Caro dottore, mi è capitato di riflettere sul senso di inadeguatezza e mi sono accorta che, se non mi rendo disponibile ad affrontare le frustrazioni del lavoro, oltre che della vita quotidiana, peggiorerò sensibilmente la qualità della mia vita, giacché, comunque, non si possono evitare le frustrazioni. Ho cercato, quindi, di capire come fare per utilizzare il tempo a mia disposizione, in questa fase di transizione.
Ho bisogno di un chiarimento: ogni volta che so di dover affrontare frustrazioni è necessario accettare l’idea che poi potrò sentirmi svuotata, stanca e poco disponibile ad aprirmi a nuove prospettive?
Accettare l’idea che possa accadere, equivale a determinare un sentimento di conciliazione con se stessa. Di conseguenza, acquietati i malumori, non svilupperà disturbi “impegnativi” del tono dell’umore (angoscia, disagio e demotivazione esistenziale, etc.). Nel momento in cui lei accetta di affrontare qualunque evenienza, risolti i conflitti in relazione agli eventi che potrebbero darli fastidio, si placano le tensioni. Quindi, si raggiungerà una condizione di tranquillità, che non può produrre sintomi. Il sintomo è la valvola di scarico delle tensioni interne. Se l’umore è in equilibrio, tendente verso il benessere, non c’è bisogno di scaricare tensione perché, quest’ultima, non si crea!
C’è, ovviamente, da aggiungere che l’esperienza le insegnerà a scegliere verso dove andare e contro cosa “impattare”, in funzione di quanto, effettivamente, ne valga la pena.
Allora, continuando in questo modo, facendo questo lavoro, man mano darò più senso alle cose che faccio e produrrò sempre meno malumore?
In linea di principio, è così. Non escluda, comunque, l’eventualità di qualche “granello di sabbia” negli ingranaggi. Anche una buona pianificazione, infatti, non è immune da “deviazioni da stress”. Bisognerà, a quel punto, apportare qualche correttivo.
Questo discorso vale anche se, per caso, dovessi avere una sorta di ribellione o preoccupazione, magari a distanza di tempo, dopo aver adottato quel tipo di valutazione mentale che mi ha suggerito?
Sarebbe un effetto ribound (reazione paradossa) ad una sua decisione presa ed attuata, legata alla presenza di alcune idee che vanno in direzione opposta, per cui, rispetto ad una situazione antica, si sarebbe comportata in maniera certamente innovativa, dal punto di vista delle decisioni e quindi, quella sua componente antica, si andrebbe a ribellare.
“Il
dolore è il gran maestro degli uomini. Sotto il suo soffio si
sviluppano le anime” (Marie von Ebner-Eschenbach).
Ma
non equivarrebbe a tornare indietro, sul piano maturativo ?
No, anzi, se la sua parte antica non temesse di doversi dissolvere, non si ribellerebbe.
E questi momenti li dovrei accettare come qualcosa legata al cambiamento?
Sì, andrebbero “accettati”! Più si avvicina alla trasformazione globale, più una parte di lei si ribella, e più si ribella più è vicina alla risoluzione: quando un’organizzazione parassita, che si oppone al corretto funzionamento sociale, teme la sconfitta, organizza reazioni eclatanti (come, ad esempio le organizzazioni criminali con gli attentati: attaccano per paura… e per incutere paura).
Ma, infatti, io in questi momenti penso che sto facendo qualcosa che “non mi appartiene completamente”.
In fondo, questa, è troppo nuova come situazione. Ecco che, in quei momenti, bisogna creare spazio alla capacità di riflettere in maniera “fredda” e “ponderata”.
“Il naufragio peggiore, è quello di chi non ha nemmeno lasciato il porto” (Amyr Klink).
