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PREFAZIONE

Il 23 giugno 2012, a Roma, presso l’Ordine degli Psicologi del Lazio, ho discusso all’interno di un convegno dal titolo Psicopatologia della Relazione Amorosa organizzato dalla Scuola di Specializzazione in Psicoterapia ad Indirizzo Dinamico (SFPID) in cui insegno dal 2001 e di cui, dal 2018, sono anche Vicedirettore. L’argomento trattato (Psiconeuroimmunologia dell’Innamoramento), ha riscosso vivo interesse per cui ho pensato di tradurlo in un articolo da pubblicare sulla mia “amatissima Strad@“. Già che c’ero, mi sono sbilanciato oltre il semplice innamoramento, chiedendo aiuto a più di un articolo che ho già scritto, in merito e soffermandomi a riflettere su quello che la psicoanalisi classica ha spiegato finora

Il lavoro che ne è venuto fuori (pubblicato più volte e arricchito nel tempo…), è qualcosa di più di una “semplice” ricerca scientifica ma, al tempo stesso, qualcosa di meno di un “articolato” romanzo di vita. Una sorta di diario personale (non necessariamente autobiografico ma condizionato dal mio percorso di vita, condito, come per chiunque altro, da aspettative, delusioni e arricchimenti dall’esperienza) utilizzato come linea guida per raccontare, attraverso dei fatti privati (che diventano, idealmente, le esperienze di tutti), cosa accade quando ci innamoriamo e perché tutto si trasforma, ineluttabilmente. Anche se si potrebbe fare di meglio…

La grande avventura narrata in questo articolo è stata ripresa e sviluppata, a puntate, nella rubrica dedicata Le ragioni del Cuore”

Personalmente (come ho avuto modo di scrivere ne “Lo specchio dell’anima”ritengo che il modo migliore per iniziare questa trattazione sia quello di partire dall’immagine di copertina: una particolare opera d’arte creata da Alexandr Milov (artista ucraino) e definita “Amore”, che (idealmente) “cristallizza” la disillusione di una relazione affettiva quando, dopo il primo incontro, si susseguono i dolorosi “istanti” della falsificazione dell’altro (nel momento in cui ci si ostina a pretendere ciò che abbiamo intuito ma che, di fatto, nel partner non c’è), dell’alternanza di Odio e Amore e, infine, dell’exitus con la violenza degli “addii”…

Questa interessante scultura quindi, rappresenta l’evento più frequente fra due persone che cercano di parlarsi: il conflitto di relazione che, se proprio vogliamo, è un’espressione interiore della natura umana. Il “darsi le spalle”, infatti, spesso non significa rifiuto, in assoluto ma, semmai, l’impotenza di saper chiedere aiuto. Quindi, lontani di fatto ma alla disperata ricerca, sul piano interiore, laddove il bambino che è in noi, prova a farsi sentire! 

È, in ultima analisi (come vedremo nel prosieguo di questo lavoro), l’estremo tentativo di ciò che la psicoanalista Melanie Klein descriveva nel trittico Amore, Odio e Riparazione

Il meccanismo, la capacità e la disponibilità della “Riparazione” consente di preoccuparsi, di prendersi cura dell’altro e di rimediare ai propri errori a partire da un autentico riconoscimento delle proprie colpe ed è una tappa fondamentale nello sviluppo infantile normale, che parte all’interno della relazione bambino / madre

Infatti, la lotta tra amore e odio delle fantasie infantili, produrrà sensi di colpa e un conseguente bisogno di riparare, che costituirà un’importante conquista per lo sviluppo sano individuale

Un adulto capace di riparare, infatti, sarà consapevole che, nelle relazioni quotidiane, se qualcosa dovesse andare storto può in qualche modo essere aggiustata.

Se uno vive senza mai chiedersi perché vive spreca una grande occasione e, a quel punto, solo il dolore spinge a porsi la domanda. (Tiziano Terzani)

Il significato che possiamo dare, dunque, a questa installazione di Milov, cambia da “disperato tentativo di ricontatto frustrato” a “ricerca di riparazione e ricostruzione”, a seconda della capacità introspettiva: in pratica, se sappiamo “guardarci” dentro e individuiamo cosa cercare, otterremo quello che serve per vivere ad occhi aperti.

Cari Lettori, uno dei rischi maggiori che si possa correre è quello di procedere, nelle proprie giornate, lasciando che gli eventi del quotidiano, si depositino, un po’ alla volta, su motivazioni e obiettivi, così come la polvere sui mobili pregiati, rendendoli opachi e spenti.

Quindi, senza più Amore

BUONA LETTURA

PER COMODITA’, VENGONO RIPORTATI, NEL SEGUENTE INDICE, GLI ARGOMENTI TRATTATI.

PREMESSA

CHE COSA HO IMPARATO SULL’AMORE  (DI FERZAN OZPETEK)

Quello che ho imparato sull’amore è che l’amore esiste.
Non dimentichiamo mai le persone che abbiamo amato, perché rimangono sempre con noi;
qualcosa le lega a noi in modo indissolubile,
anche se non ci sono più.
Ho imparato che ci sono amori impossibili, amori incompiuti, amori che potevano essere e non sono stati.
Ho imparato che è meglio una scia bruciante, anche se lascia una cicatrice: meglio l’incendio che un cuore d’inverno.
Ho imparato, e in questo ha ragione mia madre, che è possibile amare due persone contemporaneamente.
A volte succede: ed è inutile resistere, negare, o combattere.
Ho imparato che l’amore non è solo sesso: è molto, molto di più.
Ho imparato che l’amore non sa né leggere né scrivere.
Che nei sentimenti siamo guidati da leggi misteriose, forse il destino o forse un miraggio, comunque qualcosa di imperscrutabile e inspiegabile.
Perché, in fondo, non esiste mai un motivo per cui ti innamori. Succede e basta.
È un entrare nel mistero: bisogna superare il confine, varcare la soglia.
E cercare di rimanerci, in questo mistero, il più a lungo possibile.



GIUSTO PER “ENTRARE” NELLA COMPLESSITA’ DELL’ARGOMENTO VORREI PROPORRE, COME ANTIPASTO, QUATTRO DIVERSE VISIONI DEL CONCETTO DI AMORE.

  • La prima è tratta dal film “La gatta sul tetto che scotta” (del 1958, con Paul Newman ed Elisabeth Taylor) in cui si assapora la riscoperta dell’Amore fra un padre e un figlio….
  • La seconda, presa dal film “Il mandolino del Capitano Corelli”( del 2001 con Nicholas Cage e penelope Cruz) costituisce l’estrapolato fondamentale di ciò che accade, dell’amore, dopo la passione iniziale…
  • La terza, riportata da “Pensavo fosse amore, invece era un calesse” (del 1991, diretto e interpretato da Massimo Troisi) mostra cosa si arriva a pensare e a fare, per proteggersi dalla paura di soffrire, per Amore.
  • La quarta, infine, ripresa da “C’era una volta in America” (del 1984. diretto da Sergio Leone e interpretato da Robert de Niro) ci propone una visione dell’Amore, come elemento indispensabile, per riuscire a sopravvivere, alimentando, anche, la parte passionale della vita.

Quattro aspetti diversi, quindi, che potrebbero confonderci, sul sentiero impervio che porta nella città di Amore.

Motivo in più, per proporre una visione oggettiva dell’argomento, intendendo Amore, come un sentimento che…

UN’EREDITA’ DI RICORDI E AMORE

 “Ci conosciamo da sempre e siamo degli estranei. Possiedi più di ventimila ettari di terreno, possiedi dieci milioni di dollari, una moglie, due figlioli. Tu ci possiedi ma non ci ami!”

– “A modo mio credo…”

– “Nossignore, tu non ami il tuo prossimo. Hai voluto nipoti da Ghuper e ne vorresti da me! Perché?”

– “Perché parte di me continui a vivere e non finisca tutto con una lapide. Guarda! Questo ha lasciato a me mio padre! Una vecchia valigia e dentro non c’era niente, solo la sua straccia divisa della guerra ispano-americana. Solo questo lasciò a me! Nient’altro! Ho creato tutto io qui, dal niente”!

– “Solo quello ti lasciò? “

Si, era un vagabondo! Un abbonato dei carri bestiame, Oh, lavorava ogni tanto come bracciante e io gli andavo dietro. Stavo seduto per terra e aspettavo che staccasse. I miei ricordi di quei giorni sono fame e vergogna, vergogna di quel miserabile vagabondo. A nove anni dormivo sulla paglia io, questo a te non è toccato! Non dovrai seppellirmi come ho dovuto fare io con lui. Gli scavi la fossa vicino alle rotaie della ferrovia, correvamo appresso ad un treno merci e gli venne un colpo. Vuoi saperlo? Quel vagabondo morì ridendo”

– “Di che rideva?”

– “Di se stesso forse. Un vagabondo senza un soldo in tasca, senza avvenire ne’ passato.”

– “Forse rideva solo perché era felice. Felice di aver vicino te. Ti portava sempre con se, non ti lasciava mai.”

– “Ne abbiamo parlato abbastanza. Si, lo amavo. Non mai voluto bene a nessuno quanto a quel vecchio vagabondo.”

– “E dici che non ti lasciò altro che una valigia con dentro una vecchia divisa della guerra ispano-americana.”

– “Anche dei ricordi.”

– “E amore.”

CHE COS’E’ L’AMORE?

Quando si accende l’amore, è una pazzia temporanea. L’amore scoppia come un terremoto e in seguito si placa e quando si è placato, bisogna prendere una decisione. Bisogna riuscire a capire se le nostre radici sono così inestricabilmente intrecciate che è inconcepibile il solo pensiero di separarle perché questo è, l’amore è questo. L’amore non è turbamento, non è eccitazione, non è il desiderio di accoppiarsi ogni istante della giornata, non è restare sveglia la notte immaginando che lui sia li a baciare ogni parte del tuo corpo. No, non arrossire. Ti sto dicendo delle verità. Questo è semplicemente essere innamorati e, chiunque può facilmente convincersi di esserlo, l’amore invece è quello che resta del fuoco quando l’innamoramento si è consumato. Non sembra una cosa molto eccitante, vero? Ma lo è!”

LASCIALA, PRIMA CHE SIA LEI A LASCIARE TE!

 “Come fai a sopportare a uno come questo, sempre così felice, tutta, troppo colorata che da fastidio proprio. Boh!”

– “A me, piace proprio per questo.”

– “Si?”

– “E poi, vabbè, pure lei mi dice che sono un pò spento. Ah, sai come mi chiama? Lo Smorto!”

– “Tu sei scemo, Amedè. Tu stai diventando… lo Smorto che… che ci sta da ridere. Solo perché quella è bionda ti fai chiamare lo Smorto? Quella lì, uno come, sai quanto ci mette a trovare un altro e ti lascia? Proprio, niente! Eh?”

– “Perché dici questo?”

– “Perché dici ahahah, mò cominci ad avere paura eh? Hai paura? Allora non essere così allegro, hai capito? Ah, Ah, Ah! Gira pure la gente qua no? Preparati, hai capito! Anzi, lo vuoi un consiglio mio proprio, caro Smorto? Lasciala tu, lasciala tu prima che lei lascia a te e ti fa soffrire, Amedè!”

IL CANTICO DEI CANTICI…

Per non impazzire dovevi non pensare che fuori c’era il mondo, proprio non pensarci. Dovevi dimenticarlo. Eppure, sai, gli anni passavano, sembrava che volassero. Strano, ma è così quando non fai niente.

Ma due cose non riuscivo a togliermi dalla mente: la prima, era Dominique quando prima di morire mi disse “sono inciamapato…” e l’altra eri tu.

Tu che mi leggevi il Cantico dei Cantici, ricordi? “Oh figlia di Principe quanto sono belli i tuoi piedi nei sandal”. Sai che leggevo la Bibbia tutte le sere? E tutte le sere io pensavo a te. “Il tuo ombellico è una coppa rotonda dove non manca mai il vino; il tuo ventre, un mucchio di grano circondato da gigli; le tue mammelle sono grappoli d’uva; il tuo reaspiro ha il profumo delicato delle mele”. Nessuno t’amerà mai come t’ho amato io. C’erano momenti disperati che non ne potevo più e allora pensavo a te e mi dicevo Deborah esiste! E’ là fuori! Esiste! E, con quello, superavo tutto.

LE TRE COLONNE SONORE…

CARI LETTORI, in questo articolo troverete più di uno spunto tratto, anche, da ambiti musicali. L’intendimento, comunque, è quello di guidare la lettura, idealmente, attraverso tre colonne sonore. La terza, la scoprirete alla fine e servirà a riassaporare, in pochi minuti, le emozioni generate durante il cammino di lettura. In mezzo, assaporerete (come un cioccolatino nel cuore di un gelato alla panna) il meglio di “Nuovo Cinema Paradiso”. La prima, invece, si basa sul sottofondo musicale di Ludovico Einaudi. Undici minuti di brividi che potrebbero non bastare per arrivare alla fine del racconto. Però, vale la pena provarci.

In pratica, scoprirete che, questo lavoro, rappresenta una sorta di confine fra Matrioska e labirinto. Lo si può leggere di seguito opuure prediligendo, di volta, in volta, la parte più romantica o quella neuroscientifica. E poi, magari, ritornarci su un pezzo per volta, seguendo, come filo d’Arianna, quello che, i più, chiamano istinto ma che, probabilmente, altro non è, che il nostro cuore in sintonia col cervello.

QUANDO FINISCE, LA NOTTE ?

Un vecchio rabbino domandò, una volta, ai suoi allievi da che cosa si potesse riconoscere il momento preciso in cui finiva la notte e cominciava il giorno.

“Forse da quando si può distinguere con facilità un cane da una pecora?”

“No”, disse il rabbino.

“Quando si distingue un albero di datteri da un albero di fichi?”.

“No”, ripeté il rabbino.

“Ma quand’è, allora?”, domandarono gli allievi.

Il rabbino rispose: “E’ quando, guardando il volto di una persona qualunque, tu riconosci un fratello o una sorella. Fino a quel punto, è ancora notte nel tuo cuore”.

C’è chi sostiene che l’amore fra due persone (o l’Amore in generale) sia frutto di una perversione (intesa come propensione più o meno consapevole a generare danno, provandone compiacimento) legata al principio conflittuale che lega Amore e distruzione (Thanatos) e descritto (già nel 1922) da Sigmund Freud ne “ Al di là del principio del piacere” a proposito del concetto di Dualismo Pulsionale che vede contrapposte le pulsioni dell’Io (che traggono origine dal farsi vivente della materia inanimata e cercano di ripristinare lo stato privo di vita) e le pulsioni sessuali (che, partendo dal principio del piacere, attraverso il congiungimento e la procreazione, tentano la via dell’immortalità).

PUNTI DI VISTA…

Partendo da questo “virtuosismo” (che potremmo definire “anfibico – bifronte” anche se, ad essere pignoli, in questo caso il verso non dovrebbe cambiare) siamo in grado di concludere che, ciò che accade, non lo viviamo mai in maniera oggettiva ma, semmai, in base alle condizioni del momento e in funzione di ciò che, quello che accade, richiama dal bagaglio delle esperienze personali.

