Era un’estate come tante altre. Lo stesso mare, gli stessi luoghi, le stesse persone….
Ero io che ero diversa; probabilmente crescendo il mio spirito di osservazione si era acuito ed ero capace di percepire le forme, gli odori, le sensazioni che gli oggetti emanavano con maggior perspicacia, maggior acutezza.
Quella mattina scendemmo a mare di buonora, scegliendo la piccola spiaggetta sassosa, vicino casa di mia nonna.
Il sole era ancora dolce e la brezza mattutina rendeva frizzante l’aria, annunciando una splendida giornata di agosto. Di li a poco la palla di fuoco rovente nel cielo ci avrebbe sicuramente costretto a ripararci sotto l’ombrellone o all’ombra dei pini marittimi che si affacciavano sulla spiaggia.
Non c’era nessuno , tranne noi e, grazie all’accesso privato, nessun altro sarebbe venuto a disturbarci.
Era il nostro piccolo paradiso, circondato da alti scogli che ci riparavano da sguardi indiscreti e abbastanza lontano dalla spiaggia pubblica da evitarci la chiassosa allegria di quel luogo ben più rumoroso.
Era la nostra isola di pace, dove abbondavano tesori da scoprire e ammirare e dove l’uomo non aveva ancora operato il suo scempio.
Un folto canneto sovrastato da pini marittimi e circondato da macchia mediterranea nascondeva il sentiero appena appena visibile tracciato da mio nonno, e anche quel piccolo percorso era intriso d’avventura.
Verdi libellule aggraziate ronzavano attorno alla vasca che in tempi passati serviva alle donne per fare il bucato. Il rumore degli insetti era continuo e rilassante, e sulla spiaggia sarebbe addirittura stato soporifero.
Ogni minimo alito di vento faceva fremere le fronde dei pioppi che luccicavano sotto il riverbero del sole e i profumi intensi stordivano le narici: mirtillo e capperi predominavano nel sottobosco, circondati da campanule azzurrine e da grandi fiori a forma di imbuto rosa. Api, farfalle, zanzare e moscerini insistenti erano i padroni di quel luogo incontaminato. Un vero paradiso.
Le radici degli enormi pini si aggrappavano alla spiaggia formando perfetti nascondigli cavernosi per animaletti di ogni genere e qualche volta anche per noi bambini che giocavamo a nascondino.
Il verde della macchia e l’azzurro del mare erano a tre metri di distanza, separati solo da un fitto strato di sassi sulla spiaggia che usavamo come proiettili da lanciare di piatto sul mare, facendoli rimbalzare. Una volta in acqua, però, la finissima sabbia mediterranea dava sollievo ai nostri piedi che a poco a poco si stavano abituando ai sassi più aguzzi.
La minuscola spiaggia, circondata da scogli, era il luogo delle nostre cacce al tesoro.
Conchiglie incrostate di madreperla e gusci secchi di ricci di mare erano il nostro bottino preferito, ma c’era anche l’argilla, che affiorava in alcuni punti sotto il pelo dell’acqua, e con la quale ci divertivamo a costruire le cose più fantastiche; e le ossa di seppia, che portavamo al canarino del nonno, e i sassi dalle forme più assurde, e la pietra pomice, che serviva alla mamma per abbellire i suoi piedi.
Le cose inanimate che raccoglievamo nei nostri secchielli colorati non ci impedivano di scoprire animaletti fantastici che rincorrevamo frenetici. I granchi appena visibili sugli scogli che si infilavano nei loro nascondigli quando avvicinavamo il dito per toccarli; i molluschi rossi, con una conchiglietta verde sul dorso, che pareva pesare un quintale; le meduse, che ogni tanto ci facevano sentire il loro abbraccio irritante e che noi crudelmente seccavamo al sole in una sorta di vendetta feroce; e le stelle di mare che papà riportava dalle sue lunghe nuotate al largo. E poi tutte le alghe che riuscivamo a scoprire, i pesciolini che rincorrevamo con gridolini strozzati sperando di poterli acchiappare con le mani, e mille e mille altre cose che riempivano le nostre frenetiche giornate di caccia.
