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Un articolo pubblicato un po’ di tempo fa su The Lancet, rivelava che si diventerebbe veramente adulti soltanto a 24 anni. L’obiettivo della ricerca è quello di definire l’età della maturità naturale (fisica e mentale), finora convenzionalmente considerata intorno ai vent’anni. L’ingresso nell’età adulta è legato allo sviluppo cerebrale che, secondo lo studio, si concluderebbe solo a 24 anni.

Prima di tale periodo anagrafico, nella maggior parte dei casi, il cervello degli adolescenti non sarebbe sufficientemente idoneo (sul piano funzionale) per valutare appieno le conseguenze dei comportamenti. Questo spiegherebbe la sottovalutazione dei rischi tipica dell’età adolescenziale, come le conseguenze dell’abuso di alcolici e droghe.

Al di là della normale evoluzione che vede il bambino, progressivamente, passare dall’egocentrismo alla capacità di rendersi autonomo e di stabilire nuove relazioni (oltre quelle strettamente familiari) improntate su un concetto di sempre maggior rispetto reciproco, la maturità non è necessariamente legata all’età anagrafica ma, al contrario, è il risultato di un allenamento alla crescita, che avviene gradualmente, giorno per giorno.

Questa notizia, è stata diffusa Dipartimento di Salute pubblica dell’Università di Torino, a seguito di una ricerca svolta sugli studenti piemontesi. Difficoltà da parte dei giovani di reggere l’ansia da interrogazione o da compito in classe. Il problema non sta nella scuola o negli equilibri psicologici degli studenti, ma nel modo in cui si propone la risoluzione di un normale stato emotivo.

La “tolleranza zero” non funziona con i bulli

Espellere o sospendere automaticamente gli studenti violenti o che minacciano i compagni potrebbe non essere efficace nel risolvere il problema. Un approccio “tolleranza zero”, in cui ogni comportamento scorretto viene punito con la sospensione, aumenta infatti il rischio di abbandonare del tutto gli studi e non sembra migliorare il comportamento degli studenti. È quanto emerge da uno studio dei ricercatori della University of Virginia negli Stati Uniti: le scuole che fanno maggior ricorso alle sospensioni, hanno anche il maggior numero di studenti che abbandonano il corso di studi, o che cambiano scuola.

“Nelle scuole in cui invece si valuta con maggior attenzione il comportamento dello studente invece di espellere automaticamente, c’è un ricorso a rimedi più efficaci, come il counseling con esperti e incontri con i genitori”, ha spiegato Dewey Cornell, ricercatore del Virginia Youth Violence Project a capo dello studio pubblicato sulla rivista School Psychology Review.

Anche gli insegnanti, però, hanno i loro problemi… (a cura del Dr. Vittorio Lodolo D’Oria sul blog dedicato al Burnout)

  1. L’insegnamento comporta alta usura psicofisica ed è pertanto ricompreso tra le cosiddetteHelping Profession
  2. Francia (2006) e Regno Unito (2009) hanno rilevato che il tasso suicidario tra gli insegnanti è il più alto in assoluto se comparato con quello dell’intera popolazione. L’Italia non raccoglie dati in proposito.
  3. In Germania, Regno Unito e Italia oltre la metà dei pensionamenti anticipati per motivi di salute è conseguente a una diagnosi psichiatrica
  4. In Giappone le assenze per malattia causate da una diagnosi psichiatrica sono passate dal 35% a 55% in 10 anni (1995-2004)
  5. In California (studio su 133.000 docenti del 2002) l’incidenza di tumore (al seno soprattutto) si è rilevata decisamente superiore a quella della popolazione generale
  6. Stesso riscontro è stato evidenziato nello studio milanese pubblicato su La Medicina del Lavoro N° 5/2004
  7. A Torino e Milano (studio osservazionale 1992-2003) il 50% di diagnosi in seguito ad accertamento medico è di tipo psichiatrico (psicosi 30%, depressione 70%). Su base annuale attualmente le diagnosi psichiatriche in Collegio Medico di Verifica (CMV) superano il 70%
  8. Meno dell’1% dei 9.000 dirigenti scolastici conosce l’iter per l’accertamento medico d’ufficio (studio 2008) ed è in grado di stabilire come e quando è indispensabile avviare la pratica
  9. Solo il 19% dei docenti è a conoscenza del rischio psichiatrico/oncologico della professione (studio) e dunque la categoria è esposta senza saperlo. Docenti non conoscono iter per CMV
  10. Prevenzione dello Stress Lavoro Correlato (SLC) a scuola è obbligatorio dal 1° Gennaio 2011 (D.L.81/08) ma nessuno sembra preoccuparsene anche perché non sono stanziati fondi ad hoc

Conclusioni

È intuibile pensare che, forse, tale situazione di estrema criticità sia legata allo scontro che si genera, fra insegnanti (che hanno la responsabilità della “guida”, anche in circostanze difficili ma che possono contare, spesso, su strumenti obsoleti e anacronistici) e studenti (che rispondono alle paure legate al senso di inadeguatezza, con atteggiamenti e comportamenti arroganti, superficiali, evitanti, etc.).

Il modo migliore per affrontare la problematica, consiste nell’acquisire (da parte del docente) quelle “competenze di personalità” in grado di trasformarlo in ciò che gli esperti chiamano “scudo paraeccitatorio”

In pratica, per riuscire ad aiutare un adolescente sbandato, è necessario che il docente sia nella condizione di accogliere il suo vissuto (e i suoi bisogni anche inespressi) dentro di sé disponendosi ad una sorta di “rêverie” (responsività emotiva) didattico/emotiva per poter comprenderne intimamente, soprattuttto gli affetti frustrati. In questo processo di disponibilità l’insegnante si trova in una sorta di dialog fra il proprio consapevole e quello che emerge dal proprio inconscio. Dalla chiarificazione razionale di tale dinamismo, si riesce ad individuare, empaticamente, il caotico e il dolore esistenziale del giovane studente.

Attraverso questa sorta di riverbero intimo si può giungere ad ipotizzare un nuovo e più idoneo modello di comunicazione, capace di analizzare l’ambiente di riferimento con cui, i giovani, si confrontano (Società globalizzata che, attraverso i media, diluiscono i valori “territoriali” a favore di modelli culturali geograficamente e mentalmente lontani, che rendono difficile contattare esigenze e richieste) per studiare modelli di comunicazione idonei a consentire una evoluzione sostenibile, che induca ad un utilizzo mentale che vada “oltre” quel codice binario “mi piace/ non mi piace”, tipico di social network come Facebook e che, al tempo stesso, conduca a valutazioni che facciano capire:

  • chi siamo;
  • con chi ci dobbiamo interfacciare per appagare bisogni e necessità;
  • come evitare la ghettizzazione e l’isolamento;
  • come applicarsi in sistemi di corretta integrazione;
  • come realizzare le proprie legittime aspirazioni;
  • come individuare un modello di studio “motivazionale”, per poter allenare la mente, ogni giorno.

In buona sostanza, bisognerebbe rivalutare e applicare il Counseling Scolastico. Ovviamente con la consulenza di esperti adeguatamente preparati.

G.M. Medico Psicoterapeuta

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