IN FUNZIONE DI TALE CONSIDERAZIONE, QUESTO LAVORO SEGUIRA’ UN “DOPPIO BINARIO”:

IL PRIMO, che porta ad una sorta di cliché (che la psicoanalisi spiega e l’esperienza evidenzia) che vede la relazione amorosa come una condizione che segue un percorso “segnato” in cui si cadenzano, rispettivamente, l’Incontro, il Riconoscimento (con relativa “Falsificazione”), l’Odio e l’Amore (di Catulliana memoria) e, in conclusione, l’Exitus o la “Violenza degli addii”;

IL SECONDO, che conduce, invece, in un territorio poco esplorato, fatto di “carte da decifrare” e di spinta alla crescita interiore e alla solitudine condivisa, all’interno di un ambito dove i concetti di Spazio e di Tempo, risultano condizionati dall’attrazione di un sentimento crescente.

Personalmente, ritengo che l’amore nasca, innanzitutto, come condizione indispensabile che ci porta a prenderci cura di noi stessi attraverso, anche, la cura dell’Altro, che ci ricambia attraverso il nutrimento del suo Amore. Certo, siamo condizionati dagli esempi ricevuti dalle cure maternali e (parentali in genere) che ci preparano ad una “relazione oggettuale” nella quale impariamo a saper dare valore all’altro e, come disse un pensatore, ad iniziare ad amare l’altro non “come te stesso” ma, semmai, “come prossimo tuo”.

Prendendo spunto dalla lettera di Pelagio (teologo e monaco “laico” vissuto intorno al 384 dopo Cristo) alla nobildonna Romana Demetriade, nutro fiducia nelle capacità potenziali dell’Essere Umano perchè “ Pur avendolo creato debole e inerme esteriormente, Dio creò l’uomo forte interiormente, facendogli dono della ragione e della saggezza, e non volle che fosse un cieco esecutore della sua volontà, ma che fosse libero nel compiere il bene o il male…”

Non confido nell’amore. In quello cantato ma non capito. In quello sofferto ma non compreso. Sono convinto del ruolo primario dell’Egoismo. E, forse, è per questo che non accolgo volentieri gli inviti a scrivere o a descrivere i “movimenti del cuore”. Preferisco, infatti, quelli del cervello.

Però mi commuovo di fronte ad un abbraccio sincero e mi intristisco all’idea che, un giorno (sempre più vicino) le mie figlie voleranno seguendo una rotta diversa dalla mia.

La verità è che io amo, nel silenzio dei miei pensieri, ogni azione del mio vivere quotidiano. Lontano da ridondanze, alla ricerca di assonanze. Probabilmente è una questione di empatia.

“Va bene, io credo nell’amore l’amore che si muove dal cuore Che ti esce, dalle mani che cammina sotto i tuoi piedi. L’amore misterioso anche dei cani e degli altri fratelli animali, delle piante che sembra che ti sorridano anche quando ti chini per portarle via… L’amore silenzioso dei pesci che ci aspettano nel mare. L’amore di chi ci ama e non ci vuol lasciare” (Lucio Dalla – Henna).

NON GLIELO ORDINI. GLIELO CHIEDA!

Una gelida mattina del 1961 (al culmine della guerra fredda), in mezzo all’Oceano Atlantico, a Nord, non distante dalle coste statunitensi, il capitano Alexei Vostrikov è al comando del sottomarino nucleare K 19 con il reattore nucleare in avaria e prossimo alla fusione. Logica vorrebbe che si “consegnasse” agli Americani, per avere soccorso. L’ordine, perentorio, di Mosca è, invece, quello di immergersi e (senza le dovute protezioni dalle radiazioni) provare a riparare il reattore. O esplodere. Di fronte alla possibilità di un ammutinamento dell’equipaggio, interviene il capitano Mikhail Polenin“Comandante, non glielo ordini. Glielo chieda”. Il risultato? Una gara di solidarietà, senza risparmio alcuno, per il bene della causa.

Di fronte a scelte del genere, io mi domando quale sia la forza che muove a sacrificare se stessi. Non penso sia l’onore. Credo, piuttosto, che possa trattarsi di Amore. Verso la propria Patria, ad esempio, nel ricordo e nel rispetto dei propri cari che si vuole, con quel gesto, onorare. Amore verso il proprio Comandante, disponibile ad autoaffondarsi, da solo, pur di salvare l’equipaggio. Amore verso se stessi, dal momento che ci si ritiene all’altezza di un compito estremo.

“Non si può parlare d’amore se non si prova il rispetto verso se stessi, ancor prima che verso gli altri. È necessario imparare a guardarsi bene dentro, nella quotidianità delle cose, nell’interazione con gli altri, arrivando fino in fondo alla propria anima. È lì e soltanto lì, che ci si può apprezzare nel bene e nel male, per quello che si è, col desiderio di migliorarsi per essere rispettati. E per potersi rispettare”. (F. A.)

E mi torna in mente la raccomandazione di quel vecchio marinaio, barba incolta e maglione di lana cardata…

“Se vuoi costruire una barca, non radunare uomini per tagliare legna, dividere i compiti e impartire ordini. Piuttosto, suscita in loro qualcosa da amare: la nostalgia e la malinconia per il mare infinito!”

NOI CI INNAMORIAMO, QUANDO…

Dal punto di vista scientifico, ci innamoriamo (condizionando, dal punto di vista psiconeuroimmunendocrinologico, tutto il nostro esistere) quando siamo attratti da qualcuno (o da qualcosa) che, crediamo (spesso inconsapevolmente), sia utile ad implementare, appagare, colmare o compensare uno stato di carenza affettiva, sessuale, mentale in senso ampio. Inutile cercare altre motivazioni. Non ce ne sono.

“Toglimi il pane, se vuoi, toglimi l’aria, ma non togliermi il tuo sorriso. Non togliermi la rosa, la lancia che sgrani, l’acqua che d’improvviso scoppia nella tua gioia, la repentina onda d’argento che ti nasce.
Dura è la mia lotta e torno con gli occhi stanchi, a volte, d’aver visto la terra che non cambia ma, entrando, il tuo sorriso sale al cielo cercandomi ed apre per me tutte le porte della vita… Quando apro gli occhi
e quando li richiudo, quando i miei passi vanno, quando tornano i miei passi,negami il pane, l’aria,
la luce, la primavera, ma il tuo sorriso mai, perché io ne morrei”. (Pablo Neruda)

Umanamente parlando, però, innamorarmi significa sentire un leggero dolore (a cui non rinuncerei mai) come quando, correndo lungo il perimetro di un campo di calcio, in una fredda sera d’inverno del 1980, cercavo con gli occhi la Stella Polare, per localizzare il Nord dei miei sentimenti e sperare che ci fosse qualcuno in grado di scioglierne il “duro” rivestimento protettivo…

Vorrei un uomo…

“Vorrei un uomo che mi accolga per come sono e non per come vorrebbe che fossi… Che comprenda le mie paure senza dover necessariamente darmi sicurezza, ma solo contento di sentirle. Che sappia farsi posto nel mio letto senza farmi sentire braccata, che voglia dormire con me d’estate con la finestra aperta per vedere solo le stelle. Che mi prenda per mano per strada… anche quando sono in preda all’ansia. Che mi sappia aspettare. Che apprezzi il mio desiderio di trasmettere tutto l’amore che porto dentro. Che sia divertito dai miei cambiamenti di umore, che si faccia dare una mano quando tentenna. Che rispetti il mio silenzio, che mi dia la possibilità di saper rispettare il suo silenzio. Che riesca a dare una voce diversa ad uno stato d’animo mio, suo… che diventi nostro. Che mi dica, senza aver paura di condizionarmi, che sto facendo la cosa giusta. Che le mie insicurezze non è necessario nasconderle o scriverle fra le righe. Che accetti l’idea di invecchiare e mi aiuti a superarne la paura. Che sia contento di quanto sono orgogliosa di lui. Che mi sappia insegnare a piangere, di nuovo”. (Fernanda Annesi)

Io come donna…

“Arriverei con le braccia aperte, per lasciare esprimere il mio senso di accoglienza. Potrei essere un rifugio nelle notti di tempesta, un raggio di sole fra le nuvole minacciose, una leggera folata di vento nella calura dell’estate. Lascerei che si affacciasse dalla mia finestra preferita e vedesse quello che vedo io, con i miei occhi. Ecco, gli donerei il mio sguardo quando la luce accecante del sole lo abbaglia impedendogli di vedere. Lo ascolterei anche se fossi stanca, lo spronerei quando sente di cadere, rimarrei dietro la cabina della doccia quando si prepara, forse perchè in quel momento gli vengono le migliori idee e, io, sarei lì ad ascoltare. Vorrei godere del suo piacere e vorrei che sentisse come esplode il mio piacere insieme a lui. Farei l’amore con lui senza che abbia il timore di dovermi dimostrare qualcosa. Gli darei il buonumore. Gli starei accanto, sforzandomi di capire quando sfugge. Cercherei di non metterlo con le spalle al muro. Cucinerei i miei piatti migliori e accetterei le critiche, anche se un po’ ci rimarrei male. Comprerei dei vestiti per lui. Lo farei sentire libero. Ma con la voglia di tornare“. (Fernanda Annesi)

La sincronia tra la mente del bambino e quella della madre è stata fotografata grazie alla scansione elettronica del cervello ed è la stessa sincronia registrata, proprio, tra gli innamorati.

L’IMPRINTING NELLE RELAZIONI AMOROSE

(tratto dalla pagina FB della dottoressa Claudia Boffilo, Psicologa Psicoterapeuta, specializzata SFPID)

“La qualità della vita amorosa risente dell’eco delle prime esperienze di vita dell’individuo.
La fusionalità primaria con la madre, o con qualcuno facente funzioni materne, in cui il bambino viene messo nella condizione di sentirsi importante e centrale, è il fattore indispensabile per sviluppare la fiducia di base in sé e nell’oggetto (il riferimento al di fuori di sé N.d.R.), erigendo i pilastri per una gratificante relazionalità successiva. La madre, nel caso in cui le cose vadano sufficientemente bene, fornisce al bambino una dotazione narcisistica e libidica che colorirà tutte le relazioni future, comprese quelle amorose.

Attenzione: la fusione deve essere transitoria e parziale, non permanente e totale. In quest’ultimo caso, la madre non sarebbe in grado di costruirsi rappresentazioni pensabili e condivisibili aventi per oggetto il figlio, ma lo assimilerebbe a sé, disconoscendogli la propria autonoma esistenza. Il figlio, così, verrebbe intrappolato in un paradosso mortifero: senza mamma non esisto, con mamma e per mamma non esisto, perché esiste lei e soltanto lei. Questo sarebbe il caso dei soggetti che, pur relazionandosi all’altro, non si relazionano mai veramente con lui, poiché mossi da una spinta interna a denegarne l’esistenza, sulla scorta della propria, precedentemente negata. Qualora il soggetto dovesse intessere una relazione, il comproprietario della coppia non sarà il partner, ma il genitore del figlio ingabbiato in questa rete: le decisioni saranno sì di coppia, ma non di quella formata dai due partner, bensì di quella composta dal genitore-figlio (coppia che sarà molto più resistente e impermeabile alle incursioni dall’esterno).
Esperienze relazionali precoci disfunzionali possono spiegare anche quei casi in cui l’individuo è dominato da un’angoscia di abbandono così totalizzante da indurlo ad accettare qualsiasi “contratto” relazionale: un esempio è rappresentato dai pattern relazionali sadomasochistici. In questi casi, la persona è convinta che offrendo al partner ogni vantaggio e accettandone tutti i comportamenti, questi non la abbandonerà, certa che lui non ne troverà mai un’altra sottomessa e ubbidiente come lei.  Così, oltre che male accompagnati, si sarà soli in compagnia della solitudine.

Poi ci sono anche i casi dei traditori seriali, che vanno alla spasmodica ricerca di un sé perfetto, di un altro perfetto e di una relazione perfetta, impossibilitati ad integrare armonicamente i vari aspetti del Sé e dell’altro, nonché l’ambivalenza affettiva fisiologicamente insita in ogni relazione. Ciò li porterà ad intessere più relazioni contemporaneamente, nell’ingorda illusione di poter raggiungere così la perfezione e la completezza. In realtà, ciò che li connota è una distanza estrema dal contatto con il proprio Sé”.

L’ATTRAZIONE.

Io mi rifiuto di considerarmi ostaggio della chimica biologica. Credo, piuttosto che, in base ad emozioni e sentimenti di varia natura, l’unico modo che abbiamo trovato, per “mandarci a dire” le cose, creando un ponte fra l’essere e il sentire è, appunto il mondo dei neuromodulatori e dei neurotrasmettitori. Quindi, non “siamo” la Chimica ma, piuttosto, la “generiamo”.

Nel tempo, ho creato una certa idea di Lei. Quando la penso, miliardi di connessioni si attivano all’unisono e, allora, dentro, cosa mi accade?

Il mesencefalo (nell’area preottica mediale, situata davanti all’ipotalamo) che controlla le risposte visive ed uditive, inizia a rilasciare DOPAMINA (per cui “sento”provo piacere ed euforia). L’ipotalamo (attraverso l’induzione alla produzione di Noradrenalina Serotonina) comanda al corpo di inviare segnali di accettazione di vivo interesse (comunemente definiti di attrazione): le pupille si dilatano, il cuore pompa più sangue, facendo arrossare il viso, un leggerissimo sudore copre la pelle, rendendola più luminosa. All’idea che Lei sia disponibile all’intesa, si rafforzano i circuiti cerebrali che collegano la sua presenza a sensazioni di PIACERE. Per quanto strano possa sembrare, dal cervelletto (dove, pare, siano contenuti ricordi intensi e/o traumatici) giunge quanto basta per alterare il lavoro della formazione reticolare ascendente. E finisce che non ho più tanto sonno. Anche se sono le quattro del mattino.

È vero, qualcosa di simile accade quando sono preoccupato o mi trovo in ritardo sulla tabella di marcia del mio Business Plane esistenziale… ma la sensazione complessiva è del tutto differente.

I miei neuroni specchio…

Li avevo dimenticati. Diffusi lungo la mia corteccia cerebrale, capaci di farmi sentire quello che prova chi mi sta di fronte. Per questo soffro, quando mi chiude le porte. 

Sento freddo.

“John, come posso aiutarti? Vuoi che ti faccia scappare?”

“Perché dovresti fare una cosa così stupida, capo?”

“Quando sarò al cospetto di Dio Padre per essere giudicato, quando mi domanderà perché mai io ho ucciso un suo figlio, uno dei veri miracoli viventi, cosa potrò mai rispondergli? Che era il mio mestiere?”

“Tu devi dire a Dio Padre che hai fatto una gentilezza. Lo so che soffri e ti preoccupi. Te lo sento addosso. Ma adesso, la devi smettere. Io la voglio fare finita, una volta per tutte. Davvero. Sono stanco, stanco di andare sempre in giro, solo, come un passero nella pioggia; stanco di non potere mai avere un amico con me, che mi spieghi dove stiamo andando, da dove veniamo e, soprattutto… perché! Sono stanco, soprattutto del male che gli uomini fanno agli altri uomini. Sono stanco di tutto il dolore che mi sento dentro e che ascolto, nel mondo, ogni giorno. Ce n’è troppo, per me! È come avere pezzi di vetro conficcati in testa, continuamente… lo capisci, questo?”

“Si, John, credo di si!”

