Madre è un termine comune a quasi tutte le lingue del mondo e significa “misuratrice, ordinatrice”, da cui tutto trae origine, in maniera ordinata. Ecco quindi, che, etimologicamente, identifica “ciò che produce”, “che contiene” e, quindi, porta in sé, la sorgente, la causa prima.
E allora, forse è per questo che di fronte ad un pericolo, ognuno di noi esclama, inconsapevolmente e irrefrenabilmente: “Oh… mamma mia!”. Che diventa “Oh, Madre mia!” quando siamo avvinti da un grande dolore, o dal vuoto dell’angoscia esistenziale. Ecco perché, quando allentiamo l’abbraccio da questa generatrice e, osservandola allontanarsi scendendo verso quel Gange che è l’epilogo della vita terrena, ci sentiamo così precari.
Oh, Madre mia!
Te ne sei andata via, oh madre mia! Ti sorregge un giovane ragazzo, oh madre mia, con un fiore bianco davanti! Oh madre mia, con me anche mia moglie… Oh madre mia, te ne sei andata per sempre! (Pivio e Aldo de Scalzi)
Ogni tanto accade che, irrefrenabilmente giunga, nella vita di ciascuno, il momento di fare un po’ di pulizia. Nell’attesa di riposizionare questioni esistenziali, si comincia con l’eliminare un po’ di confusione dai cassetti, come una sorta di catarsi simbolica. Ed è stato così che, proprio quest’oggi, come una pergamena dissepolta, ho ritrovato una indimenticabile dedica, ad una mamma speciale.
Mamma, ricordi? Fosti tu a darmi, il primo, tenero abbraccio… mi hai concesso il privilegio di dare l’ultimo a te. Un triste addio sulla Terra per ritrovarsi uniti nella dimensione dell’amore infinito che unisce una mamma ai propri figli, andando oltre la morte, al di là del tempo e dello spazio. Mamma, puoi credermi, in entrambi i casi, quell’abbraccio è stato appagante, caldo, intenso… come solo una madre sa dare e che solo un figlio può capire. Oh, Mamma, sdraiata sul tuo ultimo giaciglio… così simile ad un esile filo d’erba nel mezzo di un morbido prato su cui poter rotolare, dal quale, ancora farsi dolcemente accarezzare. Da accudire ed amare. (Mariano Marchese)
Oh, madre mia!
il termine precario deriva dal latino e identifica una posizione ottenuta, a seguito di preghiera, per concessione altrui e, di conseguenza, condizionata (nella qualità e nella durata) dalla volontà del concedente.
Rendiamoci dunque conto delle nostre possibilità: noi siamo qualcosa, ma non siamo tutto; quel tanto di essere che possediamo ci nasconde la vista dell’infinito. Questa è la nostra vera condizione, la quale ci rende incapaci di sapere con certezza e di ignorare assolutamente. Noi navighiamo in un vasto mare, sempre incerti ed instabili, sballottati da un capo all’altro. Qualunque scoglio a cui pensiamo di attaccarci e restare saldi, viene meno e ci abbandona e, se l’inseguiamo, sguscia alla nostra presa, ci scivola di mano e fugge in una fuga eterna. Per noi nulla si ferma. Questa è la nostra naturale condizione, che tuttavia è la più contraria alla nostra inclinazione: desideriamo ardentemente trovare un assetto stabile e una base ultima per edificarvi una torre che si levi fino all’infinito, ma ogni nostro fondamento si squarcia e la terra s’apre in abissi. (Blaise Pascal)
Non prendiamoci in giro, osserviamo la realtà contingente e domandiamoci: Ma allora, perché per realizzarsi, in questa Società, il talento non basta?
