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Definizione

Il disturbo bipolare, o DB, è una manifestazione clinica del tono dell’umore in cui, stati emotivi come tristezza e felicità, si presentano ciclicamente amplificati e alternati a periodi di maggiore equilibrio.

Il DSM – IV – TR (Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali) prevede varie forme di DB:

  • il Disturbo Bipolare di I tipo (caratterizzato dalla prevalenza di episodi maniacali);
  • il Disturbo Bipolare di II tipo (caratterizzato dalla prevalenza di episodi depressivi);

il Disturbo Ciclotimico (caratterizzato da umore fluttuante con numerosi periodi con sintomi ipomaniacali e numerosi periodi con sintomi depressivi non sufficienti, tuttavia, a diagnosticare sia un quadro maniacale che di depressione maggiore);

  • il Disturbo Bipolare Non Altrimenti Specificato (che presenta quadri di sbalzi umorali molto frastagliati)

Fase depressiva

I fastidi legati alle frustrazioni come normali reazioni agli eventi spiacevoli si trasformano, nel DB, in consistente abbattimento e l’applicazione alle attività quotidiane, si trasforma in grande stanchezza, ipersonnia (aumento del sonno) o insonnia (spesso nelle prime ore del mattino), catatonia (immobilità marcata), disturbi dell’alimentazione. La concentrazione alterata sensibilmente, l’ideazione e la verbalizzazione diventano più lenti, confusi e poco lucidi. Si ha una bassa autostima e una ridotta motivazione ad agire, con facile tendenza al pianto.

Tutti questi sintomi sono spesso più frequenti al mattino con un certo miglioramento durante la giornata. A volte sono presenti deliri e allucinazioni: ci si convince di essere responsabili di cose non commesse, si crede che la propria famiglia sia in condizioni di rovina economica, etc.

La fase maniacale

Gli stati d’animo di benessere e serenità, in questo caso si amplificano fino a giungere ad uno stato di euforia, con iperstima ed estrema irritabilità. A volte, si evidenzia la presenza di deliri e allucinazioni. In simili situazioni, si possono mettere in atto comportamenti inappropriati di tipo compulsivo (nell’ambito della sessualità, della gestione del denaro, della guida, etc.) sottovalutandone rischi e pericoli.

I pazienti maniacali hanno un elaborato di pensiero accelerato, prendono decisioni importanti in maniera azzardata e si ritengono capaci di risolvere problemi complessi in un batter d’occhio. A causa del fluttuare rapido delle idee, i pazienti maniacali possono presentarsi confusi e incapaci di mantenere il senso dell’orientamento, e la contestualizzazione nello spazio e nel tempo.

Come nelle fasi depressive, deliri e allucinazioni sono comuni negli stati gravi della patologia. Il contenuto dei deliri e delle allucinazioni sono in genere coerenti con il tono dell’umore (per esempio, la persona può produrre stati di estasi “immaginando” il sistema solare), oppure possono essere incoerenti rispetto all’umore (per esempio, il paziente può convincersi del fatto che, popolazioni aliene stiano invadendo la Terra, nonostante manifesti uno stato di euforia).

Un’importante caratteristica del Disturbo Bipolare consiste nella presenza di periodi di normalità del tono dell’umore tra un episodio e l’altro, nella maggior parte dei casi.

Quando in una persona le oscillazioni dell’umore sono relativamente modeste (Non si soddisfano i criteri per poter parlare di Episodi Maniacali né di Depressione Maggiore) pur arrecando un disturbo e/o un disagio, la condizione prende il nome di ciclotimia.

Cause (etiologia)

Molti studi scientifici confermano da tempo una caratteristica di familiarità come, del resto per vari disturbi della personalità. La malattia negli altri membri della famiglia può essere più o meno grave o sfumata. Non è raro trovare un membro della famiglia particolarmente dinamico, produttivo e “pieno di energia”, mentre un altro membro è costantemente instabile a causa di una depressione grave, crisi maniacali o abuso di alcool o droghe.