Solo mamma riusciva a fermarci, costringendoci, con ricattini continui, a farci ingollare la nostra merenda, pane e Nutella il più delle volte, ma anche formaggini e succhi di frutta che ingoiavamo correndo .
Qualche volta si decideva di pranzare in spiaggia, e allora i grandi si accollavano di enormi frigoriferi portatili che contenevano ogni sorta di leccornia: frutta, dolci, bevande ghiacciate, carne da arrostire sulla brace, pomodori, cetrioli, e l’immancabile anguria, che veniva immersa sotto il pelo dell’acqua, sulla spiaggia, all’ombra di uno scoglio.
Papà faceva un cerchio con i sassi più grossi e noi piccoli andavano a caccia di arbusti e pezzi di legno da accendere per arrostire. All’inizio era sempre un’affumicata generale: a volte, quasi per dispetto, gli dei del luogo si rivoltavano, il vento, quasi consapevole di farci un dispetto, si divertiva a cambiare direzione ogni tre secondi, o gli arbusti erano troppo verdi e si esibivano in continui scoppiettii, o, nel migliore dei casi, papà aveva dimenticato i fiammiferi a casa e doveva andare a prenderli. Insomma, anche una grigliata diventava una avventura.
Il primo pomeriggio, immediatamente dopo il pranzo, era il momento più bello.
I grandi dormivano e allentavano la guardia, permettendo a noi più piccoli di fare più o meno, tutto ciò che volevamo. L’eccitazione ci prendeva e i luoghi più proibiti dai nostri genitori diventavano meta del nostro pellegrinaggio.
Quello scoglio così alto….come si poteva scalare? O quella pozza salmastra brulicante di pesciolini neri, chissà che succedeva se ci infilavamo i piedi!!..
A volte le nostre avventure finivano in urla stridule dovute agli spaventi che ci prendevamo quando la situazione ci sfuggiva proprio di mano….
A volte qualcuno si nascondeva un po’ troppo bene e poi si addormentava nel nascondiglio suscitando il terrore di chi non riusciva più a trovarlo. Altre volte l’acqua salata che ci schizzavamo a vicenda finiva nelle narici di qualche malcapitato che cominciava a tossire e ad ansimare, come se stesse per affogare… Sbucciature, escoriazioni e lividi vari erano così diventati all’ordine del giorno, che nemmeno le mamme più apprensive avrebbero potuto più farci caso.
E che dire delle punture d’insetti? Alle zanzare eravamo ormai indifferenti, ma qualche volta avevamo dovuto assaggiare anche il pungiglione di api che immancabilmente andavamo a stuzzicare.
Eravamo bambini, e tutto ci sembrava enorme e fantastico. Le estati sembravano non finire mai e il senso del tempo era così dilatato che a metà agosto cominciavamo a sentire nostalgia della scuola.
Non avevamo problemi, tranne forse quelli immediati come nascondere il fatto che avevamo rubato la Nutella dal barattolo col cucchiaio. Eravamo sinceri, anche nella crudeltà della nostra fanciullezza e non eravamo maliziosi nelle nostre domande indiscrete; era solo la nostra fame di sapere, la nostra curiosità. Niente avrebbe potuto farci del male, mamma e papà vegliavano su di noi. Anche le poche volte che fisicamente non erano presenti.
La nostra testa non era piena delle inutilità dei grandi. Noi sapevamo cosa era veramente importante: scoprire il mondo divertendoci.
Ora siamo cresciuti.
Quel dolce periodo e quella più dolce estate è passata, assieme a tante altre. Gli scogli non sono più così grandi e l’acqua non è più cristallina.
I nonni sono morti e il mare ha rosicchiato, anno dopo anno, la minuscola spiaggetta.
Il tempo è passato.
Sta solo al nostro ricordo conservare quelle piccole perle di gioia semplice della nostra passata fanciullezza.
Giacomina Durante – 5 febbraio 2009