Talento. Oscuro e agognato termine che indica capacità naturali nell’inclinazione verso obiettivi. Chiunque sia dotato di un cervello strutturato in maniera normale, non può (per definizione intrinseca) essere privo di un talento potenziale. Gli impegni neurofisiologici di cui siamo capaci (scambiare anidride carbonica per ossigeno, generare e inviare mirabili impulsi che si trasformeranno in idee e vita, determinare battiti cardiaci, riuscire a deambulare e coordinarsi in qualsiasi momento e posizione, parlare al telefonino e, contemporaneamente, allacciare le scarpe e leggere il giornale, filtrare tossine mediante fegato, reni e polmoni, etc.) evidenziano attitudini impossibili anche al miglior computer.
E allora, dov’è l’inghippo?
Nel rapporto fra noi e gli altri, ogni volta che necessitiamo di proporre uno scambio (lavoro in cambio di attenzione e remunerazione, per esempio), dobbiamo attirare l’attenzione dell’interlocutore, partendo dal principio che, quest’ultimo, si considera (anche quando soffre di complessi di inferiorità), migliore di noi. Altrimenti rifiuterebbe l’incontro, per paura. Quindi, prima di ogni altra cosa, dobbiamo renderci interessanti, ai suoi occhi. Studiare l’ambiente; capire quello che cerca, ciò di cui ha bisogno veramente (anche se non lo ha, ancora, consapevolizzato) e quanto è disponibile a valutare altro, oltre i propri pregiudizi; verificare il grado di flessibilità altrui; stabilire quello che si è disposti a proporre, con competenza (senza rimetterci in dignità): sono questi i fattori da applicare e che faranno la differenza fra il fallimento e il successo.
Boccadoro: Ma dove sarà la meta?
Narciso: la meta? Forse morirò direttore di scuola, o abate, o vescovo. E’ indifferente. La meta è questa: mettermi sempre là dove io possa servir meglio, dove la mia indole, la mia qualità, le mie doti trovino il terreno migliore, il più largo campo d’azione. Non c’è altra meta.
(Hermann Hesse, Narciso e Boccadoro)
Chi rema, contro la legittima aspirazione a realizzarsi mediante il lavoro?
Per capirne di più, ritorna utile analizzare alcuni passi salienti di “Wall Street”, un film del 1987 diretto da Oliver Stone, in cui Michael Douglas vinse l’Oscar come “migliore interpretazione”. Il film descrive un’America dove l’unica cosa che conta è il potere del denaro.
Non sapevo che dovessimo vederci oggi!
Nemmeno io. Dobbiamo parlare Gordon.
Signori, volete scusarci un momento per favore? Grazie Alex! Ma che diavolo vuoi?
Ho appena saputo che stai svendendo la BlueStars. Perché?
Ieri sera leggevo a Rudy la storia di Winnie the Pooh e del vaso di miele. Sai che successe? Ci ficcò il naso una volta di troppo e ci restò appiccicato.
Forse dovevi leggergli Pinocchio. Tu parlavi di raddrizzare la BlueStars e non di capovolgerla e vuotarla. E questo usando me!
Sei cieco e stai camminando senza bastone. E vai a sbattere contro le porte che si aprono col denaro.
Ma che bisogno hai di smontare la compagnia?
Perché è smontabile! Va bene?! Ci ho dato un’altra occhiata e ho deciso di cambiare idea!
Se quella gente perde il lavoro non saprà dove andare! Mio padre ha lavorato là dentro per 24 anni. Gli ho dato la mia parola.
È tutta questione di soldi ragazzo. Il resto è conversazione. Ehi Buddy sarai sempre Presidente, va bene? E quando sarà arrivato il momento riceverai una liquidazione d’oro. E con tutti i soldi che ti ritroverai, tuo padre, per tutta la vita, non dovrà più pensare al lavoro.
Allora dimmi, Gordon: per te quando finirà, eh? Quando è che basta?