La manifestazione del disturbo, pur avendo una base che si può ricercare in ambito genetico, viene favorita da condizioni ambientali (familiari o lavorativi) conflittuali e stressanti.

DIAGNOSI

Operare una diagnosi certa di disturbo bipolare (e provare a riconoscere le sue varianti) non è per nulla agevole. A parte il fatto che, molte delle manifestazioni comportamentali, a determinate condizioni di stress, possono essere presenti nella maggior parte della popolazione, vi sono molte altre condizioni di alterazione mentale (schizofreniasindrome da deficit di attenzione e iperattività – ADHD, depressione, ansia, vari disturbi della personalità) che possono comportare sintomi simili a quelli del disturbo bipolare.

Il processo diagnostico, consta di diverse parti, iniziando dal colloquio psichiatrico, o psicologico. Un valido ausilio (da cui estrapolare dati che rinforzino o meno quanto emerso dal colloquio) viene dalle “Interviste strutturate”, dai test della personalità (MMPI) e/o psicometrici (WAIS-R). Non trascurabile l’eventualità di Risonanza magnetica cerebrale e specifici esami ematochimici, per escludere la presenza di derivazioni secondarie a problemi organici (tumori, problemi endocrini, etc.).

Per riconoscere la fase maniacale, deve presentarsi un distinto periodo di anormale e persistente elevazione del tono dell’umore, con caratteristiche di espansività o irritabilità. I disturbi dell’umore devono essere abbastanza gravi da compromettere le attività di studio, di lavoro o le capacità di relazione sociale o, addirittura, da richiedere l’ospedalizzazione per prevenire danni a sé o agli altri (con presenza di atteggiamenti psicotici).

Ovviamente, i sintomi non devono essere conseguenza di effetti fisiologici diretti di una sostanza (droghe, farmaci, etc.) o di una condizione medica generale (per esempio,l’ipertiroidismo).

Durante un episodio maniacale, diversi (tre o più) dei seguenti sintomi, devono essere presenti, in maniera continuativa (almeno una settimana):

  • Aumento dell’autostima e/o del senso di grandiosità;
  • Ridotto bisogno di sonno;
  • Aumentata produzione verbale con difficoltà a frenarla;
  • Volubilità nel cambiare opinione (il paziente non si accorge del fatto che le sue valutazioni sono considerevolmente altalenanti);
  • Facile distraibilità (il paziente può porre attenzione a particolari insignificanti ignorando elementi importanti
  • Aumento delle attività finalizzate (applicazioni in qualcosa di specifico) in maniera ossessiva / compulsiva;
  • Agitazione mentale e fisica;
  • Aumentato coinvolgimento in attività che possono avere conseguenze pericolose (per esempio, spendere molto denaro o intraprendere attività sessuali inusuali per la persona).

La ricca produzione ideativa del paziente maniacale, parte da temi di grandiosità interiore (progetti vanagloriosi, la millanteria, la fabulazione ludico-fantastica) fino a giungere al delirio. In questo caso, ci troviamo di fronte a:

  • deliri di ambizione (il paziente ritiene di possedere notevoli qualità psichiche o fisiche);
  • deliri di riforma (il paziente crede di poter rivoluzionare l’assetto socio-politico o religioso vigente);
  • deliri inventori (il paziente si attribuisce invenzioni o scoperte geniali);
  • deliri genealogici (il paziente è convinto di discendere da una genealogia illustre);
  • deliri di potenza (si identifica con personaggi influenti);
  • deliri megalomanici (il paziente è convinto di possedere poteri psicofisici straordinari, giungendo talora a ritenersi immortale);
  • deliri mistico-religiosi (il paziente godrebbe di un contatto privilegiato col divino);
  • deliri di enormità (il paziente crede di avere un corpo immenso, immortale e totipotente, che spesso colloca al centro dell’universo);
  • deliri d’amore ovvero l’erotomania di Esquirol o sindrome dell’amante immaginario di De Clérembault, che consiste nella convinzione di essere amato da una persona in realtà ignara.
  • deliri di infedeltà (impropriamente definiti deliri di gelosia), ovvero il convincimento infondato di essere traditi dal partner (a questa conclusione, che se nella sostanza può anche coincidere col vero, il paziente giunge in maniera paralogica, cioè sostanzialmente “bislacca”. ed in assenza di prove incontrovertibili).