(Da “Il miglio verde”)

L’INCONTRO

Secondo quanto ci spiega la Psicoanalisi, nel momento in cui incontriamo, sulla nostra strada, un individuo che, potenzialmente, corrisponde ai nostri interessi, nella realtà dei fatti non vediamo mai l’altro per quello che è ma, semmai, per come ce lo rappresentiamo nel mondo delle nostre aspettative.

IL RICONOSCIMENTO E LA FALSIFICAZIONE

Nell’incontro con l’altro (a meno che non siamo sufficientemente maturi) noi non cerchiamo quasi mai di conoscerci, reciprocamente, in maniera oggettiva ma (inconsapevolmente) proviamo ad individuare quegli aspetti che possono soddisfare le nostre aspettative.

Il rischio è quello di plasmare l’immagine di chi vogliamo al nostro fianco per come vorremmo che fosse (e per come crediamo, fermamente che sia) piuttosto che per come è, nell’interezza della sua realtà.

SOSTANZIALMENTE…

Ciascuno cresce, fin da piccolo, costruendo dei modelli di riferimento “energetici” (caratteriali, comportamentali, etc.)in relazione all’ambiente di riferimento che fungerà, quindi, da imprinting che, inconsapevolmente, continueremo a ricercare per tutta la vita.

Nel momento in cui ci sentiamo attratti da una fonte “energetica” che somiglia a quella della “casa” in cui siamo cresciuti, vogliamo con tute le nostre forze cercare più attinenze possibili, generando aspettative “paradisiache”.

La differenza fra una lunga storia d’amore e un fallimento deprimente, dipenderà dall’investimento complessivo che intenderemo realizzare (modificando quello, che di noi, dà fastidio al partner senza, tuttavia snaturare la coerenza della nostra identità) evitando accuratamente di vivere di “rendita”.

L’ACCETTAZIONE…

Chissà perché, quando sono po’ triste o, meglio, quando una certa malinconia avvolge il mio animo senza un motivo preciso, come se mi rendessi conto di dover accettare l’idea di aver perso qualcosa senza averla mai avuta veramente…

Ecco, chissà perché, in simili circostanze, mi viene in mente un film d’amore che contempla ed esalta, al tempo stesso, l’abbandono e la speranza, l’illusione e la solitudine. Con un po’ di rimpianto. “Nuovo Cinema Paradiso”.

Sarà perché l’ho visto quando ero più giovane di oltre vent’anni… sarà, forse, perché è la storia di Salvatore de Vita (il piccolo Totò) che, da Giancaldo (in Sicilia), va a Roma, nella Capitale e raggiunge il successo (come regista, nel mondo dorato del cinema) perdendo la possibilità di essere veramente felice… ecco, in tutto ciò, mi “accomodo” tristemente felice. Ed è uno di quei pochi momenti in cui ammetto che la battaglia per vincere, sul senso della vita… potrei non portarla a termine. Capita a anche a me di scoprirmi stanco, sfiduciato, alla ricerca di un giaciglio in cui attendere di essere coccolato.

Come quando ero bambino.

Però, anche nei momenti in cui mi sento stanco e avrei tanto bisogno di una carezza, di uno sguardo dolce o di una parola di conforto, ho imparato che non è bene “consegnarmi” più a nessuno (anche per non caricarlo di responsabilità) ma, semmai, indossare la mimetica antiproiettile, calzare il casco di protezione e ridiscendere in quel campo di battaglia che, a volte, è la vita. 

Ritengo che è così che debba andare.

D’una città non godi le sette o le settantasette meraviglie, ma la risposta che dà ad una tua domanda. (Italo Calvino)

Allora, quando mi rendo conto che, chi sta con me (lui e soltanto lui, per certe caratteristiche che gli riconosco in maniera peculiare e soggettiva) è unico e irripetibile nonostante quegli aspetti che mai avrei immaginato mi piacessero tanto… beh, questa è la prova che ho creato un legame che produce un attaccamento in virtù di tutto un mondo che soltanto io, in quel momento, sono in grado di apprezzare.

C’è una bestia che s’addormenterà ogni volta che, bella come sei, le sorriderai. È una storia sai, vera più che mai, solo amici e poi, uno dice un “noi” e tutto cambia già. Una realtà, che spaventa un po’, una poesia piena di perchè e di verità. Ti sorprenderà come il sole ad Est, quando sale su e spalanca il blu nell’immensità. Stessa melodia, un’altra armonia, semplice magia che ti cambierà, ti riscalderà. Quando sembra che non succeda più, ci riporta via come la marea, la felicità. (Gino Paoli)

IL SENSO EMOTIVO PROFONDO DELLE CAREZZE ALTRUI

Nel nostro cervello, nulla è veramente oggettivo: perfino la nostra percezione del tocco di un’altra persona è plasmata da ciò che proviamo verso di essa. Lo ha dimostrato una ricerca (Primary somatosensory cortex discriminates affective significance in social touch PNAS Plus – Biological Sciences – Neuroscience: Aprile 2012) che, analizzando le vie di elaborazione cerebrale dell’informazione tattile e dei suoi aspetti nella comunicazione sociale, ha scoperto che non ci sono due vie distinte per elaborare gli aspetti fisici ed emotivi del tatto.

“Intuitivamente, tutti noi crediamo che quando siamo toccati da qualcuno, per prima cosa percepiamo oggettivamente le proprietà fisiche del tocco: la sua velocità, la sua dolcezza, la rugosità della pelle, e che solo dopo, in un secondo momento, apprezziamo più o meno questo tocco in base di chi ci ha toccato” – dice Valeria Gazzola, ricercatrice italiana già allieva di Giacomo Rizzolatti (uno degli scopritori dei neuroni specchio), attualmente all’University Medical Center di Groningen e prima firmataria del’articolo – “Invece le cose non stanno così. Gli esperimenti condotti hanno infatti dimostrato che questa concezione a due fasi non è corretta, almeno per quanto riguarda la separazione tra le regioni cerebrali coinvolte: ciò che pensiamo di chi entra in contatto con noi, distorce anche la rappresentazione apparentemente oggettiva di com’è il tocco sulla pelle”.

“Niente nel nostro cervello è veramente oggettivo” – aggiunge Christian Keysers, che ha partecipato alla ricerca – “La nostra percezione è profondamente e pervasivamente plasmata da come sentiamo le cose che percepiamo”.

L’INNAMORAMENTO.


Cos’è che mi lega all’amore di un uomo? Uno sguardo che corre e, di sfuggita, coglie un ultimo pensiero. Non riesco ad immaginare uno scambio, ma nello stesso tempo è impossibile pensare al solo desiderio di donare. Gli amori lasciano una traccia indelebile dentro il cuore; non si tratta di cicatrici che il trascorrere del tempo cura, rimettendo insieme i lembi quanto, piuttosto, di una piccola fessura che, ogni volta che avverti il richiamo della nostalgia ti ritrovi a voler riaprire per respirarne il profumo dei ricordi” (F. A.)

PERCHE’ ACCADE, QUEL CHE MI ACCADE?

Abbiamo già avuto modo di affrontare il discorso dell’imprinting nelle relazioni amorose e ci siamo già resi conto dell’importanza del rapporto con il genitore caregiver per eccellenza, per vivere la sensazione i qualcuno che si prenda cura di noi: la propria madre.

Prendendo spunto da quanto spiegato da Paul Claude Racamier nel suo “il genio delle origini” (Raffaello Cortina Ed.), appena uscito dai cambiamenti della nascita, il neonato entra, con la madre, in una intensa relazione di mutua seduzione che serve (almeno all’inizio) a mantenere un accordo perfetto nel quale, insieme (madre e bambino), è come se si calassero nelle acque “amniotiche” di una lago senza increspature.

Tutto ciò mira ad escludere (o a ridurre fortemente)le tensioni che provengono dal mondo interno e le stimolazioni che arrivano dall’esterno, capaci di intorbidire questo rapporto idilliaco (serenità narcisistica ideale) che non cerca e non vuole differenziazioni (foriere di separazioni) e che crea una simbiosi e che crea una ammirazione reciproca con origini indecidibili.

“Guardate il bambino che guarda la mamma; guardate la mamma che guarda il bambino: guardateli entrambi” (P. C. Racamier)

Pioggia di emozioni, come gocce di memoria, aspettando un tempo indefinito; nella solitudine dei miei pensieri, un vento leggero, rubato alla notte… cerco linearità e, d’improvviso, un’idea prende forma: una carezza di seta che arreda le mie pareti, a volte disadorne.

Qualcuno sostiene che, per “sentire più forte” bisogna drogarsi. Non voglio mettere in dubbio il fatto che, determinate sostanze “eterogene” siano in grado di stimolare zone cerebralmente emotive. Dico solo che, in determinati momenti, comprendo il significato più vero e maturo del termine “fusione”, grazie alle mie endorfine (che sono droghe prodotte dal cervello). In Natura esiste l’annichilazione, cioè l’incontro di una particella con la sua omologa di antimateria (l’elettrone con il positrone, il protone con l’antiprotone… e così via) che determina la creazione di un equilibrio perfetto, oltre il quale non ha più senso il mantenere una forma solida (che, in quanto imperfetta, andrebbe alla ricerca dell’opposto ). Con una grande luce, le due particelle scompaiono alla vista per entrare in una dimensione che, noi mortali, possiamo sentire, probabilmente, solo quando, veramente innamorati, ci perdiamo (anche se per poco) nei sapori, negli odori, nelle idee, nel respiro di chi facciamo avvicinare al di sotto del confine della nostra intimità.

Mia cara, vorrei che tu sapessi che sei il sangue che mi scorre nelle vene; sei il vento che distende le mie vele come le ali dei gabbiani; sei la marea che mi entra nel cervello; sei il trampolino che sazia la mia voglia di infinito. Sei preziosa come la musica da ascoltare una volta soltanto. Per non sciuparne il ricordo…

AMORE PASSIONALE E ROMANTICISMO

La scienza mi spiega che, ad ogni nuovo incontro, la mia mente informa il corpo mediante l’innalzamento dei livelli di dopamina, un neurotrasmettitore che mi consente di percepire un maggiore desiderio, di fissare i ricordi e di ricercare la ripetizione dell’esperienza.

L’aumento della Dopamina si porta, a ruota, un incremento della produzione della Noradrenalina, della Feniletilamina, dell’istamina e delle encefaline (categoria di oppioidi secreti dall’ipotalamo, che contrastano il dolore e aumentano il piacere ). Forse per questo, l’eccitazione che proviamo nell’attesa, crea una leggera vertigine, simile a quella provocata da una piccola dose di anfetamine oppure da generosa quantità di cioccolata (che contiene, appunto, Feniletilamina).

Rimane coinvolto anche il sistema neurovegetativo che a sua volta, “si tira dietro” organi e apparati cosiddetti “involontari” (respiratorio, cardiocircolatorio, digerente, etc.)

Il “piacevole” prezzo da pagare, consiste nella temporanea riduzione di Serotonina, che produce quel certo sentimento di “magnifica ossessione”.

Da quanto riportato, si comprende come, a questo punto, la ricerca del contatto intimo sessuale, diventa importante perché, lo scambio psicologico (di idee, emozioni e sensazioni) e biochimico (ormoni, attraverso i diversi fluidi biologici) rinforza ogni sensazione creando un sempre maggiore attaccamento.

LA “MICCIA” CHE SI ACCENDE…

Queste due immagini articolate (all’interno di una stessa slide), mostrano la zona del cervello particolarmente coinvolta nel processo che descritto poc’anzi. La prima (in alto), riassume i punti della corteccia cerebrale attivati durante l’amore appassionato. (quelle che mediano le emozioni, la motivazione, la gratificazione, la cognizione sociale, l’attenzione e la percezione di sé). Per la seconda (in basso, a sfondo bianco), basti sapere che, laddove trovate il glutammato, lì sta accendosi più di una “miccia”; in presenza del Gaba (Acido Gamma Amino Butirrico), si interviene per “spegnere” un po’ di stress.

“Vorrei essere il vestito che porterai, il rossetto che userai…Vorrei essere l’acqua della doccia che fai, le lenzuola del letto dove dormirai… Vorrei essere il motore della tua macchina così, di colpo, mi accenderai. Tu non mi basti mai, davvero non mi basti mai! Tu, dolce terra mia… dove non sono stato mai”. (Lucio Dalla)

Seguendo le vie dell’amore, nel mio personalissimo viaggio all’interno del cervello vado a visitare, sempre più, “i piani nobili e i loro appartamenti”: là, dove gli istinti si rivestono di sentimenti, dove le impressioni e le sensazioni diventano percezioni e rappresentazioni, dove anche gli oggetti e i fatti vengono coltivati; dove sono regolati i nostri comportamenti e ogni nostro singolo atto. Luoghi di memoria e di sapere che fanno di noi degli Homo sapiens. Credo di poter affermare senza timore di esser smentito che l’amore è quel momento in cui, invece di subire il senso delle cose, diamo loro senso.

IL BISOGNO DELL’ALTRO.

Bisogno… mancanza. Ed ecco che si “incontra”, rinforzato, il desiderio, come espressione della mancanza.

E, a questo punto, ritorna in gioco il doppio binario: si, perchè, di fatto, noi cerchiamo nell’altro, quegli aspetti che possono soddisfare dei nostri bisogni. Nel dare o nel ricevere. Se abbiamo un bisogno di relazione, cerchiamo il ‘contatto’ psicologico . Se esistono carenze ( affettive, sociali, etc.), l’altro diventa occasione di compensazione. E, in questo caso, nasceranno dei problemi.

AD ESEMPIO…

LA SESSUALITÀ AL SERVIZIO DELL’ANGOSCIA

(tratto dalla pagina FB della dottoressa Claudia Boffilo, Psicologa Psicoterapeuta, specializzata SFPID)

“La sessualità non sempre è al servizio del piacere; in alcuni casi, è al servizio dell’angoscia. Pensiamo, ad esempio, alla sessualità compulsiva, in cui il sesso ha la stessa funzione che per il bambino ha la suzione del pollice: calma, seda, abbassa i livelli di angoscia. Ciò non ha nulla a che vedere con l’accesso ad una genitalità matura, ma è l’espressione di un’oralità primitiva, che si traduce nella ricerca di un oggetto consolatorio, al fine di trovare una qualche forma di coesione del Sé, che esita in una sessualità cortocircuitata, monopersonale e mortifera.
Non solo c’è un rifugio nell’azione e un’avversione per il sentire, ma c’è anche un tentativo di salvare la propria mente usando il sostegno del corpo, che viene eretto a strumento di regolazione della mente stessa, incapace com’è di autoregolarsi”.

OPPURE…

SE CI SI TROVA IN UNA CONDIZIONE DI ADEGUATA MATURITA’ COMPLESSIVA, a questo punto della “storia” si è in grado di realizzare quello che si chiama “sublime” erotismo

ANCORA...

“Giri armonici di corpi sudati, che si ritrovano odorandosi ansiosi. E il tempo parte. Fra schiocchi che decollano dal ritmo imposto dai sensi, in un contorcersi infinito che non dà tregua.

E la fame aumenta.

E bevi le stille del mio sudore dal cavo della mia schiena, scendendo fino in basso, con le mani che ingordamente impastano i miei sensi. Mi contorci nella percezione di forza che imprimi sulla mia pelle,e mi chiedo come fa ancora ad aumentare la mia fame di te.