Non è questione di bastare ragazzo. Il denaro c’è ma non si vede. Qualcuno vince, qualcuno perde. Il denaro di per sé non si fa né si perde, semplicemente si trasferisce da un’intuizione ad un’altra. Magicamente. Quel quadro lì lo comprai dieci anni fa per 60 mila dollari. Oggi potrei venderlo a 600 mila. L’illusione è diventata realtà. E più reale lei diventa, più accanitamente la vogliono. Il capitalismo ha il suo meglio.
Quand’è che basta Gordon?
Il più ricco 1% del Paese possiede metà della ricchezza del Paese: 5 trilioni di dollari. Un terzo di questi viene dal duro lavoro, due terzi vengono dai beni ereditati; interessi su interessi accumulati da vedove, figli idioti e dal mio lavoro. La speculazione immobiliare è una stronzata. C’è il 90% degli americani là fuori che sono nullatenenti o quasi. Io non creo niente; io posseggo! E noi facciamo le regole. Le notizie, le guerra, la pace, le carestie, le sommosse, il prezzo di uno spillo; tiriamo fuori il coniglio dal cilindro mentre gli altri seduti si domandano come accidenti abbiamo fatto. Non sarai tanto ingenuo da credere che noi viviamo in una democrazia, vero Buddy? È il libero mercato!
Inutile illudersi, sarà perché siamo (come esseri umani) troppo giovani e inesperti rispetto al pianeta Terra per capire il significato profondo del funzionamento del “sistema”, di fatto i destini economici e programmatici di quasi tutti i paesi del mondo, sono in mano a “figuri” che giocano (come se fosse un “Risico”), speculando senza scrupoli. A queste condizioni, siccome ogni Nazione (tranne la Cina, forse) spende più di quanto genera, la via per sostenere i costi dei servizi (essenziali o meno), diventa l’indebitamento (mediante emissione di Titoli di Stato) col resto del mondo che, a sua volta, è costretto a fare altrettanto. Chi vuole e ne è capace (moralmente e sul piano delle competenze), controlla questo sistema col meccanismo delle speculazioni finanziarie a livello planetario riuscendo, al momento opportuno, a far diminuire la credibilità di un asset finanziario, come è accaduto a Grecia, Irlanda, Italia, Spagna e Portogallo. E come potrebbe accadere, con effetto Domino, a moltissimi altri (Francia, Germania e Gran Bretagna, compresi)
Oh madre mia! Che cosa ne viene fuori?
Che ogni Stato poi, in realtà, è sotto scacco di chi ha in mano il suo debito (sotto forma di titoli vari comprati nelle apposite aste) perché potrebbe passarli all’incasso (sotto varie forme). E allora, ogni Governo è costretto ad individuare delle politiche economiche e sociali che, poi, dovrebbero garantire futuro, oltre che presente, a giovani precari, tenendo conto delle indicazioni e delle obbligazioni di chi ha in mano quel potere.
E nessuno Stato è escluso.
Ma, chi ha in mano quel potere, però, lo gestisce adeguatamente come quell’usuraio che ti mette il cappio intorno al collo ma ti lascia respirare perché, se tu muori, chi glielo restituirà quel debito? Però non te lo spiega: ti fa vivere sotto l’angoscia di non poter fare quello che ti sarebbe stato concesso da Madre Natura. E questa è la realtà. Bisogna poterla contrastare o cercare altre strade, altrimenti soccombiamo all’interno di un precariato sociale.
E la politica, cosa può fare?
“La politica è triste. Facciamola diventare allegra. Protestate con me.” Noi sosteniamo Giovanni Bivona! “Sto arrivando! Sto arrivando! Io sono qui per dirvi che dobbiamo lottare tutti uniti e assieme, uno per tutti e tutti per uno, perché non se ne può più di queste cose che: manca il lavoro, manca il turismo, l’edilizia, manca la serenità della gente in famiglia, manca la sicurezza del lavoro, un si vuole spusare cchiù nuddru picchì manca u travagliu (non vuole sposarsi più nessuno perché manca il lavoro), così non ci sarà neanche produzione umana, dobbiamo essere uniti e sono qui per protestare con voi. Protestiamo! Protestiamo! Protestiamo! E protestiamo! E protestiamo!”