Esiste, anche, una condizione, definita “ipomaniacale”

Secondo il DSM-IV-TR, l’Episodio Ipomaniacale è definito come un periodo definito di umore persistentemente elevato, espansivo o irritabile, che dura ininterrottamente per almeno 4 giorni, e che è chiaramente diverso dall’umore non depresso abituale.

L’episodio si associa ad un chiaro cambiamento nel modo di agire, che non è caratteristico della persona quando è asintomatica. L’alterazione dell’umore e il cambiamento nel modo di agire sono osservabili dagli altri. L’episodio non è abbastanza grave da provocare una marcata compromissione in ambito lavorativo o sociale, o da richiedere l’ospedalizzazione, e non sono presenti manifestazioni psicotiche.

Ovviamente, i sintomi non devono essere conseguenza di effetti fisiologici diretti di una sostanza (droghe, farmaci, etc.) o di una condizione medica generale (per esempio,l’ipertiroidismo).

Durante il periodo di alterazione dell’umore tre (o più) dei seguenti sintomi sono stati persistenti e presenti ad un livello significativo:

1) autostima ipertrofica;

2) diminuito bisogno di sonno (per esempio, sentirsi riposato dopo solo 3 ore di sonno)

3) maggiore loquacità del solito (oppure continua spinta a parlare);

4) fuga delle idee (pensieri che si succedono repentinamente);

5) distraibilità (con attenzione facilmente deviata da stimoli esterni non importanti o non pertinenti)

6) aumento dell’attività finalizzata (sociale, lavorativa, scolastica o sessuale), oppure agitazione psicomotoria

7) eccessivo coinvolgimento in attività ludiche che hanno un alto potenziale di conseguenze dannose (per esempio, eccessi nel comprare, comportamento sessuale sconveniente, investimenti in affari avventati)

L’Episodio Ipomaniacale non dovrebbe essere confuso con le giornate di buonumore che seguono la risoluzione di un Episodio Depressivo Maggiore. La discriminazione tra mania ed ipomania codificata dal DSM-IV è in realtà alquanto artificiosa con una soglia diagnostica piuttosto arbitraria e scarsamente attendibile in quanto risente inevitabilmente della sensibilità del clinico, del livello intellettivo e della personalità premorbosa del paziente, del supporto familiare, dell’influsso socio-culturale, sempre più difficile da valutare in una popolazione multietnica.

Per la diagnosi di depressione è necessario un periodo di almeno due settimane (con perdita d’interesse o di piacere in tutte o buona parte delle attività) dopo un periodo di iperattività. La depressione deve essere abbastanza grave da produrre una modificazione nell’appetito, nel peso corporeo, nel sonno o nella capacità di concentrarsi così come deve essere presente un sentimento di colpa, di inadeguatezza o disperazione; possono anche essere presenti pensieri di morte o suicidio.

Nella sua fase di stato, questa condizione è ben descritta dai criteri diagnostici del DSM-IV-TR per l’episodio depressivo maggiore:

  • I sintomi causano disagio clinicamente significativo o compromissione del funzionamento sociale, lavorativo, o di altre aree importanti.
  • I sintomi non sono dovuti agli effetti fisiologici diretti di una sostanza (per es., una droga di abuso, un medicamento) o di una condizione medica generale (per es., ipotiroidismo).
  • I sintomi non sono meglio giustificati da Lutto; cioè, dopo la perdita di una persona amata, i sintomi persistono per più di 2 mesi, o sono caratterizzati da una compromissione funzionale marcata, autosvalutazione patologica, ideazione suicidaria, sintomi psicotici o rallentamento psicomotorio.