Vorrei comunicarle una sensazione di paura che riguarda la mia vita privata. Mentre, infatti, le inadeguatezze rispetto al lavoro dovrei superarle agevolmente considerando che non sono inferiore, né per personalità né per competenza, a tanti miei competitors, nei rapporti con gli altri in genere e quelli con un eventuale partner (con l’idea di metter su famiglia!) mi creano angoscia, perché so di non essere in grado di saperli gestire in modo appropriato. Come faccio a conciliare, con me stessa, su questi aspetti, riducendo le preoccupazioni?
Parta dalle spiegazioni che le ho fornito. In questo modo creerà i presupposti per un quadro di consapevolezza che le consenta di apprezzarsi per ciò che è e per ciò che fa: questo, diventa l’anticamera dell’autostima, la quale le consente di sentirsi sicura, solida e capace di affrontare le difficoltà, in tutta tranquillità. Come risultato condurrà le sue giornate senza avvertire complessi di inferiorità, perché i suoi elaborati saranno adeguati per la creazione di strategie volte alla risoluzione dei problemi, qualunque essi siano. Basta sapere interiormente di avere questa capacità, tanto la renderà tranquilla.
Esiste, al tempo stesso, la necessità di considerare che, pur potendoci permettere (in linea teorica), ogni scelta sul piano degli investimenti esistenziali (nel lavoro, negli affetti e nella gestione del nostro tempo personale) in grado di farci puntare su una pluralità di obiettivi, in realtà pian piano, ci accorgeremo che, delle scelte, dovremo, per forza, farle. Ad esempio, se abbiamo subito un ritardo negli studi, o ci accorgiamo di aver commesso un errore nella scelta professionale, potremo recuperare ma, richiedendo tempo ed energia, finiremo col trascurare altri aspetti fra cui, per esempio, la possibilità di realizzarci all’interno di una famiglia propria. Ma anche se decidessimo di privilegiare quest’ultimo aspetto, scopriremmo amaramente che, comunque, a qualcosa dovremmo rinunciare. Infatti, dedicandoci ad una buona educazione di figli e aggiungendo la “tara” (in senso di peso) lavorativa, ne risentirebbe la “freschezza” del rapporto di coppia.
Insomma, non c’è felicità, sotto questo cielo?
Credo che un’indicazione fornitaci da Madre Teresa di Calcutta, possa rispondere: “Sii felice ora. Non aspettare di finire l’Università, di innamorarti, di trovare lavoro, di sposarti, di avere figli, di vederli sistemati, di perdere quei dieci chili, che arrivi il venerdì sera o la domenica mattina, la primavera, l’estate, l’autunno o l’inverno…Non c’è momento migliore di questo per essere felice… La felicità è un percorso, non una destinazione”.
Se io riuscissi a vedere con distacco ciò che accade e che costituisce un ostacolo, senza sentirmene responsabile a tutti i costi, rimarrei più lucida e potrei pensare alle soluzioni adeguate.
Un altro atteggiamento da modificare è il ritenere che, se qualcuno si comporta in modo scorretto con me, significa che c’è, nella mia persona, qualche responsabilità. Non credo che ci sia necessariamente questo tipo di relazione, lei cosa ne pensa?
Più o meno quello, che sull’argomento, ne pensava Albert Einstein: “Il mondo che abbiamo creato è il prodotto del nostro pensiero. E dunque non può cambiare, se prima non modifichiamo il nostro modo di pensare” ( A. Einstein).
Nell’articolo Puntare su se stessi per superare ogni paura , lei spiega che la paura è collegata, soprattutto, al fatto che noi ci sentiamo in obbligo di doverci adeguare al ruolo che la Società ci chiede di dover ricoprire… e che esiste una discrepanza tra ciò che vogliamo far apparire di essere e ciò che realmente siamo..
..e ci sarebbe da aggiungere anche …”e ciò che riteniamo di essere…”, che a volte è inferiore alla realtà, a volte è più di quanto in effetti noi siamo!
E come si può fare per adeguarsi rispetto alle richieste della Società, se una persona ha un certo ruolo per il quale non si ritiene adeguatamente pronta, preparata?