Dovrei smettere di farmi domande, chiudere il cervello e ascoltare solo i sensi che, sinusoidi impazzite, governi a tuo piacimento. Ma la testa ancora funziona e oggi, avverte distintamente il crampo che dall’anima sale lento, a dire che ti amo.Non è solo il tuo corpo quello che avverto adesso, ma l’ancestrale profondo del tuo essere che voglio senza remore.

Brutale e vero.

Che si contorce e spasima, che sbarra gli occhi per catturare ogni barlume di luce e di me, in uno sguardo che non riesco né a sostenere, né a ricambiare, perché mi ruba l’anima. E ho paura di questo, che ho disperatamente voglia di perdermi definitivamente, e non andarmene più da qui.

Sto modificando la mia percezione degli odori e dei sapori, associando i tuoi ai miei. E la tua naturale propensione a semplificare le cose mi rassicura, ma odio i miei muscoli non allenati che a volte cedono alla stanchezza, e forse dovrei semplicemente dirtelo.Ma resisto finché posso, perché non voglio mai staccarmi da te.

E quando alzo con una mano i miei capelli dalla spalla sinistra, e tu, capendo, affondi i tuoi denti in me, un brivido di piacere mi fa inarcare. Voglio essere cibo caldo, e vino forte e aria e luce e fare parte delle tue molecole infinite, per non staccarmi mai dal tuo corpo. Ed entrarti dentro per satollarti del mio essere, anche quando teneramente, mi salti addosso, per ricominciare a saziarti di me.

E ancora, e ancora, e ancora fame e ancora cibo e ancora lotta viscida, profonda e nostra. Con le mani che si aprono ad accogliere la forza che ci trasmettiamo, attimo per attimo, momento dopo momento, in pomeriggi ripidi e infiniti e veloci e troppo lontani per essere di sostegno nel ricordo.

Perché la mente non può registrare tutto.

La mia non ce la fa, e mi restano sprazzi di immagini e di sensazioni che non fanno che acuire il tuo senso di lontananza, sostenendo il mio tempo in tua assenza.

E infine il tuo urlo primordiale, che sfoga i tuoi sensi e la tua rabbia profonda su di me. E io, che non sono né vittima, né carnefice, ma sacerdotessa smaniosa e accogliente, mi vesto del tuo umore, accogliendolo su di me. Guardami adesso…. Guardami ancora….. e ricomincia se vuoi”. (G. D.)

ASPETTI PSICOANALITICI DEL DESIDERIO EROTICO (Otto. F. Kernberg)

Se volessimo attuare una “esplorazione psicoanalitica” delle caratteristiche del desiderio erotico (alla stregua dei coniugi William Masters e Virginia Johnson per ciò che concerne l’anatomia e la fisiologia del rapporto sessuale), potremmo trarre spunto da quanto descritto da Otto Kernberg, nelle sue “Relazioni d’amore”

Nella dinamica erotica che si genera fra due interagenti, in primo luogo c’è la ricerca del piacere, orientato verso un’altra persona verso cui si sente un irrefrenabile impulso di penetrare e invadere o da cui essere penetrati  e invasi. È un desiderio di intimità fusione e unione in cui, i confini psicologici fra i due sessi (femminile e maschile), non sono più nettamente distinguibili.

Una seconda caratteristica del desiderio erotico è l’identificazione con l’eccitazione sessuale e l’orgasmo del partner,“ allo scopo di godere di due esperienze fusionali complementari”. Campeggia su tutto, in questo caso, “il piacere che nasce dal desiderio dell’altro, dall’amore che si esprime nella risposta al proprio desiderio sessuale e dall’esperienza di fusione nell’estasi che vi si accompagna. C’è, qui, anche la sensazione di appartenere a entrambi i sessi nello stesso momento, di superare temporaneamente le barriere , di solito invalicabili, che separano i due sessi e il senso di completezza e di gioia. che ne deriva..”

Un terzo aspetto del desiderio erotico è il senso di trasgressione, di sfida alla proibizione implicita in ogni rapporto sessuale…”  che deriva dal condizionamento subito, da bambini, per l’imposizioni delle regole “edipiche” (che hanno ridimensionato il nostro smisurato EGO) e che appresenta, quindi, una implicita sfida e disobbedienza: come se, in questo modo, si riacquisisse il controllo sulle regole e su chi ce le ha imposte.

L’AMORE SECONDO EINSTEIN

“Io non pretendo di sapere cosa sia l’amore per tutti, ma posso dirvi che cosa è per me: l’amore è sapere tutto su qualcuno, e avere la voglia di essere ancora con lui più che con ogni altra persona. L’amore è la fiducia di dirgli tutto su voi stessi, compreso le cose che ci potrebbero far vergognare. L’amore è sentirsi a proprio agio e al sicuro con qualcuno, ma ancor di più è sentirti cedere le gambe quando quel qualcuno entra in una stanza e ti sorride.” (Albert Einstein)

PROCEDENDO NELLA FREQUENTAZIONE, IN BASE AD UNA SERIE DI FATTORI (SOPRATTUTTO IL RAPPORTO CON LA PROPRIA SOLITUDINE) CHE RIGUARDANO LE IDENTITA’ DI CIASCUNO DEI PARTNER, RITROVEREMO IL “DOPPIO BINARIO”…

“Ah, come poco indovinano gli uomini le condizioni dell’anima altrui, se non la illuminano, ed è raro, coi getti di un amore profondo”. (Giuseppe Mazzini)

UNO DEI PRINCIPALI FATTORI DI COLLABIMENTO, NELLA COPPIA, È IL RAPPORTO CON LA PROPRIA SOLITUDINE

La solitudine, siccome ci sintonizza con le frequenze del nostro mondo interiore, costituisce un amplificatore di stati d’animo; di conseguenza, pur appartenendo a principi di Natura, ci fa consapevolizzare la paura di sentirci inadeguati a sostenere il dialogo con quella parte di noi che ritroviamo ogni mattina quando ci osserviamo in una sorta di specchio interiore che ti dice esattamente come stanno le cose. Ecco perché la solitudine, a certe condizioni, può diventare difficile da sopportare.

Sostanzialmente, quando non riusciamo a distrarci in compagnia di altre solitudini, se non abbiamo acquisito sufficiente conoscenza di noi (e, soprattutto, auto conciliazione) diventiamo preda di pensieri svalutanti, irritanti e conflittuali creati da quella parte del nostro Inconsapevole che la psicoanalisi chiama “Persecutore / Sabotatore interno” e che nasce dai fallimenti e dalle ferite non elaborate, con l’obiettivo di tenere la psiche in uno stato di reclusione, pare paura e, in fondo, anche per un po’ di sadismo nato dai rimproveri svalutanti ricevuti fin da piccoli.

Per cui, la coppia, diventa un momento di solitudini condivise. L’importante, comunque, è che non diventi la stampella del non riuscire a star soli.

Da piccolo, mi disturbava l’idea di imborghesirmi. Come ho scritto più volte, all’età di 13 anni, con due compagni di classe, fondammo una mini associazione eversiva (Il“Nucleo Sterminio Borghesi”) che per fortuna (soprattutto nostra) si sciolse prima che combinassimo guai seri.

Fra le “orripilanti” possibili scelte borghesi, c’era quella di “rinchiudersi” all’interno di un rapporto di coppia stereotipato. Senza più sogni nel cassetto.

PRENDENDO SPUNTO DALL’OSSERVAZIONE, SI PUO’ ARRIVARE A TEORIZZARE DUE MODI DI INTENDERE IL RAPPORTO DI COPPIA

Partendo dal principio che, nella lingua italiana, il termina coppia identifica due individui che condividono interessi e obiettivi, se vogliamo riferirci a due persone che si legano, anche, sul piano sentimentale, per ipotizzare quanto potrà durare la “frequentazione”, abbiamo la necessità di analizzare un po’ di elementi…

Ad esempio, dal momento che, con il termine “impegno”, intendiamo il lavoro da fare per costruire qualcosa di concreto, possiamo affermare che è necessario impegnarsi per creare le condizioni atte ad incontrare in maniera continuativa ed “esclusiva” un partner con il piacevole desiderio (che, secondo leggi di Natura è, in realtà, un bisogno) di costruire “qualcosa di più” di una semplice frequentazione anche se intima.

Perché accada una cosa del genere, non guasta aver fatto un certo numero di esperienze meno “impegnative” (anche se gratificanti) e basate sul rispetto reciproco, sulla correttezza e sulla maturità personale.

In questo modo si arriverà a capire qual è il limite di un rapporto di stretta e intima amicizia “senza nulla a pretendere”, rispetto alla possibilità di una donna (o un uomo) che si dedichino a noi e ci accolgano con piacere, anche quando non “ci facciamo annunciare”.

Molteplici sono le sfaccettature delle relazioni e delle interazioni, perchè tantissimi sono i potenziali concorrenti e indefinite le produzioni emotive (peraltro, non ripetibili). Però, in linea di massima, due possono essere le possibili varianti di una coppia (escludendo, ovviamente gli incontri “occasionali”).

In una coppia che potremmo definire “pret a porter”, non sono importanti i fattori specifici sui quali si fondano le regole (non scritte) prodromiche della costruzione di un Amore e la frequentazione che, in questo caso, difficilmente sarà continuativa e, ancor più difficilmente, prevederà il concetto di solidarietà reciproca. Questi elementi potranno riguardare, di volta in volta, un dialogo più o meno costruttivo, dei sentimenti di amicizia, una passione più o meno intensa, che duri nel tempo. D’altronde, non essendoci obblighi, ci si incontra solo alle migliori condizioni di entrambi e solo quando, entrambi, ne hanno voglia.

In una coppia che tende alla costruzione di un rapporto di maggiore stabilità, invece, prevalgono aspetti più profondi che, a certe condizioni (maturità e validità di entrambi i partner), sono fattori incubatori di un “piacere globale”, in una “casa comune”, con progetti di vita insieme e a lungo termine. Dal momento che si punta a conoscersi a fondo (uscendo dall’egocentrismo personale e aprendosi alle esigenze dell’altro), un simile rapporto può essere paragonato a un abito su misura, costruito pian piano… in maniera unica e irripetibile.

“Due esseri umani percorrono un tratto di strada insieme, per il piacere di condividere un progetto, una giornata di mare, una passeggiata… o, anche, un momento di tristezza. Un braccio cui legarsi quando si prova del dolore, trasforma le due solitudini in un fluido caldo che scorre all’interno degli angoli dell’anima. Può essere la tua memoria, la giornata che vuoi ricordare o anche il momento più difficile da dimenticare”. (F. A.)

CONTINUANDO…

Fra gli altri, la disponibilità all’aiuto reciproco e le sollecitazioni affettive (e “di crescita interiore” che ne possono conseguire) che, solo la frequentazione assidua e ben motivata, può portare; inoltre, il condividere degli spazi, rappresenta uno stimolo a ridurre l’egocentrismo a favore dell’egoismo positivo (la tutela di sé, nel rispetto dell’altro).

Spesso, però, dimentichiamo un elemento importante: è necessario, prima di ogni altra cosa, realizzare le condizioni per provare piacere a stare con se stessi; poi, in seconda battuta, quando si frequenta il partner, si cerca di star meglio. Un compagno, quindi, deve essere visto come uno stimolo che migliora una situazione già favorevole, non una condizione necessaria indispensabile per star bene.

Esiste la necessità di un’omogeneità di visione delle cose e degli interessi?

Questo è un problema apparente perché, di fatto, non è indispensabile pensarla allo stesso modo, su tutto. La compenetrazione dei pensieri, l’omogeneizzazione delle aspirazioni e dei sentimenti si crea nel tempo (se il rapporto funziona, ovviamente) e man mano che i problemi personali di integrazione sociale e realizzazione lavorativa, tendono a risolversi.

Nei primi tempi, c’è un’enorme diversità… e questo è naturale e positivo, perché consente di rivedere le proprie posizioni e certi modi di vedere le cose. Pian piano (anche attraverso il meccanismo di “Amore, odio e riparazione” descritto più in basso), ognuno dei due cambierà qualcosa del proprio modo di essere e di rapportarsi con l’altro, “avvicinandosi” al partner. QUESTO, RENDE DIVERSI E MIGLIORI.

AMORE, ODIO, RIPARAZIONE

Il concetto di “riparazione” espresso dalla psicoanalista Melanie Klein identifica la capacità (e la disponibilità) di preoccuparsi, di prendersi cura dell’altro e di rimediare ai propri errori a partire da un autentico riconoscimento delle proprie colpe. Tale termine compare, per la prima volta, nella teoria kleiniana come tappa fondamentale nello sviluppo infantile normale, che ha origine all’interno della prima relazione tra il bambino e la propria madre nella quale, un misto di sentimenti che spaziano dall’amore all’odio (per via delle “pretese” sempre più asfissianti), darà luogo a profondi sensi di colpa e al bisogno di riparare: questo, costituirà un importante conquista per le “sane” relazioni interpersonali, evitando il perdurare di posizioni sgradevoli.

AGGRESSIVITA’ E DUALISMO PULSIONALE: “ODI ET AMO”

La Scienza ci spiega che tutto quello che conosciamo (e a maggior ragione tutto ciò che, ancora, dobbiamo conoscere) pare abbia inizio dall’insopportabilità dei quark, condannati alla frustrazione che nasce dall’illusione di potersi “affrancare” e dalla delusione di doversi “reicontrare” (con gli altri quark con i quali formano protoni e neutroni) e che è ben simboleggiata nella teoria del dualismo pulsionale di Freudiana memoria.

Come ho già avuto modo di scrivere all’inizio di questa monografia,  alcuni grandi autori “vedono” l’amore come frutto di una perversione (intesa come propensione più o meno consapevole a generare danno, provandone compiacimento).

E, a ben guardare, se osserviamo il complesso rapporto fra madre e bambino e consideriamo l’importanza delle cure maternali  e l’ingrato compito del “principio della disillusione” (ben descritto da Winnicot) che espone il bambino alle frustrazioni che lo “costringeranno” a crescere, riusciamo ad osservare una sceneggiatura esistenziale nella quale, all’inizio, tutto è bello all’interno della pigra beatitudine del lago ameno in cui madre e figlio sono immersi in una fusione “autistica” priva di perturbazioni mentre, il prosieguo, è irto di difficoltà e fastidi che irritano non poco e rendono quanto mai attuale il principio conflittuale che lega Amore e distruzione (Thanatos) e descritto (già nel 1922) da Sigmund Freud ne “ Al di là del principio del piacere” a proposito del concetto di Dualismo Pulsionale che vede contrapposte le pulsioni dell’Io (che traggono origine dal farsi vivente della materia inanimata e cercano di ripristinare lo stato privo di vita) e le pulsioni sessuali (che, partendo dal principio del piacere, attraverso il congiungimento e la procreazione, tentano la via dell’immortalità).

Odi et amo è il titolo (e anche l’incipit) del carme 85, famoso componimento  del poeta latino Gaio Valerio Catullo. Pur essendo molto breve (letteralmente, un “distico elegiaco”), racchiude  tutto il dissidio interiore del poeta. L’antitesi “Odi et amo” (l’amore passionale per Lesbia e l’odio profondo per i suoi continui tradimenti) anticipa, se vogliamo, gli studi sulla contraddizione del sentimento d’amore, nell’essere umano tradotti dalla poetessa greca Saffo, come “dolceamara invincibile fiera”

AGGRESSIVITA’, AMORE E COPPIA

All’interno di una relazione amorosa, come abbiamo visto finora, si ripercorrono gli stilemi archetipali (cioè previsti da madre Natura) del rapporto pre edipico (“Mamma è di mia proprietà ed è indispensabile per farmi star bene perché mi concede tutto”), edipico e post edipico (“si intromette quell’intruso di papà che reclama il suo posto! Vorrei che morisse! Forse no, però… ha ragione lui… sono rimasto solo! Non mi resta che crescere!”).