Da questo esilarante e delirante spot (proposto come rappresentazione simbolica di una classe di impreparati, presuntuosi, ignoranti e arroganti) ricaviamo che, la politica può ben poco, purtroppo. O (al peggio) contribuisce ad alimentare questo sistema illogico, oppure (nella migliore delle ipotesi) non ha le competenze e la libertà di azione per contrastare la deriva condizionante degli squali che nuotano nell’oceano dell’economia reale. In verità, dovrebbe assumersi la responsabilità di individuare e tracciare, veramente, nuove opportunità, su road map che tengano conto di quanti bisogni inespressi e di quante sacche produttive (nel campo dell’artigianato di qualità, del terzo settore, dell’imprenditoria domotizzata e sostenibile, etc.) richiedono risorse umane, attualmente non disponibili.
E quindi, per i giovani o, comunque, i precari… quale realtà?
Oh, Madre mia… tutta la vita davanti!
Marta, venticinquenne laureata, con lode, in filosofia, dopo una serie di tentativi falliti viene assunta in un call center che si occupa della vendita di elettrodomestici. Quello che, all’inizio, sembra un lavoro costruttivo (fatto di danze motivazionali e premi produzione per i più meritevoli), nel giro di breve tempo rivela il proprio inquietante rovescio della medaglia: un ambiente composto da impiegati invasati, plagiati e succubi di un sistema spietato. La testimonianza segreta di Marta ai sindacati darà vita ad un’iniziativa pubblica di denuncia.
questa è la trama del film con cui il regista Virzì, nel 2008, analizza proprio la situazione del precariato dei giovani attraverso il tema del Call Center che sicuramente è una realtà del precariato; ma può essere solo, questo, quello a cui possono aspirare i giovani di oggi?
I giovani di oggi, così come quelli di ieri, si devono esprimere in qualche modo. Poi, chi è giovane? Chi è appena uscito dall’Università? Chi è appena uscito dal ciclo di studi che esiste prima dell’eventuale iscrizione all’Università? Chi ha perso il lavoro e deve ricominciare daccapo? Chi non l’ha mai trovato? Chi si trova in mobilità? Chi in cassa integrazione?
Insomma: chi è?
Giovane è colui il quale ha delle opportunità perché sente di valere qualcosa e ha voglia di proporsi prima che la delusione prevalga sulle aspettative, trasformando il tutto in una illusione malinconica. E allora, a queste condizioni, giovani possiamo esserlo tutti.
Precario e precariato: cos’è?
Qualcosa di instabile, con un equilibrio che non reggerà a lungo e che, prima o poi, cadrà da un piedistallo di fortuna.
Sociale
L’ambiente che costituisce il sistema all’interno del quale noi viviamo.
Per cui, precariato sociale è tutto quello che troviamo “intorno” e “dentro” di noi e che, pur non trovandosi in equilibrio, ci dà l’opportunità di andare a cercare altri equilibri.
L’incertezza è l’habitat naturale della vita umana, sebbene la speranza di sfuggire ad essa, sia il motore delle attività umane. Sfuggire all’incertezza è un ingrediente fondamentale (o, almeno, il tacito presupposto) di qualsiasi immagine composita della felicità. È per questo che, una felicità “autentica, adeguata e totale” sembra rimanere costantemente a una certa distanza da noi: come un orizzonte che, come tutti gli orizzonti, si allontana ogni volta che cerchiamo di avvicinarci ad esso (Zygmunt Bauman)
C’è un errore di fondo: considerare l’obiettivo da cercare come qualcosa di sicuro e stabile, per cui tutto quello che è instabile crea angoscia, crea preoccupazione, crea ansia. Però, non esiste un equilibrio stabile perché tutto è in movimento sulla base delle necessità; e allora, questo vale per il nostro corpo, vale per la nostra mente, vale per il sistema fatto da tante persone che hanno un corpo e una mente… e anche dal resto: da alberi, da fiumi, tutto è in movimento.