Preoccupandosi di migliorare la propria personalità! Solo in questo modo non cercheremo di portare avanti un’ambizione scorretta, che ci spingerà a ricoprire dei ruoli per i quali siamo inadeguati e saremo sospinti, invece, verso una realizzazione delle nostre aspirazioni in maniera commisurata, per ciò che, effettivamente, ci sentiremo disposti a fare. Se io ricopro un ruolo per il quale non mi sento pronto, se non sono un velleitario, mi metterò in condizioni di imparare quello che mi serve.
Però può capitare di dovere assolvere un compito per un incarico di breve durata. In questo caso, come si fa ad avere il tempo per prepararsi?
Cercherò di evitare di assumere altri incarichi del genere finché non mi sono preparato, oppure valuterò altre strade.
Può accadere, in un’attività che è varia, come la mia che sono una libero – professionista, di dover trattare pratiche in settori di cui non ci si è mai occupati, per cui bisogna acquisire prima le conoscenze adatte.
Tutto questo richiede una valutazione in termini di priorità effettive. Se è costretta a lavorare per sopravvivere, avrà la motivazione sufficiente per studiare quello che serve e mettersi in condizioni di affrontare bene il lavoro. Se, invece, porta avanti la sua professione prevalentemente per realizzarsi, sceglierà dei settori di maggior gradimento. Per come stanno le cose, può prendere questo periodo come una frazione di tempo tendente ad esaurirsi, che le consente e la costringe ad allenarsi per migliorare la sua flessibilità ed adattabilità. Quindi, trarrà vantaggio anche da questi momenti difficili.
Infatti, in questi giorni ho cercato di non allarmarmi in presenza di disturbi psicosomatici, cercando di consapevolizzarne i motivi…e ci sono riuscita meglio!
Questo non significa imparare a convivere con i malesseri, ma cercare di essere conciliante con se stessa al fine di eliminare i motivi per cui produce i sintomi.
…Che sono la paura ed il senso di inadeguatezza! lei spiega che si può avere, di fronte alla sensazione di insicurezza, una sorta di sgretolamento della sicurezza interiore, che poi fa nascere le paure fino ad arrivare a proteggersi chiudendosi in casa, che è quello che ho fatto io, mettendomi al riparo dagli impegni che sento di non poter affrontare. Anche in un periodo di transizione come questo, si può fare qualcosa in più per evitare di produrre questo tipo di reazione, che io, a volte, continuo ad avere?
Continuare ad impegnarsi per migliorare se stessa.
E così sparisce quel tipo di reazione?
Non si determina più la reazione, perché elimina uno dei reagenti: l’inadeguatezza. Se lei, in una reazione chimica, elimina uno dei due componenti, il processo non può più avvenire.
Vorrei chiederle qualcosa sul conformismo. Come ci si deve regolare quando ci si trova in un gruppo, si hanno idee diverse rispetto agli altri e le si vuole mantenere, nel senso che non si accettano i condizionamenti del gruppo?
Innanzitutto c’è da chiedersi quali siano le motivazioni che ci inducono a fare parte di quel gruppo. Se è un gruppo di amici coi quali abbiamo deciso di andare a mangiare una pizza e siamo di idee politiche differenti, questo non ci impedisce di godere dei piaceri di quella serata. Se è un gruppo di persone che ci chiede di conformarci su cose più importanti, allora la strategia cambia. Possiamo decidere di uscire dal gruppo perché migliorando la nostra personalità ci saremo affrancati dal bisogno di aggregazione per sentirci sicuri; possiamo anche camminare da soli e cercare altri gruppi più consoni alle nostre esigenze e alle nostre vedute.
Non si potrebbe restare lo stesso nel gruppo, anche in presenza di vedute divergenti?
Sì, questa è un’altra possibilità. Infatti, in un gruppo composto da persone mature, ci sono degli obiettivi in comune e ci sono degli interessi del tutto personali: ci si relaziona sulle cose che coinvolgono le persone del gruppo e si lasciano da parte gli altri aspetti.