Cinque (o più) dei seguenti sintomi sono stati contemporaneamente presenti durante un periodo di 2 settimane e rappresentano un cambiamento rispetto al precedente livello di funzionamento; almeno uno dei sintomi è costituito da umore depresso o perdita di interesse (o di piacere):

1. Umore depresso per la maggior parte del giorno, quasi ogni giorno;

2. Marcata diminuzione di interesse o piacere (anedonia) per tutte, o quasi tutte le attività, per la maggior parte del giorno, quasi ogni giorno (come riportato dal soggetto o come osservato dagli altri);

3. Significativa perdita di peso, senza essere a dieta, od aumento di peso (per es., un cambiamento superiore al 5% del peso corporeo in un mese), oppure diminuzione od aumento dell’appetito quasi ogni giorno;

4. Insonnia od ipersonnia quasi ogni giorno.

5. Agitazione o rallentamento psicomotorio quasi ogni giorno (osservabile dagli altri, non semplicemente sentimenti soggettivi di essere irrequieto o rallentato);

6. Faticabilità o mancanza di energia quasi ogni giorno;

7. Sentimenti di autosvalutazione e di colpa eccessivi o inappropriati (che possono essere deliranti), quasi ogni giorno;

8. Ridotta capacità di concentrazione, quasi ogni giorno;

9. Pensieri ricorrenti di morte (non solo paura di morire), ricorrente ideazione suicidaria.

Ovviamente, è importante escludere che questi sintomi sia causati da farmaci o patologie internistiche. Il medico deve eliminare questa possibilità sottoponendo il paziente ad accertamenti medici; può anche essere necessaria una visita neurologica.

Talvolta una persona può sperimentare solo episodi di mania o solo episodi di depressione alternati a periodi di normalità del tono dell’umore. Quando è presente solo la mania la malattia prende comunque il nome di DB, mentre invece se è presente solo la depressione, la malattia è in genere chiamata depressione maggiore (ricorrente se si ripete nel tempo).

Esiste, in ultimo, una variante definita “Episodio Misto” (o ciclotimia), le cui caratteristiche sono riportate in maniera dettagliata dal DSM – IV- TR

  • Risultano soddisfatti i criteri sia per l’Episodio Maniacale che per l’Episodio Depressivo Maggiore (eccetto per la durata), quasi ogni giorno, per almeno 1 settimana;
  • L’alterazione dell’umore è tale da causare una marcata compromissione del funzionamento lavorativo o delle attività sociali abituali o delle relazioni interpersonali, o da richiedere l’ospedalizzazione per prevenire danni a sé o agli altri, oppure sono presenti manifestazioni psicotiche;
  • I sintomi non devono essere conseguenza di effetti fisiologici diretti di una sostanza (droghe, farmaci, etc.) o di una condizione medica generale (per esempio,l’ipertiroisdismo).

TRATTAMENTO

Farmaci

La cura principale del DB è farmacologica. Antipsicotici o neurolettici, sono usati nel trattamento della mania nella fase acuta e meno nella fase di mantenimento. Altri farmaci come il diazepam o altre benzodiazepine sono anche usate nel trattamento acuto della mania. Il litio (come stabilizzatore del tono dell’umore) è spesso usato nel trattamento della mania in fase acuta, ma la sua indicazione principale riguarda l’azione di prevenzione delle crisi sia maniacali che depressive. L’acido valproico e la carbamazepina (antiepilettici) sono ugualmente usati nel trattamento della mania acuta così come nella prevenzione delle ricadute.

Anche altri farmaci di più recente introduzione stanno dimostrando una efficace azione nella regolazione dell’umore come la lamotrigina e la gabapentina (antiepilettici).