E allora, un lavoro che io metto in piedi o che mi viene concesso di portare avanti avrà un senso e un potenziale fintanto che resteranno le condizioni per cui qualcuno vorrà ancora quello che io sono capace di fare e di dare. Se invece questo non accadrà perché i bisogni o quantomeno, la necessità di appagare i bisogni, si modifica ed io non seguo le esigenze di chi poi mi commissionerà un operato, è chiaro che resterò fuori dalla richiesta altrui.
Ci sono solo due giorni all’anno in cui non puoi fare niente: uno si chiama “Ieri”, l’altro si chiama “Domani”. Perciò, “Oggi” è il Giorno giusto per Amare, Credere, e, principalmente, Vivere (Dalai Lama).
E se il lavoro, ancora, non ce l’ho?
Fermo restando che, precari, lo si può essere a qualsiasi età, attenzione a non perdersi dietro al mito del posto fisso e dello stipendio garantito che, come possibilità assoluta, non esiste più per nessuno. È necessario acquisire la mentalità imprenditoriale basata sul concetto di flessibilità che porta a rendersi conto di ciò che serve, quando serve e come proporlo, senza dar fastidio agli altri. Innovare e applicare (in ciò che la gente è disponibile ad accettare, ovviamente). E poi lasciare il campo ad altri. E continuare ad innovare spremendosi le meningi. Questa è legge di Natura. Anche in mezzo a chi prova a farti lo sgambetto. Un cardellino non canta perché ha una risposta ma perché ha una canzone da portar fuori (Proverbio cinese)
Suggerimento
Quanti, giovani o meno, prima di intraprendere un primo (o un nuovo, per via di una eventuale e necessaria riconversione) cammino lavorativo, hanno pensato di avvalersi (compatibilmente con le proprie aspirazioni e attitudini) di studi oggettivi sulle effettive richieste del mercato realmente operativo? Diamo un’occhiata, a titolo esemplificativo.
Titoli di studio più apprezzati dalle aziende (Ricerca HRC)
- Ingegneria
- Economia
- Istituti tecnici
- Matematica e fisica
- Statistica
Titoli di studio meno apprezzati dalle aziende (Ricerca HRC)
- Lettere
- Sociologia
- Licei
- Scienze della comunicazione
- Psicologia
- Scienza politiche
Figure professionali più richieste
- Addetti accoglienza alberghiera
- Biotecnologi
- Disegnatori tecnici
- Infermieri specializzati in disturbi dell’anziano
- Ingeneri elettronici
- Meccanici auto, esperti in elettronica
- Mediatori interculturali
- Medici per l’industria farmaceutica (“Ne abbiamo molto bisogno, a condizione che conoscano bene l’Inglese” – Gianluca Magnani, Novartis)
- Operai edili specializzati
- Operatori settore Wellness
- Ottici (Per ogni diplomato, ci sono, almeno, tre offerte di lavoro – Elvira Grimaldi, Salmoiraghi Viganò)
- Panettieri / Pasticceri specializzati
- Tecnici settore logistica
“I talenti che non troviamo? Quelli che sanno coniugare una buona conoscenza delle tecnologie con la capacità e l’ampiezza di pensiero” (Cesare Maccri – Walter Kluwer Italia)
“Un uomo chiamato a fare lo spazzino dovrebbe spazzare le strade così come Michelangelo dipingeva, o Beethoven componeva, o Shakespeare scriveva poesie. Egli dovrebbe spazzare le strade così bene al punto che tutti gli ospiti del cielo e della terra si fermerebbero per dire che qui ha vissuto un grande spazzino che faceva bene il suo lavoro.” (M. L. King)
In oriente, catturano le scimmie con un semplice artifizio. Si servono di un cesto con una piccola fessura e poi ci mettono dentro un frutto; dopo di ché, legano il cesto ad un palo. La scimmia arriva, mette la zampa dentro il cesto e afferra il frutto. Chiudendo la mano e stringendo saldamente il suo premio, la mano diventa troppo grossa per uscire dalla fessura. Allora gli uomini arrivano e la catturano. In pratica, resta intrappolata dalle sue stesse credenze. Non c’è nient’altro che la trattiene. Potrebbe andare via facilmente se lasciasse andare il frutto. Ma non mollerà la presa. Ciò che la intrappola è la seguente convinzione: “Se lascio andare la presa, perderò qualcosa” (Lee Coit “Accettare”)
Oh, madre mia,questo stesso concetto intrappola anche noi. Sentiamo che, se lasciamo andare ciò che abbiamo (le nostre abitudini limitanti) non saremmo più gli stessi. E, la cosa, ci fa paura. Così ci aggrappiamo saldamente a ciò che siamo e, rifiutandoci di cambiare, restiamo intrappolati. Se lasciassimo la presa, saremmo liberi!