E se si deve adottare una scelta sugli aspetti in comune e lì c’è diversità di vedute, come si fa? Si reprimono le proprie idee?
No, a quel punto è meglio uscire dal gruppo, a meno che il gruppo non sia indispensabile a garantirti ciò che serve per sopravvivere. In questo caso rimani nel gruppo fin quando non ne puoi uscire. Perché un gruppo funzioni, ogni componente deve avere un margine di autonomia ed il lavoro del singolo deve creare ricadute per sé e miglioramenti per il gruppo. A queste condizioni non si creerà mai, ad esempio, quella coartazione che va sotto il nome di Mobbing.
Quindi, è necessario, comunque, riuscire a conciliare le posizioni! Se si determinano posizioni inconciliabili, qual è la scelta migliore? Uscire dal gruppo o finire col subire?
Dipende da cosa comporta il restare in quella posizione. Se condiziona fortemente l’attività del gruppo bisogna necessariamente chiarire; se, invece, riguarda elementi che possono anche passare in secondo piano, il riuscire ad “accomodarsi”, rientra negli accomodamenti necessari per una vita sociale: dipende, come sempre, dalla situazione.
Le propongo un esempio banale. Se a me, un gruppo di amici dovesse propormi di andare in discoteca, o fare altre attività che non mi interessano, non ci andrei: alla fine, dovrei uscire da quel gruppo?
Potrebbe non andare con loro in discoteca ed andare a sciare, oppure al cinema. Se poi questo gruppo è composto da persone che vanno solo in discoteca, si cerca un’altra compagnia. Insieme con gli altri, ci si sta quando c’è una corrispondenza di vedute, altrimenti non c’è motivo, a meno che non si sente incapace di camminare da sola e cerca qualcuno su cui poggiarsi. E, ad ogni modo, la invito a non dare troppa importanza alla collettività. Prioritariamente, viene il “suo” mondo con i propri obiettivi. In fondo, “Il segreto dell’esistenza umana non sta soltanto nel vivere, ma anche nel sapere per che cosa si vive” (Fëdor Dostoevskij).
Riuscirò nell’intento?
“Ridere spesso e di gusto; ottenere il rispetto di persone intelligenti e l’affetto dei bambini; prestare orecchio alle lodi di critici sinceri e sopportare i tradimenti di falsi amici; apprezzare la bellezza; scorgere negli altri gli aspetti positivi; lasciare il mondo un pochino migliore, si tratti di un bambino guarito, di un’aiuola o del riscatto da una condizione sociale; sapere che anche una sola esistenza è stata più lieta per il fatto che tu sei esistito. Ecco, questo è avere successo, nella vita. E porta alla serenità e alla felicità”(Ralph Waldo Emerson) , Questo è tutto!
Anche per quest’oggi mi sento appagata. Per la prima volta, forse, comincio a rilassarmi, pensando al mio futuro…. Grazie!
G. M. – Medico Psicoterapeuta,
Questo articolo che avete appena letto, rappresenta il condensato di un colloquio di analisi personale. Per ovvi motivi, il contenuto è stato adattato alla lettura divulgativa, tendente anche a proteggere la tutela della privacy.
Direttore Responsabile “La Strad@” – Medico Psicoterapeuta – Vicedirettore e Docente di Psicologia Fisiologica, PNEI & Epigenetica c/o la Scuola di Formazione in Psicoterapia ad Indirizzo Dinamico SFPID (Roma/ Bologna) – Presidente NEVERLANDSCARL e NEVERLAND “CAPELLI D’ARGENTO” ETS (a favore di un invecchiamento attivo e a sostegno dei caregiver per la Resilienza nel Dolore Sociale) – Responsabile Progetto SOS Alzheimer realizzato da NEVERLAND “CAPELLI D’ARGENTO” ETS – Responsabile area psicosociale dell’Ambulatorio Popolare (a sostegno dei meno abbienti) nel Centro Storico di Cosenza – Componente “Rete Centro Storico” Cosenza – Giornalista Pubblicista – CTU Tribunale di Cosenza.
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