Insieme all’intimità sessuale, cresce l’intimità emotiva e, con essa, fa capolino quella certa ambivalenza presente, fin dalla prima infanzia, nel rapporto fra la mamma e il bambino che si arrabbia perché, non potendola avere “sempre sempre” vive il genitore come un elemento sadico provocatorio che, prima ti seduce e, poi, si fa desiderare senza concedersi per come tu avresti voluto.

Il fatto è che, neanche il bambino sa esattamente cosa vorrebbe dalla propria madre: sa solo che la vorrebbe sempre accanto come elemento rassicurante e “paradisiaco”.

A questa fisiologica confusione (che si traduce molto spesso, nell’adulto, in una relazione idealizzata che, non potendosi realizzare, porta alla rabbia verso la propria compagna), si aggiunge il senso di colpa per aver preteso senza considerare anche il “terzo ecluso” che può essere il padre, o il fratello (o la sorella) o le normali esigenze esistenziali della madre.

Da qui, una vita con l’angoscia come “fida compagna” che può sfociare, negli uomini con “narcisismo patologico” ad una svalutazione inconscia della propria compagna e nelle donne che hanno avuto una madre particolarmente “ostile”, ad una struttura relazionale di tipo sadomasochistico, oppure in una svalutazione degli uomini che si innamoreranno di loro.

Come ci spiega lo psichiatra e psicoanalista Otto Kernberg, tramite l’identificazione proiettiva, ciascun partner tende a indurre nell’altro, le caratteristiche emotive “vissute” (fin dalla più tenera infanzia)  nella lotta di amore e odio con la propria madre e, in definitiva, anche col proprio padre. Pe identificazione proiettiva, Kernberg intende quel meccanismo inconscio non particolarmente maturo che porta a vedere, nell’altro, qualcuno che non è lui ma l’immagine di altri con cui lo “rivestiamo”, provarne paura, indurre inconsciamente, in questo “altro”, una reazione simile e tentare, infine, di controllare quello che si è provocato: sostanzialmente, un “armare la mano” dell’altro e, poi, cercare di disarmarlo…)

Quindi, il ruolo dell’aggressività è estremamente importante, nel bene e nel male.

L’esperienza clinica e l’osservazione pratica ha portato a concludere che, in ciascuno di noi, una condizione carenziale di cure materne, non consente di interiorizzare la capacità di modulare le proprie emozioni che, a quel punto disregolate, si possono esprimere (a seconda del modello di apprendimento e del contesto storico/ geografico) in specifici  acting-out (abuso di alcol e droghe; disturbi comportamentali, violenze di vario genere, etc.) e/o acting-in (psicosomatosi anche gravi).

Questo eccesso di  “scariche”, determina una sorta di black-out psichico che ci fa perdere il controllo

Gli acting in psicosomatici e gli acting out (psicocomportamentali) sono, pertanto, modalità di espressione che conseguono ad una sovrasaturazione energetica, ne consentono lo “sfiato” (evacuazione dell’angoscia) ma determinano una condizione di “navigazione a vista” senza più coordinate logiche (cecità psichica) che non consentono di consapevolizzare i motivi di questo malessere.

IL”LUDUS MARTIFERO” DELLA RABBIA

Come già espresso all’interno di questo lavoro se, prima di incontrare l’altro non abbiamo risolto determinati conflitti interiori che, come abbiamo visto, ci accompagnano fin dall’infanzia,  correremo il rischio di cercare (sempre nell’altro)  dei sostituti immaginativi che mi porteranno ad interagire proprio quella persona che mi porta il problema da cui io dico di voler fuggire.

Tutta la rabbia che si accumula a seguito di ciò e attraverso gli scontri che si determineranno, tenderà a generare scariche di odio e vendetta attraverso un ciclo ossessivo.

LA POSIZIONE DELL’ATTESA

“Io mi aspetto che l’altro si comporti secondo il mio desiderio e secondo i miei modelli a cui si tiene il tempo. In questa posizione ogni azione dell’altro sarà disconfermata e/o svalutata qualunque cosa faccia”.

La posizione dell’attesa può diventare una delle peggiori perché porta ad una sorta di desiderio di relazione con l’altro attraverso la sua “falsificazione” e la pretesa che diventi sempre più come noi vorremmo che fosse…

TU LO DOVEVI CAPIRE

Nella slide riguardante IL RUOLO DELLA RABBIA, proposta qualche rigo più sopra, è sintetizzato il concetto espresso del “ludus mortifero” della rabbia. Nella parte inferiore della slide, però, c’è un riquadro nel quale è riportata la domanda: Cosa possiamo costruire, insieme?

Si riferisce, secondo il concetto del “doppio binario” espresso fin dall’inizio, ad un utilizzo più positivo dell’aggressività, che viene spiegato (anche chiedendo aiuto alla Fisica) nei capitoli seguenti.

IL MOMENTO DI COPPIA

Per capire un po’ meglio, come stanno le cose, proviamo a chiedere aiuto a quello che ci dice, la Fisica, a proposito di coppia, a partire dalla definizione: “Sistema di due vettori paralleli di ugual modulo ma di verso opposto, applicati ad un corpo (cioè che girano intorno ad un fulcro).

In buona sostanza, a livello simbolico, una coppia di forze, rappresenta due esseri umani che agiscono, spingendo una immaginaria leva (o “ braccio” che, in base alla vicinanza emotiva e di condivisione, può essere corto o lungo) che ruota su un’asse centrale, determinando il movimento circolare che produce i dinamismi di una vita a due.

LA ROTAZIONE DETERMINA UNA CONDIZIONE ESSENZIALE CHE SI TRASFORMA, A VOLTE, IN UNA SORTA DI MALEDIZIONE…

Infatti, l’azione congiunta di due individui che, per la Fisica, debbono avere la stessa importanza, determina l’attivarsi di un percorso che, in base alla distanza fra i due, avrà una circonferenza variabile. Maggiore è il raggio della circonferenza (la distanza fra i due) minore sarà lo sforzo da sopportare. Maggiore, invece, sarà la fatica, nel caso il raggio dovesse essere minore.

Questo spiega perchè, sempre (ma non più tanto) metaforicamente, più ci avviciniamo come interessi, obiettivi e, di conseguenza, intimità, maggiori saranno gli attriti conflittuali…

Al contrario, più aumentiamo le distanze, minori saranno i problemi di interazione, anche se, poi, rischiamo di perderci. Un po’ alla volta.

Abbiamo potuto apprezzare, prima, la descrizione offerta da Racamier, nella quale si paragona la relazione d’amore a quella che crea il neonato quando entra, con la madre, in una intensa relazione di mutua seduzione che serve (almeno all’inizio) a mantenere un accordo perfetto nel quale, insieme (madre e bambino), è come se si calassero nelle acque “amniotiche” di una lago senza increspature.

Sembrerebbe, quindi, che una relazione determini una sorta di “chiusura autistica” ma, a ben guardare, le cose non stanno così: infatti, se si “cresce” insieme interviene un fattore apparentemente frustrante che è la disillusione post falsificazione (cioè, quando ci accorgiamo che l’altro non è come avremmo voluto che fosse) che, di fatto, offre l’opportunità di migliorare l’esame di realtà (cioè, ad esempio, l’altro è meglio di quello che immaginavamo di volere) e di piantare il primo vero paletto di autonomia dalla dipendenza dall’altro.

Questo “passo in avanti” equivarrebbe (per tornare un attimo alla descrizione di Racamier) al ruolo del Padre che “detronizzando” il figlio dalla diade con la propria madre, lo costringe a crescere attraverso il processo di separazione dalle sue “origini”.

COSA RESTA DEL PADRE?

Freud chiamava tutto ciò, “superamento del complesso di Edipo” e, come spiega Massimo Recalcati nel suo “Cosa resta del Padre?”, il figlio si vede assicurata la possibilità di sganciarsi dalla palude indifferenziata del godimento e di avventurarsi verso la ricerca in maggiore autonomia.

All’interno della sua interessante opera, Recalcati descrive due modi di essere “PADRE” che, simbolicamente, vengono incarnati nella figura Omerica di Ettore (come funzione di guida “etica”) e il padre di Freud descritto (da Sigmund stesso) come piccolo borghese indebolito e umiliato: sostanzialmente (per dirlo alla Freud) “Castrato” (senza coraggio) o, per essere più moderni, “forcluso” (cioè, messo da parte).

In realtà, come spiegano i grandi autori psicodinamici, entrambe queste caratteristiche sono presenti, nel Padre, in maniera ambivalente. Allo stesso modo, in ogni relazione d’amore, coesistono la possibilità di evolvere in maniera adulta o languire in una prigione di infantilismo emotivo.

A tal proposito, propongo una interessante fotografia d’epoca (estrapolata dal profilo FB di Rossella Spadafora dalla quale si evincono alcuni perchè delle interferenze (emotive e fisiche) nelle relazioni di coppia…

LA MADRE COCCODRILLO

“E’ stato, in particolare Lacan (sulle orme di Melanie Klein), a inoltrarsi verso una rappresentazione più inquietante del desiderio materno proponendo di accostarlo alla bocca spalancata di uno spaventoso coccodrillo. in questa versione la madre, anzichè fungere da riparo dell’angoscia, la provoca, la scatena, diventa un’incarnazione terrificante della minaccia che rende instabili, sia il mondo esterno che quello interno” (Massimo Recalcati – le mani della madre)

Vedremo, nel prosieguo di questo lavoro, quali ricadute avrà, all’interno del rapporto di coppia, la presenza di una madre “ingombrante”.

LA MALEDIZIONE DI GIRARE IN TONDO…

Ritornando al discorso del “MOMENTO DI COPPIA” (peraltro ben spiegato dalla Fisica, che analizza ciò che accade, nell’Universo, dal più “piccolo” al più “Grande” e che è replicato, in noi, che siamo composti degli stessi costituenti di base, cioè, circa meno di 10 particelle fondamentali, dell’intero Sistema che ci comprende) appare chiaro che, per quanti sforzi si facciano, non riusciremo mai a “toccarci”, con l’altro…

Escludendo la stretta, vincolante, materna espressa nella foto sopra riportata

Ed effettivamente, per quanto cerchiamo di entrare in sintonia con la persona che amiamo, non saremo mai in grado di trasmettere i nostri sentimenti per come li generiamo, nella nostra mente e nel nostro cuore.

Quello che, al massimo, ci riuscirà, sarà il provare a far capire, con gesti e parole, ciò che proviamo. L’aderenza alla nostra realtà emotiva, sarà direttamente proporzionale al grado di empatia dell’altro. Cioè, tanto più, chi ci ama, sarà sensibile e concentrato su di noi, tanto maggiore sarà il suo sommovimento emotivo, con un risultato simile a quello di tanti diapason che vibrano insieme, ad una frequenza simile alla nostra. Non “la” nostra ma, nella migliore delle ipotesi, “simile” alla nostra.

MA NON SI POTREBBE PROCEDERE IN LINEA RETTA, ANZICHÉ GIRARE IN TONDO?

Albert Einstein, nella sua Teoria della Relatività “Generale”, spiega che, i corpi, non attirano altri corpi (come sosteneva Newton) ma sono in grado (in base alla propria grandezza) di piegare lo spazio all’interno del quale si muovono altri corpi.

In pratica, ponendo come esempio il Sistema Solare, non è che la Terra giri intorno al Sole perchè, quest’ultimo, la attrae con forze invisibili (la gravitazione, ad esempio)… è che il Sole riesce a piegare tutto lo Spazio intorno a sé, costringendo il nostro e gli altri pianeti (a cui sembrerà di correre su una strada lineare…) a girare come dentro la ruota di una roulette dove, o cammini ad una certa velocità (sviluppando un’energia centrifuga in grado di contrastare l’attrazione), o vieni risucchiato, appunto, dallo spazio che si flette verso il centro.

A sua volta, comunque, lo stesso Sole (e l’intero suo Sistema), viene attratto (come se fosse all’interno di un gigantesco mollusco flessibile) dallo Spazio incurvato da masse (galassie, etc.) di dimensioni maggiori delle sue.

LA CURVATURA DEL TEMPO E DELLO SPAZIO NEL RAPPORTO DI COPPIA

Ciascuno dei componenti della coppia, pur avendo la percezione di vasti orizzonti di fronte a sé, in realtà viene attratto dallo spazio che, l’altro (quando è autorevole, ovviamente), riesce a incurvare. Siccome il rapporto dovrebbe essere (e ce lo chiede la Fisica!) equivalente, ecco che, entrambi, si attraggono e girano l’uno nella “curvatura” dell’altro riuscendo a piegare, in tal modo, anche il tempo percepito

POI…

Man mano che, ciascuno dei due, determina un input a crescere, interiormente, verrà ad aumentersi la distanza del raggio (d’azione), rinforzando un reciproco bisogno di autonomia che, pur mantenendo (se non, addirittura, rinforzando l’unione interpersonale), “prepara” al momento della “condivisione universale” post mortem quando, cioè, si rientrerà a far parte del “Tutto”, sul piano dell’Energia (particelle elementari, atomi, molecole, etc.).

IN PRATICA

Frequentarsi in sintonia ma nel verso opposto (come spiegato nella definizione di “coppia di forze”) produce una sorta di pre annichilazione, generando quell’incontro fra particelle e antiparticelle, che porterà all’equilibrio (“assoluto”?) che avremo, definitamente, una volta dismessa la dimensione umana. Almeno per come la conosciamo.

E SE, NEL MENTRE, NON SI “MATURA” INTERIORMENTE?

Allora, paradossalmente all’inizio, la rotazione sincronizzata aumenterà per quella sorta di incastro nevrotico di cui parla la Psicologia; successivemante si tenderà a schizzare fuori orbita. Per entrare in altre orbite, volare con un’ala sola in cerca della “giusta” metà… o perdersi nell’Universo “sconosciuto”.

Odi et amo. Quare id faciam, fortasse requiris. Nescio, sed fieri sentio et excrucior”

Odio e amo. Forse mi chiedi come io faccia. Non lo so, ma sento che ciò accade, e ne sono tormentato”

(GAIO VALERIO CATULLO – Odi et amo carme 85).

Ma che tipo di difficoltà si incontra?

Partiamo dal fatto che, di solito, quando si è piccoli (anagraficamente parlando), si devono condividere e subire, spazi e prepotenze degli altri componenti della famiglia di appartenenza (fratelli, genitori). Di conseguenza, appena ci si emancipa (andando, magari, a vivere da soli) si cerca di affermare le proprie istanze su quelle degli altri. A queste condizioni, l’idea di condividere, sacrificandosi nuovamente, qualcosa con un altro, arride solo fino a quando non termina l’effetto “novità”.

Proprio quello che ho provato più volte…

Con una battuta che ho proposto tanto tempo fa, potrei illustrare lo stato d’animo che connota i vari momenti della vita di relazione di un essere umano, partendo dall’adolescenza: “Purtroppo loro (i familiari, soprattutto fratelli o sorelle), finalmente IO (per la libertà conquistata), in un certo qual modo… noi (l’ambivalenza che “tira la giacchetta”, nello stare col partner).