E anche questo, contribuisce a remare contro. Ogni volta che proviamo a proporre qualcosa di buono, qualcuno ci invidierà perché avremo dimostrato di avere usato tempo e cervello, meglio di lui. A queste condizioni, diventa utile, molte volte, preventivamente, riuscire a mettersi in posizione tale da suggerire a chi decide quello che serve perché possa viverlo come se fosse una sua idea. Avrà bisogno di noi, per nuove idee, da sentire come sue. Potremo diventare, apparentemente, la sua “spalla”. Questo ci servirà per raggiungere gli obiettivi. Quindi, evitiamo di fare i difficili! “Per aver successo, è necessario fare in modo che gli altri riescano a vedere le cose nel modo in cui le vedi tu” (Aristotele Onassis). Solo così, gli altri, percepiranno la passione necessaria a smuoversi, per accogliere quanto abbiamo da dare. E da dire.
I giovani di oggi sostengono di essere la generazione più preparata ma meno valorizzata.
È una condizione, per lo più, reale. Ma dipende dal fatto che si studiano argomenti e materie che non sono richieste o non si sanno rendere appetibili ai possibili committenti.
I più di questi laureati di Harward non valgono un cazzo! Serve gente povera, furba e affamata. Senza sentimenti. A volte vinci, a volte perdi. Ma continui a combattere. E se vuoi un amico, prendi un cane. Questa è guerra di trincea!
Quando ero giovane la mia famiglia visse in Indonesia per qualche anno e mia madre non aveva abbastanza denaro per mandarmi alla scuola che frequentavano tutti i ragazzini americani. Così decise di darmi lei stessa delle lezioni extra, dal lunedì al venerdì alle 4,30 di mattina. Ora, io non ero proprio felice di alzarmi così presto. Il più delle volte mi addormentavo al tavolo della cucina. Ma ogni volta quando mi lamentavo mia madre mi dava un’occhiata delle sue e diceva: “Anche per me non è un picnic, ragazzo!” (Barack Obama).
Qualcuno sostiene che la strada per il successo sia ben asfaltata mentre, le vie per raggiungerla, sono alquanto accidentate. Questo ci spiega il rapporto col bisogno.
Chi ha inventato questo termine?
