si viene abituati a cercare l’approvazione degli altri (genitori, parenti, insegnanti, amici) come elemento indispensabile per essere ‘adeguati’ ed ‘accettati’. E’ corretto questo? Insomma, come incide il giudizio degli altri?
Una simile condizione ha un aspetto positivo ed un risvolto, invece, negativo. La valenza corretta è rappresentata dal fatto che, tenendo in considerazione quello che pensano gli altri, si rimane con i piedi per terra, restando realistici all’interno del contesto storico e sociale di appartenenza, evitando malintesi o, peggio ancora, comportamenti che la sociologia definisce “antisociali”. Per contro, se non si acquisisce quella adeguata capacità di analisi critica che ci fa discernere ciò che è giusto dai falsi stereotipi, si finisce per massimizzarsi, “entrando nel gregge” e soffocando, di conseguenza aspirazioni e capacità.
Cosa ci induce, da grandi, a continuare a cercare il giudizio degli altri per avvalorare ciò che siamo e ciò che facciamo?
Un processo di maturazione verso l’autonomia, non ancora sufficiente. Si finisce per avvertire la necessità di camminare da soli ricercando però, l’approvazione degli altri. Insomma, per concludere, il giudizio degli altri è, per noi, al tempo stesso, un riferimento ed una condanna. Dipende dal nostro grado di maturità.
Ma è vero che gli esami non finiscono mai?
Gli esami non finiscono mai, è l’ultima commedia scritta, nel1973, da Eduardo de Filippo. Consiste in un prologo e tre atti, interpretata dall’autore e inserita, dallo stesso autore, in un gruppo di opere definite “cantate dei giorni dispari”.
L’interprete principale, Guglielmo Speranza si presenta al pubblico sul palcoscenico della vita, raccontando la propria esistenza e segnando il trascorrere del tempo mettendosi di volta in volta tre barbe finte (quella della gioventù, quella dell’età matura e quella della vecchiaia). Appena superato l’esame di laurea, Speranza dovrà superare quello dei futuri suoceri che gli consentiranno di sposare Gigliola solo se sarà in grado di offrire le migliori garanzie.
Lui supera la prova: si sposerà, avrà due figli, un lavoro che gli assicura benessere e onori ma, nonostante il brillante esito di questi esami, la sua vita sarà, comunque, infelice. Avvelenata dall’invidia e dalla maldicenza del falso amico La Spina (magistralmente interpretato dal figlio Luca) e dalla cattiveria della moglie che si è rivelata per quello che, in effetti, era… e cioè, una donnetta viziata e infedele, che crede di più alle sue stupide, pettegole amiche che al marito che ha sempre contrastato, ritenendolo un incapace e un sognatore, in questo sostenuta anche dai figli che la malignità popolare, riportata da La Spina, insinua non siano di Guglielmo.
Non sorprende quindi che, ad un certo punto, Guglielmo si rifugi nell’amore disinteressato e autenticamente semplice della giovane Bonaria, una donna di umili origini ma leale e genuina nei suoi sentimenti e valori, che sarà costretta dalla maldicenza e dalla cattiveria altrui a interrompere il rapporto e partire. Ormai vecchio, il protagonista si chiuderà sempre di più al mondo, fingendo di essere ammalato e di non poter più parlare. Arrivato il momento della morte, Guglielmo sarà ancora una volta ingannato dai suoi familiari: egli avrebbe voluto dei funerali semplici e invece, abbigliato e truccato come un guitto di avanspettacolo, lascerà la commedia della vita salutando rassegnato.
Col termine “esame” si può intendere quell’attenta considerazione di qualcosa o qualcuno, per capirne le caratteristiche, farsene un’opinione, darne un giudizio; oppure una prova cui ci si sottopone per accertare la preparazione su un argomento o l’idoneità a una professione. In entrambi i casi, non possiamo illuderci di evitare tale esperienza. L’importante è trasformare il tutto in verifica di efficienza, che spinga a cercare il miglioramento continuo e la condivisione con chi ci sta intorno perché, come sosteneva Lev Tolstoj “noi moriamo soltanto quando non riusciamo a mettere radice in altri”
un ringraziamento particolare ad Erminia Acri: senza le sue interessanti domande, questo articolo non avrebbe visto la luce
Direttore Responsabile “La Strad@” – Medico Psicoterapeuta – Vicedirettore e Docente di Psicologia Fisiologica, PNEI & Epigenetica c/o la Scuola di Formazione in Psicoterapia ad Indirizzo Dinamico SFPID (Roma/ Bologna) – Presidente NEVERLANDSCARL e NEVERLAND “CAPELLI D’ARGENTO” ETS (a favore di un invecchiamento attivo e a sostegno dei caregiver per la Resilienza nel Dolore Sociale) – Responsabile Progetto SOS Alzheimer realizzato da NEVERLAND “CAPELLI D’ARGENTO” ETS – Responsabile area psicosociale dell’Ambulatorio Popolare (a sostegno dei meno abbienti) nel Centro Storico di Cosenza – Componente “Rete Centro Storico” Cosenza – Giornalista Pubblicista – CTU Tribunale di Cosenza.
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