Via via che il rapporto si approfondisce, l’ipotalamo stimola la produzione dell’ormone OSSITOCINA, che stimola sentimenti di tenerezza e calore, rafforzando inoltre i recettori cerebrali legati al circuito delle emozioni. Baci, carezze e l’approfondirsi dell’intimità, fanno aumentare ulteriormente i livelli di ossitocina. Un altro ormone, la VASOPRESSINA, collegato alla memoria, ci fa consapevolizzare e apprezzare l’importanza e il valore della fedeltà e della monogamia.

LE CONSEGUENZE DELL’AMORE, SULLE FUNZIONI CEREBRALI

La neurobiologia interpersonale, una delle ultime frontiere della neuropsichiatria, indaga le conseguenze dell’amore sul corpo e come il cuore influenza il cervello. Dai test risulta chiaro che i sentimenti aiutano a sentire meno il dolore fisico e persino a riprendersi da un ictus. La studiosa americana Diane Ackerman ha sperimentato gli effetti positivi nella cura a base di affetto sul suo compagno, dopo essere stato colpito da ictus.

Gli esperimenti che Diane Ackerman ha pubblicato sul New York Times sono impressionanti: “Ho cominciato a sperimentare nuovi modi di comunicare: attraverso gesti, emozioni facciali, giochi, empatia e una tonnellata di affetto. Lentamente il cervello del marito ha cominciato a rimettersi in moto rispondendo alle sollecitazioni”. A dimostrazione che sono i sentimenti a guidare il cervello.

La più grande scoperta della neurobiologia interpersonale è che il cervello non smette mai di modificarsi, come sostiene la teoria di Dan Siegel dell’Università di Pasadena, soprattutto mentre facciamo amicizia e scegliamo il nostro amore. Il corpo – spiega Ackerman – ricorda quell’unicità sentita con la mamma e cerca il proprio equivalente nel partner adulto”.

La sincronia tra la mente del bambino e quella della madre è stata fotografata grazie alla scansione elettronica del cervello ed è la stessa sincronia registrata, proprio, tra gli innamorati

Naomi Einseberger dell’Università della California è arrivata a conclusioni simili, partendo però dalla situazione opposta: ha dimostrato (come si può apprezzare dall’immagine di seguito proposta) che alcune aree del cervello che registrano il dolore fisico sono le stesse che si accendono quando si viene lasciati dal partner, nel momento in cui si vive, anche, una sorta di dolore sociale/relazionale

“A me è successo questo: non sono riuscito a fare finta di niente, non volevo, in fondo. Non potevo far altro che cercare di portarti con me, dal profondo, per egoismo quasi, per farmi stare bene. Anche se sapevo di non potere. Anche se era rischioso. Anche se tu non vuoi, anche se, infine, la tua felicità non dipende da me. E non posso fare a meno di chiedertelo di nuovo. Solo per essere sicuro: Verresti?” (Italo Calvino)

IL COMPIMENTO DELL’AMORE O L’INCONTRO NELL’INFINITO PRESENTE (FINE DEL RAPPORTO OPPURE AMORE DURATURO E “PROGETTUALE”)

Una delle domande che più spesso ascolto nel mio lavoro di psicoterapeuta è: quando finisce l’Amore? Quanto dura, in sostanza, una coppia?

I fattori possono essere tanti ma, su tutti, prevale l’interesse che nutre, ciascuno di noi nell’evitare di abbandonarsi alle passive consuetudini di lasciare che tutto scorra senza impegnarsi nel prendersi cura di sè, partendo dalla cura verso l’altro.

Ho descritto in “Eutanasia di un Amore” le difficili dinamiche di un rapporto che, un po’ alla volta, tende al dissolvimento e in “Buona Pasqua” il bello della condivisione emotiva, a prescindere dalle “persone” con cui si realizza

Il punto è: come si arriva a poter essere così empatici?

Cercando una possibile risposta, ho riflettuto su quanto sia crudelmente indifferente Madre Natura, a cominciare da quando, piccolini, ci confrontiamo con l’Immenso mondo (ai nostri occhi) dei genitori.

Ci sono tre possibili modalità di relazionarci con loro e, da questo, saranno gettate le basi per costruire il rapporto fra noi e il mondo, condizionando parecchio, la nostra capacità di amare noi stessi e la realtà che ci circonda (fatta di persone, animali, luoghi e circostanze). Alla radice c’è una difficoltà che nasce da un paradosso fisiologico: un genitore rappresenta un riferimento quasi assoluto, sul piano affettivo e di confronto maturativo; man mano che passa il tempo, se il suo lavoro è stato condotto positivamente, noi cresceremo più velocemente di lui e finiremo col superarlo. Inconsapevolmente, però, continueremo a cercare la sua “grandezza” nei momenti di difficoltà e, non trovandola (perché sono mutati i rapporti di “forza”), vivremo sensazioni frustranti simili a quelle che si provano, dopo aver subito un’ingiustizia.

  • La prima modalità di relazionale. “Consegnarci” al genitore (restando il più possibile nelle sue braccia e affidandoci al suo “pensiero”) e scoprire, nel tempo, di averlo “perso”, non trovando più, chi credevamo tanto più capace di noi. In questo caso, si sarà generata una sorta di “fusione”, pericolosa perchè potrebbe determinare una organizzazione di personalità capace di ammiccare l’occhio verso il mondo della psicosi
  • La seconda modalità. Tentare di plasmarci sul genitore identificandoci con lui e condizionando la nostra autonomizzazione per evitare, idealmente, di “perderlo”. Nel tempo, comunque finiremo con il generare conflitti con lui, ritenendolo responsabile dei nostri limiti e accusandolo, alla stregua di un bambino, di non essere abbastanza disponibile (cioè, al nostro completo servizio). In questo caso, avremo una sorta di “simbiosi”, foriera di disturbi borderline di personalità
  • La terza modalità. Se le condizioni ambientali lo consentono (genitori preparati per ruolo e competenza, assenza di stress eccessivi capaci di turbare la dinamica familiare, etc.) imparare a non aver paura dell’angoscia del “lutto originario” ( prodotto quando sei costretto ad accettare l’idea di non possedere altri se non, forse, te stesso; spiegata da Paul Claude Racamier come  “una traccia ardua, viva e durevole di ciò che si accetta di perdere come prezzo di ogni scoperta”) a favore di un rapporto basato, per lo più, sulla ricerca dell’autonomia. In questo caso, inizierà il cammino verso la scoperta di cosa significa essere “adulti”.

Quale che sia la scelta, inconsapevole, molto dipenderà dal condizionamento genitoriale e, soprattutto, dal suo grado di maturità. Il nostro modo di intendere il rapporto affettivo (anche con un partner) si baserà (e, spesso, non ce ne accorgeremo) anche sul nostro modo di stare in famiglia e sulle aspettative sviluppate.

IN UN’ALTRA VITA…

Io racconterò la storia di noi due come un vangelo, Io ti ruberò ogni giorno e ti porterò nel posto più vicino al cielo, Come sopra un avamposto, sull’eternità, sulla vita che sarà E sarà a qualunque costo la mia sola volontà. Io ti costruirò una casa e poi ti servirò come un altare. Io t’insegnerò ad andare come vanno via gli uccelli: più ridosso al mare, a un incendio di capelli, Nell’immensità di quel tempo che sarà E saremo ancora quelli di un’età che non ha età.

Io, te e quel nostro bene, tutti e tre ci teniamo insieme. Ora e qui e non basterà così neanche un’altra vita. Io, te e quel nostro bene, tutti e tre che ridiamo insieme. Ora e qui e da sempre siamo stati chissà chi in un’altra vita.

Io farò della mia anima lo scrigno per la tua bellezza, Io mi prenderò le pene nel sepolcro del mio petto: Dentro una carezza, nel miracolo di un tetto, nella luminosità di un domani che sarà. E sarai passione, affetto e strada che non finirà. Io, te e quel nostro bene, tutti e tre che corriamo insieme. Ora e qui, come in volo, fino lì, sopra un’altra vita. Io, te e quel nostro bene, tutti e tre che giuriamo insieme.

Ora e qui e poi sempre l’unica promessa di e per un’altra vita…

Ma il tempo ebbe fretta e scappò via, La gioia crebbe su un dolore, sola e con poca allegria che ti scalda le ossa del cuore.

“Ma che cosa è mai successo a noi?” Tu mi guardavi e non capivi. E che puoi farci se gli Dei dell’amore son stati cattivi con me e te e quel nostro bene… e tutti e tre ci lasciamo insieme
Ora e qui ci andrà forse meglio, sì, in un’altra vita. Allora un dì e per sempre ci ritroveremo lì. In un’altra vita, in un’altra vita.

Innanzitutto debbo chiedere scusa ai Lettori: avevo, infatti, parlato di tre colonne sonore “portanti” e, invece, ne compare una quarta.

Però, non c’era niente di meglio di questa coinvolgente composizione per “vivere” la parabola di un rapporto di coppia.

MA QUANTO DURA UN AMORE?

“Dobbiamo cercare sempre qualcuno da amare e da cui essere amati, perché una volta spariti l’amore e l’affetto dalla vita, in essa non resta ombra di gioia”. Cicerone (De amicitia, 102)

L’amore (inteso come bisogno di qualcuno che si prenda cura di noi) è innato e continuerà fino all’ultimo nostro respiro.

L’Amore (considerato come piacevole desiderio di prenderci cura di qualcuno come proiezione del bene che generiamo in noi) nasce se, fin da piccoli, ci hanno aiutato a guardare al di là del nostro naso, mediante un meccanismo di attaccamento (con la figura genitoriale) sicuro e non fusionale o simbiotico e delle relazioni oggettuali vissute senza la percezione del pericolo ma come opportunità di sviluppo empatico.

Purtroppo, le relazioni che nascono partendo dall’aspettativa dall’amare solo se si riceve amore sono molte di più di quelle che nascono col principio di amare, per generare amore e, paradossalmente, resistono molto di più di quelle che potremmo considerare più sane e costruttive.

Questo perchè si generano delle dinamiche perverse, nel senso che sono necessari aggiustamenti emotivi e comportamentali per fare apparire “lineare” quello che, invece, è “contorto”.

Si può molto più facilmente uscire da una relazione sana che ha raggiunto il suo “compimento”. Quale valore dare al termine “compimento lo vedremo dopo; ora proviamo ad analizzare cosa accade tutte le volte (e, purtroppo, sono la maggioranza) la coppia si trovi ad essere male assortita fondamentalmente sul piano della fallacia delle singole identità.

Nel momento in cui si percepirà di non riuscire a continuare, se non si è raggiunto un grado di maturità adeguato, ci troveremo a doverci dibattere fra due scelte, entrambe dolorose:

andare “contro” noi stessi, per tentare di mantenere in piedi un principio astratto (l’amore è per sempre, “sic et simpliciter”)

andare “contro” l’altro (che si aspetta di non essere lasciato) per uscire da un contesto nel quale non ha più senso restare. 

La soluzione non è semplice perché si devono prendere in considerazione molti aspetti “sociali” e “reali” che vanno dalla paura di compromettere la propria immagine agli occhi degli altri alla necessità di voler continuare, senza troppi sconvolgimenti, a stare accanto ai propri figli modificando, di fatto, l’obiettivo da “rapporto di coppia” a “Famiglia dalle cure parentali”.

“Caro dottore, riflettevo su come sia strana, a volte, la nostra esistenza. A distanza di un anno, la relazione con mio marito è priva di quegli scontri che ci avevano condotto sull’orlo della separazione!” – “Bene, dovremmo esserne contenti?” – “Al tempo, dottore. Agli occhi degli altri, siamo tornati ad essere la coppia affiatata di sempre… in realtà, ci evitiamo affettuosamente” – “Può precisarmi meglio il senso?” – “Dialoghiamo ma non comunichiamo; valutiamo ma non decidiamo nulla che riguardi la nostra relazione; si discute di ciò che ci sta intorno, ignorando quello che ci viene da dentro. In altre parole, abbiamo scelto, senza dircelo, di non incrociare punti di interesse comuni. Così non ha senso litigare e, pur volendoci bene, ci illudiamo di star bene!”.  (da “Equilibristi e trapezisti”)

E, FIN QUI, SAREMMO ANCORA ALL’INTERNO DI UN AMBITO ANCORA ACCETTABILE.

Il problema vero nasce dal fatto che chi è incapace di separarsi preferisce la distruzione (psicologica) dell’altro piuttosto che “il” lasciare andare: “Se non sei mia (o mio) non devi essere di nessun altro!”

Nel mondo antico, uno dei segni di potere del vincitore, consisteva nel rituale (non sempre esclusivamente simbolico) di nutrirsi del cuore del vinto. All’interno dei conflitti di una coppia altamente disfunzionale, si potrebbe arrivare anche ad uno dei più alti livelli di perversione emotiva che si traduce nella seguente questa considerazione (ci si augura, puramente teorica): “Io non ti lascio andare perché mi nutro del tuo cuore e, in questo modo, non ti avrà mai nessun altro!”

SEPARAZIONE – INDIVIDUAZIONE

La psicoanalista Margaret Mahler ha proposto un concetto fondamentale che dovrebbe essere trasmesso però, soprattutto dalle madri: il principio di “separazione-individuazione”. In pratica, quello che fa crescere le persone è la capacità di separarsi senza sentirsi “orfani” e riconoscendosi, al tempo stesso, capacità e qualità per andare avanti anche da soli.

Purtroppo, anche a seguito dei trascorsi di crescita personale, la prevalenza tende ad avere (soprattutto negli individui di sesso maschile) una sfumatura “borderline” (direbbero gli esperti, da “narcisista maligno”) in cui affettità e anaffettività si rincorrono e si alternano. Mi nascondo, ritorno, scompaio, sono presente, non sono presente: sono, di fatto, inafferrabile.

IL PARADOSSO

A queste condizioni, anche nel caso di riuscire a chiudere la relazione, ci si porterà dentro, avendola assimilata, la sofferenza subita (assumendo gli atteggiamenti del persecutore) che, paradossalmente, verrà inconsapevolmente esercitata all’interno di una storia che invece, si sperava, potesse dare risultati migliori.

IN CONCLUSIONE

Come abbiamo potuto osservare nei capitoli precedenti, in un tempo infinitamente breve possiamo percepire di provare interesse verso qualcosa o qualcuno, in base a rispondenze peculiari e personali. Però, siccome esiste il meccanismo dell’assuefazione, se non ci si continua ad impegnare per stupirsi (anche vicendevolmente, se parliamo di una qualsiasi relazione), dopo un po’… “tutto il resto è noia!”. 

Non migliorare l’intesa (fra partner affettivi, lavorativi, relazionali) porta ad ossidare il punto di contatto fra le parti riducendo, di fatto, il passaggio di quegli impulsi che rendono possibile il mantenere in vita il rapporto.