Sono stati gli antichi romani che, con “Bis – sonium”, hanno inteso riferirsi ad una doppia afflizione. Perchè “doppia”? La prima, riguarda il “sentire” la carenza; la seconda viene fuori, prepotente, nel momento in cui ci accorgiamo che, per andare incontro all’obiettivo, dopo aver stabilito la strategia adeguata, dobbiamo fare i conti con gli ostacoli che si mettono in mezzo fra noi e la risoluzione del problema. Però, Madre Natura, ci ha messo in condizione di poter fronteggiare situazioni del genere. Infatti, la nostra attività di pensiero si esplica, principalmente, mediante il meccanismo della riflessione. E riflettere significa, testualmente, esaminare e valutare attentamente per assemblare idee, prelevando dati parcellari dal deposito della memoria, per studiare le migliori strategie al fine di risolvere i problemi che nascono quando si cerca di appagare un bisogno. Ecco perché, come sosteneva Winston Churcill, bisogna passare da un fallimento all’altro senza arrendersi mai.
Ma, alla fine, noi possiamo avere gli insegnanti più appassionati, i genitori più attenti e le scuole migliori del mondo. Nulla basta se voi non tenete fede alle vostre responsabilità: lavorando sodo, come condizione necessaria per riuscire. Ognuno di voi sa far bene qualcosa, ha qualcosa da offrire. Avete la responsabilità di scoprirlo. Questa è l’opportunità offerta dall’istruzione. Magari sapete scrivere bene, abbastanza bene per diventare autori di un libro o giornalisti, ma per saperlo dovete scrivere qualcosa per la vostra classe d’inglese. Oppure avete la vocazione dell’innovatore o dell’inventore, magari tanto da saper mettere a punto il prossimo i Phone o una nuova medicina o un vaccino, ma non potete saperlo fino a quando non farete un progetto per la vostra classe di scienze. A volte, la TV dà l’impressione di poter diventare ricchi e famosi senza dover davvero lavorare, diventando una star del basket o un rapper, o protagonista di un reality. Ma è poco probabile, la verità è che il successo è duro da conquistare. Non vi piacerà tutto quello che studiate. E non avrete successo al primo tentativo. È giusto così. Alcune tra le persone di maggior successo nel mondo hanno collezionato i più enormi fallimenti. Il primo Harry Potter, di JK Rowling, è stato rifiutato dodici volte prima di essere pubblicato. Michael Jordan fu espulso dalla squadra di basket alle superiori e perse centinaia di incontri: Ha fallito più e più volte nella sua vita. Ecco perché ce l’ha fatta. Nessuno è nato capace di fare le cose, si impara sgobbando. La storia dell’America non è stata fatta da gente che ha lasciato perdere quando il gioco si faceva duro ma da chi ci ha provato senza mollare per fare, niente di meno, che il proprio meglio! Pensando in questo modo, sono nati, ad esempio, Google, Twitter e Facebook (Barack Obama).
Cari lettori, ogni tanto mi convinco del fatto che, “da vicino, nessuno è normale” (compreso il sottoscritto che, ad esempio, dopo che, circa 10 ore di lavoro per preparare questo articolo sono andate in fumo per un crash di sistema, ha ricominciato tutto da capo, fino alle 5 del mattino del giorno dopo) e, in fondo, siamo un po’ tutti dei disadattati, al confine con la follia, a causa delle fortissime contraddizioni che, ogni giorno ci attanagliano e che corrodono i più sensibili.
Sarebbe una bella idea (anche se un po’ pazza) farci insegnare da chi, col nulla crea capolavori (come ad esempio i Rom), in che modo valorizzare quello che riteniamo, erroneamente, non avere più alcun prospettiva: praticamente immondizia.
Un esperimento altrettanto temerario, viene condotto dai primi anni ottanta, all’indomani della chiusura dei manicomi, con la creazione delle cooperative sociali in cui venivano impegnati gli ex pazienti, per produrre, dignitosamente, lavoro e reddito. Fra queste, c’era la cooperativa “Noncello” di Pordenone, dove si faceva, veramente, parquet e, dove, il motto dei dirigenti era: “Si può fare!” oggi, in Italia, esistono 2500 cooperative sociali che danno lavoro a quasi 30.000 soci diversamente abili.