I regolatori dell’umore sono anche utilizzati per prevenire le ricadute nella depressione e alcuni pazienti trovano giovamento nell’assunzione di un regolatore dell’umore durante la depressione. Gli antidepressivi sono utilizzati nelle fasi depressive della malattia: è importante ricordare sempre che generalmente gli antidepressivi richiedono dalle 2 alle 6 settimane per risultare efficaci. In alcuni casi gli antidepressivi possono indurre un viraggio dalle fase depressiva alla fase maniacale e questa evenienza richiede naturalmente una attenzione particolare.

Quando la fase acuta della malattia è stata superata, lo specialista dovrà trovare il farmaco più adatto per prevenire o ridurre la frequenza e la gravità delle ricadute. Il litio è in genere il farmaco di prima scelta ed è efficace nella maggior parte dei pazienti. Ugualmente efficaci come il litio sono gli altri farmaci regolatori dell’umore (carbamazepina ed acido valproico), che possono essere utilizzati come farmaci di prima scelta oppure in alternativa al litio, se questo risultasse non tollerato.

Elettrochoc (ECT – terapia elettroconvulsivante)

ECT può essere un salvavita per le depressioni più gravi e resistenti alla terapia farmacologica. Può risultare utile anche negli stati misti più gravi. All’infuori di queste indicazioni non vi sono certezze circa l’efficacia dell’ECT e, l’orientamento attuale, tende a riservarne l’uso ai casi più gravi che si sono dimostrati resistenti alle terapie farmacologiche. Il trattamento è sicuro che in passato, anche se presenti rischi legati alla non perfetta conoscenza dell’effettivo meccanismo d’azione: fra gli effetti collaterali abbastanza frequenti, troviamo i disturbi di memoria, generalmente transitori, nelle settimane successive al trattamento.

Psicoterapia

Un obiettivo della psicoterapia è identificare le problematiche (interne ed esterne alla persona) che rendono difficile affrontare la vita e, nel contempo, cercare nuove strategie per fronteggiare e risolvere tali problematiche. Le metodologie più utilizzate sono:

  • La cognitivo comportamentale;
  • La psicodinamica;
  • di gruppo.

La prima, stimola ad un tentativo di desensibilizzazione;

La seconda spinge ad una ricerca relativa alle motivazioni che portano alle condizioni di disequilibrio interiore che, nel tempo, stara la produzione neurotrasmettitoriale e, di conseguenza, evidenzia i sintomi;

La terza, grazie al confronto con altri portatori dello stesso problema, diventa una sorta di sistema di autoaiuto”.

Se si cerca la risoluzione delle motivazioni, allora è necessario prendere in considerazione l’idea di un trattamento di psicoterapia personale che porti, innanzitutto, ad analizzare:

  • la storia familiare;
  • il rapporto col mondo esterno in generale;
  • la storia sentimentale;
  • la storia scolastica e/o lavorativa;
  • le esperienze particolarmente negative e/o traumatiche;
  • Le risorse personali e ambientali da su cui puntare o da ottimizzare.

Durante il percorso psicoterapeutico sarà utile venire a conoscenza:

  • della storia del disturbo;
  • della sua familiarità;
  • di eventuali fattori predisponenti;
  • di eventuali fattori scatenanti;
  • di eventuali fattori di mantenimento;
  • delle motivazioni al trattamento;
  • di precedenti trattamenti (anche farmacologici)

La psicoterapia aiuta chi soffre di questo problema a fare fronte alla paura, alla vergogna e all’ansietà connesse al problema e concretizza la possibilità di imparare modi nuovi di affrontare le relazioni sociali ed affettive che possono risentire degli effetti della situazione clinica.

L’obiettivo, comunque, consiste nel riuscire a migliorare il rapporto con conflitti interiorifrustrazionicapacità di adattamentoflessibilità e autoconciliazioneautostimaautoaffermazione, al fine di riuscire di riuscire a dare un senso al tempo e alla vita.

BIBLIOGRAFIA

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Giorgio Marchese– Medico Psicoterapeuta (Docente di Fisiologia Psicologica e Psicologia della comunicazione c/o la Scuola di Specializzazione in Psicoterapia ad Indirizzo Dinamico SFPID – Roma 2014)

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