IL “COMPIMENTO” DELL’AMORE

“L’INCONTRO NELL’INFINITO PRESENTE”L’AMORE GUARDO’ IL TEMPO E RISE…

E l’amore guardò il tempo e rise, perchè sapeva di non averne bisogno. Finse di morire per un giorno e di rifiorire alla sera, senza leggi da rispettare. Si addormentò in un angolo di cuore per un tempo che non esisteva. Fuggì senza allontanarsi, ritornò senza essere partito: il tempo moriva e lui restava”. (Estrapolato della poesia di Antonio Massimo  Rugolo, erroneamente attribuita a Luigi Pirandello)

IL “COMPIMENTO” DELL’AMORE

Ogni relazione veramente “profonda”, ha il senso fondamentale di farci scoprire quello che noi siamo, quello che noi valiamo veramente perché, la presenza dell’altro, ci mette a nudo rispetto a noi stessi e costituisce, quindi, un momento costruttivo. A prescindere

L’amore ha un compimento cioè, significa che ha una durata

Per gli antichi Romani, Venere (Afrodite, per gli antichi Greci) rappresentava la Dea dell’Amore che aveva come specchio e prolungamento, Eros, considerato, al tempo stesso, figlio e compagno. Un po’ come dire che Venere si manifesta nell’amore spiritualizzato ed Eros in quello “incarnato”: sostanzialmente le due vie dell’Amore che si “realizzano” e si “compiono” con una durata che si riconduce alla durata dell’incontro.

L’INCONTRO NELL’INFINITO PRESENTE

Quello che chiamiamo “Tempo” è, in realtà, l’illusione di uno scorrimento: come in una pellicola, ogni fotogramma ha una vita a sé. E non è la continuazione né l’antecedente.

“In pratica, non esiste un “tempo orizzontale”: si invecchia, ci si incontra, ci si lascia e crediamo che, il prima, diventi il poi. E, per la stessa ragione, si ricorda, si rimpiange, si protesta, si spera. Perchè crediamo che ci sia stato un prima e ci sarà un dopo”. (Roberto Vecchioni – La vita che si ama)

Ogni “incontro” è costituito, esso stesso,  di attimi in cui fare incontrare le nostre reciproche emozioni, aspirazioni, attese, speranze. Sostanzialmente, le nostre rispettive personalità che, di per sé, generano, ogni attimo, una quantità infinita di idee che consentono la percezione della vita.

Occuparsi di noi, coltivandoci come un giardino capace di offrire piante, fiori frutti, pone le basi del principio del “prendersi cura”, attimo dopo attimo.

Come in un Infinito Presente

Incontrare la vita in uno sguardo, in un sorriso, in un abbraccio, ci riporta al momento in cui, nostra madre ci ha aperto le porte del suo mondo che è diventato, un po’ alla volta, il nostro Mondo, fatto di attimi da infilare come le perle di una preziosa collana tenute insiemedall’anello di quell’attesa chiamata “speranza”

L’esperienza di coppia, non sarà una serie di tanti “prima” che diventano “poi” ma l’insieme di tanti istanti, vagamente somiglianti, capaci di annullare l’angoscia del lutto primordiale e di aiutarci a crescere, insieme, istante per istante all’interno di una iperbole che non conoscerà curvature declinanti ma vita propulsiva, in un tempo verticale dove non c’è passato e non esiste futuro ma solo il Presente, Infinito con, dentro, Tutto ciò che serve, in un solo istante

“Perchè la Vita, quella che chiamiamo Vita, è l’intervallo fra un amore infranto e riunito; o riunito e infranto. E, il ricordo, è la Pena”. (Roberto Vecchioni – La vita che si ama)

Quindi, cari lettori, l’Amore non è ineluttabilmente “a scadenza”, come uno yogurt ma dura fin quando esistono degli obiettivi in comune. Le cose cambiano, a seconda che ci si riferisca (come ho accennato prima) a rapporti “pret a porter” o a quelli portati avanti con l’obiettivo di realizzare qualcosa di importante.

Nei primi, se da una parte non c’è una grande motivazione a prolungare l’unione dal momento che non si creano i presupposti per una soddisfazione duratura, dall’altra è pur vero che la frequentazione avviene saltuariamente e quando se ne ha voglia: in questo modo è difficile che si inneschi una demotivazione da abitudine quanto, semmai, una consapevolizzazione che il rapporto stia arrivando alla “fine della corsa” per esaurimento dei margini di sviluppo.

Nei secondi, tutto dipende dallo sviluppo maturativo dei partner. Molte, troppe volte, purtroppo, non ci si rende conto che la coppia (e, quando c’è, la famiglia) va vista come un’azienda in grado di “rendere” e dare soddisfazioni solo a condizione che ci si investa molto e con una strategia programmatica di buon livello: in pratica, è necessario sapere cosa si vuole portare avanti… e perché!

LE 10 “A” DELL’EDUCAZIONE AMOROSA

Quando si lascia scorrere il tutto, senza impegnarsi attivamente, le dinamiche interpersonali tendono a raffreddare interesse e motivazioni positive. Nel caso che, invece, si decida di vivere un rapporto “alla grande”, si potrà contare sempre (o quasi) su un sorriso, uno sguardo, un abbraccio, un’intesa, una complicità… che impediscono di invecchiare “dentro” e contribuiscono a mitigare le intemperie del tempo che passa.

“E’ la cosa più bella della Terra, una schiera di cavalieri. No, di fanti. No di navi. Ed io penso: bello è ciò che si ama” (Saffo)

Dagli accertamenti compiuti dall’ISTAT è stato possibile stabilire che la durata media di un rapporto duraturo, o di un matrimonio si aggira intorno ai 15 anni, computati tenendo conto del momento dell’iscrizione al ruolo della causa di separazione. Il massimo momento di crisi per una coppia viene raggiunto quando i coniugi hanno fra i 35 e 40 anni, una fase che generalmente precede di qualche anno il momento in cui verrà presentata la domanda di separazione.

Io non credo nei miracoli, meglio che ti liberi, meglio che ti guardi dentro. Questa vita lascia i lividi questa mette i brividi, certe volte è più un combattimento. C’è quel vuoto che non sai, che poi non dici mai, che brucia nelle vene come se. Il mondo è contro tee tu non sai il perché, lo so me lo ricordo bene, lo sono qui. Per ascoltare un sogno. Non parlerò. se non ne avrai bisogno, ma ci sarò. Perché così mi sento. Accanto a te, viaggiando controvento. Risolverò, Magari poco o niente… Ma ci sarò… E questo è l’importante. Acqua sarò, che spegnerà un momento, accanto a te… viaggiando controvento” (Arisa)

QUESTA NON E’ UNA SEMPLICE CANZONETTA

Questa è la via maestra, che dovremmo impegnarci a seguire, “giurando” di rispettare, vicendevolmente. Solo così, saraà possibile mantenere acceso il fuoco dell’interesse e dell’attenzione. L’uno verso l’altro. È difficile, certo… ma, senza questo c’è un mondo fatto di scontri non costruttivi che, alla lunga allontanano…

Non a caso, l’osservazione scientifica, porta a concludere che, in assenza di stimolazioni evolutive che creano i presupposti per cui, due persone continuano a crescere insieme, non smettendo mai di stupirsi, dopo un periodo che oscilla dai 18 ai 30 mesi dall’inizio della relazione, il cervello si è assuefatto al cocktail di sostanze chimiche e non reagisce più come prima.

Partendo dal presupposto che una coppia determinata da due identità curiose e interessate ad evitare la costruzione di abitudini noiose, non genera i presupposti per l’assuefazione ma, anzi produce un attaccamento che plasma sempre più “a misura” l’uno verso l’altro, se non ci sono i presupposti, la maturità la disponibilità e la fiducia necessari per la progettazione di un futuro in comune (degno di tale nome), è in questa fase che accadono incomprensioni, litigi e ricerca di altre situazioni affettive.

A questo punto molte coppie si separano, cosi ciascuno dei due EX si mette alla ricerca di un nuovo partner con cui riprovare le emozioni vissute nei momenti migliori. Nelle coppie basate su valori morali solidi, o maggiormente costruttive e affiatate, invece, la vicinanza fisica, non solo sessuale, stimola il neurotasmetitore ENDORFINA, una sostanza con effetti simili agli oppiacei che riduce l’ansia e infonde un senso di calma e di intimità. Condizione, forse meno eccitante e sconvolgente della FENILETILAMINA, ma che induce molta più dipendenza psicologica. Si parla di una sorta di incastro nevrotico che genera conflitti legati alla voglia di fuggire, che si scontra col dolore dell’abbandono. Il risultato è un superimpegno neurovegetativo con conseguenze “ossidative” (cioè, di invecchiamento), in tutto l’organismo.

L’ONDA CHE ARRIVA

Giunge, per tutti, il momento in cui le abitudini ripetute da anni cadono addosso come un vestito che, ristretto e scolorito  dalla pioggia, dal vento e dai “lavaggi” del  tempo, ci soffoca e ci denuda, agli occhi della gente che ci osserva e ci giudica…

Ed è accaduto anche a me.

A un certo punto ho visto la mia ombra, ormai estranea, ripetere  gli stessi gesti di sempre, indossare la maschera non corrispondente alla mia persona e parlare delle solite cose senza averne, però, gratificazione alcuna.

Ho capito, all’improvviso, di essere stanco del  “dovere” indossare un ideale sbagliato: essere gentile, efficiente  e, possibilmente, sorridente.

Quindi ho cominciato a ripensare ai miei momenti di gioia e, all’improvviso, ho scoperto di aver perso la cosa di maggiore importanza: l’entusiasmo.

Cambiare, si, allora ho provato a cambiare!

Ma è stato come trovarsi in terra straniera incontrando, allo specchio, un perfetto sconosciuto.

Di fronte a me, di conseguenza, il bivio della scelta:

Camminare sul ciglio di un burrone irridendo al Destino o accarezzare quel profilo che mi sono sempre nascosto?

Due perle solcano il mio viso: è il pianto, lieve, dell’accettazione.

La tristezza oltrepassa la speranza ma, io, resto qui, attendendo l’onda che arriva.

E sarà quel che sarà

(G.M.)

LIBERTA’, AMORE, POTERE E ODIO: FREUD, JUNG E LUCIANO DE CRESCENZO A CONFRONTO (SU ASCISSE E ORDINATE)

Proviamo ad immaginare l’incontro di due padre della psicoanalisi (Freud e jung) con chi è riuscito a divulgare anche la Filosofia più complessa.: Luciano de Crescenzo.

Apparentemente una rappresentazione antitetica

Eppure, se incrociassimo le spiegazioni dei giganti della psicoanalisi con la mentalità logica dell’ingegnere, potrebbe nascere un quadro fatto di ascisse e ordinate in grado di mostrarci cosa accadrebbe incrociando i bisogni, i desideri e le emozioni più “forti” dell’essere umano, in grado di condizionare pesantemente i, suo rapporto con l’Amore.

AMORE (DEFINIZIONE CONCLUSIVA)

Alla luce di questa lunga passeggiata (durata, fin qua, oltre 70 pagine di pazienza e attenzione) potremmo tranquillamente incontrarci sulla definizione complessiva e conclusiva (almeno per quanto riguarda il lavoro in questione):

Intenso sentimento basato su una multifattorialità di elementi (affetto, rispetto, stima, complicità, curiosità, amicizia, erotismo, intimità, solidarietà, protezione, comprensione, accettazione, “freschezza”, etc.), i quali producono un’attrazione crescente e irreversibile, fra due persone che, quando ne sono capaci e disponibili, tendono a diventare, via via, sempre più mature.

Vi cerco sempre, vie del mio Amore… vie perdute che non siete più. La vostra eco è sorda. Vie della disperazione, vie del ricordo, vie del primo giorno. Divine vie dell’Amore (J. Anouilh – Lèocadia)


LA STORIA DEL SOLDATO E DELLA PRINCIPESSA

“Ti voglio fare contento, Totò, ora ti racconto una storia… sediamoci un attimo. Una volta un Re fece una festa… e c’erano le principesse più belle del regno. Un soldato di guardia, vide passare la figlia del Re: era la più bella di tutte e se ne innamorò subito! Ma che poteva un povero soldato, a paragone con la figlia del Re? Finalmente un giorno riuscì ad incontrarla e, vinta, la titubanza, le disse che non poteva più vivere senza di lei. La principessa restò così impressionata di questo sentimento che rispose in maniera inaspettata!””

E cioè?”

“Se saprai aspettare cento giorni e cento notti sotto il mio balcone, alla fine io sarò tua!”

“E il soldato che fece?”

“Subito si posizionò sotto il balcone e aspettò un giorno… e poi dieci… e poi venti… E ogni sera, la principessa controllava dalla finestra ma, lui non si muoveva. Mai! Con la pioggia, con il vento, con la neve, lui era sempre là… anche se le api se lo mangiavano vivo! Dopo novanta notti, era diventato l’ombra di se stesso e gli scendevano le lacrime dagli occhi… e non poteva trattenerle, ché non aveva la forza nemmeno per dormire. Sempre sotto lo sguardo vigile della principessa. Arrivati alla novantanovesima notte, il soldato si alzò, si prese la sedia… e andò via!”

“Ma come? Proprio alla fine?”

“SI! E non domandarmi il perché. Prova a scoprirlo da solo!”

“Te la ricordi la storia del soldato e della principessa?”

“Si, Totò!”

” Ora ho capito perché il soldato andò via proprio alla fine. Si, sarebbe bastata solo un’altra notte e la principessa sarebbe stata sua… ma lei avrebbe potuto anche non mantenere la sua promessa. E sarebbe stato terribile. Sarebbe morto dal dolore! Così, invece, almeno per novantanove notti era vissuto nell’illusione che lei era stata là ad aspettarlo, dimostrando a se stesso di essere capace dell’impresa!

“Fai come il soldato, Totò, vattene. Questa è terra maligna!”

E di nuovo mi trovo, da solo, a leccarmi le ferite che, anche questa volta, in un modo o nell’altro “dovrò” cauterizzare… Su cosa si basa, in generale, la vita di una persona?

Vediamo un po’… dipende! Si, infatti molti di noi seguono il corso di un fiume la cui sorgente si trova lì, dove stanno gli “imprinting” (le esperienze, i ricordi, le convinzioni, il proprio modo di essere). Io, ad esempio, come ho detto ad alcuni amici, diversi anni fa (e l’ho pure scritto in un articolo datato), spesso ardo nell’apparente contraddizione di voler essere, al tempo stesso, bambino (per continuare a credere nei sogni e nelle aspirazioni), canuto (per contare sulla necessaria saggezza), donna (per la voglia di migliorare e vincere la diffidenza di un mondo di sopraffazione), uomo (per le responsabilità che ne conseguono), padre (per trasmettere un po’ di me, all’infinito), madre (per contribuire a generare persone migliori), figlio (per il bisogno di imparare), figlia (per annullare quel fisiologico “attrito” che gli esperti chiamano Complesso di Edipo), etc.

Ovviamente questo non nasce da una questione di confusione di ruoli o di identità sessuale ma, semmai, dal bisogno di rendersi conto che, per andare d’accordo con l’altro, bisogna essere in pace, anzitutto, con se stessi e dirigersi verso l’appagamento di una vita equilibrata nelle aspirazioni, nei programmi e nelle realizzazioni.

“Dove gli occhi vanno volentieri, anche il cuore va, né il piede tarda a seguirli” (Carlo Dossi).

Ma è poi vero che, se ci si ama, ognuno capisce e accetta il mondo di chi gli cammina accanto? Abbiamo mai provato a conciliare due opposte condizioni di derivazione e di appartenenza?

