Sembra incredibile: molte persone — anche quelle la cui cultura linguistica è insospettabile — ritengono che complimento sia lo stesso che complemento credono, cioè, che i due termini si possano adoperare indifferentemente, siano cioè allotropi, come, per esempio, denaro e danaro, malinconia e melanconia
Ci è capitato, infatti, di sentire una frase che ci ha fatto rizzare i capelli: «Sei contento del complemento che hai ricevuto questa mattina?». Dobbiamo anche dire che l’autore di questo svarione non è una persona sprovveduta. Ma tant’è. Vediamo, quindi, di fare chiarezza in merito.
Entrambi i vocaboli, pur provenendo da uno stesso padre, il verbo latino complère (compire, completare), hanno significati distinti; quello con la i (complimento), oltre tutto, ci è stato restituito dallo spagnolo cumplimiento, divenuto — per il solito processo linguistico — complimento, appunto. Quello con la e (complemento) è, invece, il diretto discendente del latino complementum (da complère, come abbiamo visto).
Stabilita la diversa grafia, vediamo i diversi significati cominciando dalla voce spagnoleggiante complimento. Il complimento, dunque, nell’accezione generica è una dimostrazione di ossequio, di fede, di gentilezza; è, insomma, una parola che esprime rispetto, garbo, ammirazione, rallegramenti e, per estensione, un meridionalismo che indica un rinfresco, un ricevimento: i promessi sposi offriranno un complimento nuziale. Ancora. Il complimento, nel gergo teatrale, nei tempi andati, era anche un brevissimo discorso di saluto e di presentazione che i primi attori indirizzavano al pubblico all’inizio o alla fine dello spettacolo.
E vediamo il complemento, quello con la e. Questo termine ha varie accezioni:
1) quanto si aggiunge a una cosa per renderla compiuta, per finirla, per… completarla;
2) ciascuno elemento nominale della proposizione che, insieme con il soggetto, con il predicato (verbo), con l’attributo, con l’apposizione, serve a determinare o compierne il senso; è, insomma, un elemento che completa la proposizione. Nel gergo militare (quando la leva era obbligatoria) gli ufficiali non di carriera vengono/venivano denominati di complemento, infatti, perché servono/servivano a completare i quadri dell’esercito e possono/potevano essere richiamati in caso di necessità.
A cura di Fausto Raso
Pubblicato su Lo SciacquaLingua
Giornalista pubblicista, laureato in “Scienze della comunicazione” e specializzato in “Editoria e giornalismo” L’argomento della tesi è stato: “Problemi e dubbi grammaticali in testi del giornalismo multimediale contemporaneo”). Titolare della rubrica di lingua del “Giornale d’Italia” dal 1990 al 2002. Collabora con varie testate tra cui il periodico romano “Città mese” di cui è anche garante del lettore. Ha scritto, con Carlo Picozza, giornalista di “Repubblica”, il libro “Errori e Orrori. Per non essere piantati in Nasso dall’italiano”, con la presentazione di Lorenzo Del Boca, già presidente dell’Ordine nazionale dei giornalisti, con la prefazione di Curzio Maltese, editorialista di “Repubblica” e con le illustrazioni di Massimo Bucchi, vignettista di “Repubblica”. Editore Gangemi – Roma.