Si può fare è un film del 2008. Diretto da Giulio Manfredonia è risultato uno dei lavori più premiati nella storia del cinema italiano, racconta di un gruppo di operai “alternativi” che, nonostante numerosissime traversie riescono a dimostrare che, con una buona idea e il coraggio di sostenerla, il risultato è alla portata di tutti..
Nello (Claudio Bisio) è un sindacalista che, dopo aver scritto un libro sul mondo del mercato viene attaccato duramente dai “compagni” ed è, quindi, trasferito alla Cooperativa 180, una delle tante sorte per accogliere i pazienti dimessi dai manicomi. Dopo alcuni attriti iniziali con i pazienti, Nello decide di far capire loro il vero spirito di una cooperativa coinvolgendoli maggiormente. Ascoltando le idee di tutti, in un’assemblea viene presa la decisione di abbandonare il lavoro assistenziale e di entrare nel mercato diventando posatori di parquet, ogni paziente ricoprirà un ruolo all’interno della cooperativa secondo le proprie caratteristiche. Dopo il primo lavoro, fallito per inesperienza, riescono ad ottenere un appalto in un atelier d’alta moda, il giorno della scadenza della consegna finisce il legno: alcuni di loro decidono così, vista anche la loro abilità artistica, di usare gli scarti per realizzare un pannello raffigurante una stella e coprire così l’intero pavimento. L’idea, oltre a venire molto apprezzata, si fa strada e la cooperativa ottiene sempre più appalti. nonostante una serie di conflitti con psichiatri della vecchia guardia che non vorrebbero dosare gli psicofarmaci in maniera più opportuna (rivedendo al ribasso la posologia), la cooperativa ottiene un grosso appalto a Parigi per decorare le fermate della nuova linea metropolitana. Il film si chiude mostrando i numerosi pannelli già pronti e l’arrivo di nuovi soci da altri manicomi. (Fonte Wikipedia)
Oh, Madre mia… Si può fare!
Madre, sin da quando ero bambino ho cercato il tuo calore… ricordi quando infilavo le mie dita fra le tue avvicinando il mio volto sul tuo grembo? Già uomo, mi sono abbandonato a te, capace di farmi tornare bambino accarezzando i miei riccioli ribelli. Madre, mi mancano tanto la tua saggezza, quanto quegli occhi, specchio della mia anima. Mi hai insegnato a cercare il sole oltre le nuvole per illuminare i miei pensieri: oggi dietro quel tramonto, cercherò te. Ciao Mamma… semplicemente, Grazie! Tuo figlio Mariano.
Si ringraziano, rispettivamente, Alessandro Citro (docente, Counselor), Eugenio Filice (Ingegnere e “ricercatore”), Adelina Gentile (Counselor), Emanuela Governi (Dottore in Scienze Sociali, Mediatore Familiare e Counselor) e Marilena Dattis (Counselor ed esperta di cinema) per la preziosissima collaborazione nella realizzazione del dattiloscritto.
Un grazie anche a mio fratello Mariano, per aver amato così tanto nostra madre e per la sua poesia, da cui ho tratto l’ispirazione per questo articolo.
Direttore Responsabile “La Strad@” – Medico Psicoterapeuta – Vicedirettore e Docente di Psicologia Fisiologica, PNEI & Epigenetica c/o la Scuola di Formazione in Psicoterapia ad Indirizzo Dinamico SFPID (Roma/ Bologna) – Presidente NEVERLANDSCARL e NEVERLAND “CAPELLI D’ARGENTO” ETS (a favore di un invecchiamento attivo e a sostegno dei caregiver per la Resilienza nel Dolore Sociale) – Responsabile Progetto SOS Alzheimer realizzato da NEVERLAND “CAPELLI D’ARGENTO” ETS – Responsabile area psicosociale dell’Ambulatorio Popolare (a sostegno dei meno abbienti) nel Centro Storico di Cosenza – Componente “Rete Centro Storico” Cosenza – Giornalista Pubblicista – CTU Tribunale di Cosenza.
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