“E poi e poi e poi… ci siamo noi… con tutte le nostre speranze, le nostre paure che a fatica ogni giorno cerchiamo di capire cos’è questa cosa che noi chiamiamo amore. E poi e poi e poi… ci siamo noi, in cerca di una storia del tutto inventata ma priva di ogni euforia e così concreta, che intorno a sé fa nascere la vita. Non saremmo più soli… finalmente coinvolti davvero, potremmo di nuovo guardare il futuro e riparlare del mondo non più come condanna ma, cominciando da noi” (G. Gaber)

A queste condizioni, è probabile che si riesca a superare la paura di essere feriti dall’altro e che si accetti l’idea di rimettersi in discussione per verificare come poter migliorare ancora, senza la necessità di difendere lo steccato dell’egocentrismo “malato” che porta all’indifferenza esistenziale, al vittimismo e al logoramento di qualunque rapporto d’amore. L’importante, comunque, è non subire il modo di fare e di pensare dell’altro. Si può discutere e scontrarsi, se è il caso, ma non rassegnarsi. Se le strade divergono, vuol dire che non ci si ama abbastanza. A quel punto, necessariamente, bisogna capire cosa è più importante, tenendo presente che, a volte, l’amore è come la vita: se non te ne curi abbastanza, “avvizzisce” ogni giorno di più… e quando finisce, non te ne accorgi.E allora, cosa c’è nella vita di ognuno, che fa perdere la “sintonia” con gli altri, con l’altro?

GLI ESAMI NON FINISCONO MAI…

Spesso, quando ci si sente un po’ tristi, accade che ci si rifugi nel passato. Non so bene perché ma, quando vado alla ricerca di un periodo “protetto”, ritorno, mentalmente ed emotivamente, a quando avevo poco più di vent’anni e, in occasione del Natale mi ritrovo, fin dalle prime luci dell’alba, in casa dei miei genitori, alle prese con la realizzazione di un presepe monumentale (retaggio affettivo di apprendimenti materni). Immancabilmente, a farmi compagnia in quei momenti di costruttiva solitudine (sperando che il mio lavoro contribuisca a lenire gli attriti affettivi fra papà e mamma), molte commedie di Eduardo de Filippo. Una, fra le tante, accende più di una lampadina nel cervello, sicuramente più di quante non sono riuscito a piazzarne nel mio “plastico Natalizio”.

Scorrono davanti agli occhi fotogrammi de “Gli esami non finiscono mai”, tre atti e un prologo di Eduardo de Filippo. Una Cantata dei giorni dispari. Guglielmo Speranza (Eduardo) mi presenta la rappresentazione della sua vita, che poi rispecchia, a tratti, quella di tutti. Per indicare il trascorrere del tempo, si serve di tre barbe posticce una bruna (per indicare la giovinezza), una castana (che evidenzia la mezza età) e, l’ultima, bianca (per indicare la “resa”). L’azione inizia col conseguimento della laurea. Fidanzato con Gigliola, subisce l’interrogatorio dei futuri suoceri che pretendono da lui una carriera prestigiosa. Si sposa, ha due figli, ma la sua vita dipende sempre dalla gente, che lo osserva e lo giudica. Infatti, quando s’innamora della giovane Bonaria (perché la sua vita matrimoniale non ha più nulla da “esprimere”), si scontra con il coro dei benpensanti, capitanati da Furio La Spina, il suo miglior amico (che, per intanto, ha una relazione segreta con sua moglie). Guglielmo, allora “invecchia” indossando la barba bianca. Per trovare pace, si rinchiude in casa in silenzio, decidendo di “spegnersi”. I familiari lo assistono, sperando nella morte liberatrice. Quando è il momento, nemmeno le sue disposizioni per le esequie vengono rispettate. Guglielmo seguirà i suoi funerali attraversando il palcoscenico come un attore da rivista che saluta il pubblico, nel teatrino dei falsi convenevoli di parenti e amici.

L’AMORE SECONDO I BAMBINI…

(ESTRAPOLATO DAL PROFILO FB DI ERMANNO CRIBARI)

Al di là dei fenomeni biochimici, qualcuno vuole prendersela con l’anatomofisiologia del nostro cervello… molto simile a quello delle specie irragionevoli, il più delle volte! Ma, oltre ogni ragionevole dubbio, è possibile disinnamorarsi?

PUNTI DI VISTA: OGGETTIVITA’ O SOGGETTIVITA’?

Prima di rispondere, vorrei riagganciarmi al concetto del doppio binario, espresso all’inizio di questa monografia per concludere che, alla fine, il bene e il male, il positivo e il negativo, l’Amore e il suo contrario sono fusi l’uno nell’altro (così come ci ha spiegato la teoria del dualismo pulsionale)

Allora, forse, è solo una questione di punti vista….

Che strano.

Ho sempre creduto che mi stessi accanto per la tua capacità di comprendere i miei limiti, nonostante gli scontri che hanno firmato il mio soccombere di fronte alla convinzione di non essere accettato per ciò che ero… e capito per quello che spendevo, di me stesso, per voi, senza riguardo per la mia persona. Quante volte è iniziato un viaggio nell’inferno della mia anima… tante lacrime mute, fra le mani, che hanno dato voce ai miei dolori imprigionati. Molte volte ti ho chiesto di lasciarti amare…

DOVE HO SBAGLIATO?

Ho temuto che il tuo cuore fosse una strada con molti tornanti; ho tremato all’idea che, un giorno, l’inverno spegnesse i sogni dietro i tuoi occhi, le tue splendide perle alabastro, con più niente che ti vede e più niente che ti tocca. Ho sperato di riuscire a cucire, con l’ago del mio amore, la notte all’aurora del tuo nuovo sorriso: tanto mi è sempre bastato.

Anche io, come te, ho avuto paura:

di non centrare i miei obiettivi;

di non riuscire a capire come trattarmi meglio;

di sottovalutare la sofferenza altrui;

di restare a metà del cammino, senza aver compiuto il mio dovere.

Però, la paura non l’ho nascosta, né combattuta. L’ho capita e accettata. Dopo, prendendomi per mano, mi sono accompagnato dolcemente a vedere cos’è che ho temuto e perché.

A quel punto mi sono accorto che era soltanto l’angoscia di non riuscire quando, invece, sbagliare è un nostro diritto.

Nessuno di noi ha il potere di cambiare qualcosa negli altri. È la mente di ciascuno che, alleggerita dalla paura di svilirsi, scopre la via maestra della vita.

Ma va bene lo stesso, va bene così.

Sarà che tutta la vita è una strada che, purtroppo, non vedi tornare. Come quando pensi di avere sempre i tuoi trent’anni ma, quando ti fermi a cercarli… non li trovi più. Nuove rughe testimoniano lo scontro con le intemperie del nostro tempo terreno ma, sempre e per sempre… se mi cercherai, dalla stessa parte mi troverai. Spesso ho vissuto con ansia i versi che ti ho letto quella volta, con la certezza che non ci sarebbe capitato mai… “Io vorrei, ma non ti dico (e mi offendo perché tu non capisci ciò che io non dico). Tu vorresti, ma non mi dici (e ti offendi perché io non intuisco). Io penso di te, provo per te, ma non ti dico (tu non intuisci ciò che penso e inaridisci). Tu pensi di me, provi per me…ma non mi dici (inaridisco anch’io). Noi non comunichiamo più i nostri pensieri e, gradualmente, passando per l’odio, ci perdiamo nel non pensarci più!”

Che strano.

A volte non ho capito bene se, quando mi tendevi la mano, con le stesse scarpe camminavamo per strade diverse, o con scarpe diverse su una strada sola. Qualcuno ha detto che il vero amore può nascondersi, confondersi ma non può perdersi mai. Chi sa cosa provavi quando ti dicevo che non credo nelle parole scontate ma ho bisogno del loro calore. Certo è che, anche il cervello più preparato, di fronte ai dubbi dell’amore, può diventare analfabeta.

Friedrich Nietzsche ha detto che ogni abitudine rende la nostra mano più ingegnosa e meno agile il nostro
ingegno. Ecco perché probabilmente ho sempre temuto la routine dei sentimenti e il cliché di tanti copioni scritti dalla consuetudine dei gesti degli altri…interpretazioni che sbiadiscono i capelli così come la polvere invecchia la nostra casa, se ogni giorno non dedichiamo noi stessi affinché continui a rispecchiare la nostra giovinezza. Ho avuto paura di dovermi sentir dire che, non c’è più molto da dire!

Quanto tempo è trascorso dai nostri sussurri su quello che ci piaceva di più, delle nostre debolezze? Il lavoro, le responsabilità, il quotidiano e il futuro prossimo venturo. Non sarebbe stato un problema, l’età. Niente rumori di sottofondo. Provo ad abbandonarmi… mi accarezzo le labbra e, quasi per magia, torno a perdermi nei tuoi capelli. “Belli capelli, capelli neri, che t’ho aspettata tutta notte e tu chissà dov’eri; capelli lunghi che arrivavano fino al mare; belli capelli che nessuno li può tagliare. Capelli lunghi come autostrade, la mattina sopra il tuo cuscino”. Avrei voluto starti accanto anche quando, bianchi, si sarebbero fermati a una fontana a pettinare gli anni. “Belli capelli… che stanotte è notte… ma verrà mattino”.

E, allora, alleggeriti dal peso degli anni, sotto le storie riportate in ogni ruga, torneremo bambini,a sorriderci ancora. Perchè la coerenza che dobbiamo alla nostra persona ci autorizza a promettere: “Anche se la pioggia e il sole cambiano la faccia alle persone tu ricorda… dovunque sei, se mi cercherai, sempre e per sempre, dalla stessa parte mi troverai”

ATTENDIAMO INSIEME…

(Tratto dalla pagina FB di Pina Randazzo, Giornalista scrittrice)

– Buongiorno, signor Antonio .

– Buongiorno.

– Cosa fa lì fermo? Sentirà freddo.

– Sto aspettando mia figlia . E’ andata a comprare qualcosa un po’ di tempo fa, ma sembra che sia in ritardo ha aggiunto il vecchietto , guardando il suo orologio.

-Non si preoccupi, sono sicura che non ci vorrà molto.

Vi dispiace se vi faccio compagnia?

– Grazie, non vi preoccupate . Sono sicuro che avete cose migliori da fare che far compagnia ad un vecchio come me. Qualche ragazzo fortunato vi starà aspettando…

– Non è un disturbo, ve lo assicuro. Ci sedemmo su questa panca e aspettammo…

E così , come ogni mattina, siedo accanto al mio vecchio padre, aspettando una figlia che non è mai stata così vicina….

LA NOTTE

“Non basta un raggio di sole in un cielo blu come il mare perché mi porto un dolore che sale che sale . Si ferma sulle ginocchia che tremano e so perchè. E non arresta la corsa lui non si vuole fermare perché è un dolore che sale che sale e fa male. Ora è allo stomaco… fegato, vomito, fingo… ma c’è. E quando arriva la notte e resto sola con me, la testa parte e va in giro in cerca dei suoi perchè. Né vincitori né vinti, si esce sconfitti a metà, la vita può allontanarci l’amore continuerà. Lo stomaco ha resistito anche se non vuol mangiare… Ma c’è il dolore che sale che sa e e fa male. Arriva al cuore, lo vuole picchiare più forte di me. Prosegue nella sua corsa si prende quello che resta Ed in un attimo esplode e mi scoppia la testa: vorrebbe una risposta ma in fondo risposta non c’è. E sale e accende gli occhi il sole adesso dov’è. Mentre il dolore sul foglio è seduto qui accanto a me. Che le parole nell’aria sono parole a metà… Ma queste sono già scritte e il tempo non passerà. Ma quando arriva la notte e resto sola con me, la testa parte e va in giro in cerca dei suoi perchè. Né vincitori né vinti si esce sconfitti a metà La vita può allontanarci l’amore continuerà. E quando arriva la notte e resto sola con me, la testa parte e va in giro in cerca dei suoi perchè, né vincitori né vinti… si esce sconfitti a metà. L’amore può allontanarci, la vita poi continuerà…Continuerà…Continuerà” (Arisa – La notte)

Qualche tempo fa, qualcuno mi definì, il suo Amico del Cuore. Questa persona, non c’è più da tempo… ma è da quel tempo che, io, cerco di pensare e agire, per continuare ad “essere” un degno Amico del Cuore per riuscire, un giorno, a potermi dire: “Hai meritato, l’Amore che che hai avuto…” Solo così, allora, avvertirò, in me, quello strano coraggio che ci fa superare la paura di ascoltare la notte che scende. Grazie.

G. M. – Medico Psicoterapeuta.

BIBLIOGRAFIA

  • Eric R. Kandel; Schwartz James H.; Jessell Thomas M., Perri V., Spidalieri G. (a cura di)  – Principi di neuroscienze (3a edizione, CEA, 2003.)
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  • Candace B. Pert – Molecole di emozioni (TEA Editore 2000)
  • David Nelson / Michael M. Cox – Introduzione alla Biochimica di Lenningher (Zanichelli Editore 2018)
  • Giuseppe Anastasi – trattato di Anatomia umana (Ermes Editore 2006)
  • Guyton e Hall – Trattato di Fisiologia medica (Edra editore 2016)
  • Francesco Alberoni – Innamoramento e amore (Garzanti Editore 1992)
  • Leo Buscaglia – Vivere, amare, capirsi (Mondadori Editore 1995)
  • Leo Buscaglia – Nati per amare (Mondadori Editore 2001)
  • Piero Angela – Ti amerò per sempre: la scienza dell’amore (Mondadori Editore. 2012)
  • Otto F. Kernberg – Relazioni d’amore: normalità e patologia (Raffaello Cortina Editore 2020)
  • Paul Claude Racamier – Il genio delle origini: psicoanalisi e psicosi (Raffaello Cortina Editore 1993)
  • William H Masters / Virginia E. Johnson – Il sesso e i rapporti amorosi (Longanesi Editore 1987)
  • William H Masters / Virginia E. Johnson – L’atto sessuale nell’uomo e nella donna: indagine sugli aspetti anatomici e fisiologici (Feltrinelli Editore 1978)
  • Giovanni RussoUna psicoterapia ad indirizzo dinamico (Edizioni Universitarie Romane 2000)
  • Giovanni Russo – L’essere umano per una vita migliore (Proprietà letteraria riservata 1988)
  • Giovanni Russo: La Psiche Umana (Sovera Editore 1994)
  • Melania Klein / Joan Riviere – Amore, odio e riparazione (Astrolabio Editore 1978)
  • Massimo Recalcati – Cosa resta del padre: la paternità nell’epoca ipermoderna (Raffaello Cortina Editore 2017)
  • Massimo Recalcati – La mani della madre: desiderio, fantasmi ed eredità del materno (Feltrinelli Editore 2019)
  • Roberto Vecchioni – La vita che si ama: storie di felicità (Einaudi Editore 2016)
  • Luciano de Crescenzo – Ordine e disordine (Mondadori editore 2007)
  • Luciano de Crescenzo – Il tempo e la felicità (Mondadori Editore 1999)

P.S. NEL LUGLIO 2019 HO PUBBLICATO UNA VERSIONE “LIGHT” DI QUESTO STESSO LAVORO CHE I MIEI AMICI E POETI CARLA E IVANO BAGLIONI HANNO DEFINITO “UNA LIRICA AMOROSA”, HO PENSATO DI NON ELIMINARE UN’OPERA COSI’ APPREZZATA MA LASCIARLA A DISPOSIZIONE DI CHI VOLESSE LEGGERLA, CLICCANDO QUI

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