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E se ci fosse qualcosa di sbagliato, nell’approccio terapeutico?


 

News Neuroscienze

Il Progetto Genoma Umano non ha mantenuto le promesse mediche, gli scienziati discutono su che cosa non ha funzionato.


Nel 2000 i responsabili del Progetto Genoma Umano avevano annunciato la prima bozza del genoma. E avevano previsto che nei successivi dieci anni la ricerca avrebbe aperto la strada alla medicina personalizzata. Fino ad oggi però sono state sviluppate poche applicazioni, sebbene le scoperte ottenute abbiano rivoluzionato la ricerca biologica. Per alcuni eminenti genetisti, la strategia chiave con cui si cercano indizi di tipo medico per le malattie complesse, nota come ipotesi della “variante comune”, ha un vizio di fondo. Per altri la strategia è valida, ma richiede più tempo per raggiungere i risultati sperati. Le tecniche di nuova generazione per lo studio del genoma dovrebbero risolvere rapidamente la controversia e far progredire la ricerca che indaga sulle basi genetiche delle principali malattie.

Cincinnati, staminali trasformate in intestino

Creato il primo organo umano in provetta, un intestino, con l’obiettivo di arrivare in futuro a trapianti d’organo sempre più sicuri. L’esperimento, realizzato al Cincinnati Children’s Hospital Medical Center, Stati Uniti e pubblicato su Nature, ha usato cellule staminali adulte della pelle e cellule staminali embrionali. In passato erano state create cornee, pelle e vesciche umane da cellule staminali, ma l’intestino rappresenta un salto di qualità nel lavoro degli ingegneri del corpo umano.


“Siamo partiti da alcune cellule staminali. All’interno di una capsula di Petri le abbiamo istruite in modo da farle crescere e trasformare in tessuto intestinale. Abbiamo ottenuto così una struttura perfettamente tridimensionale con una composizione cellulare simile a quella dell’intestino naturale. Speriamo che i nostri studi diventino utili anche per i pazienti”, racconta James Wells, l’autore dell’esperimento.

Sono già iniziati i primi trapianti sugli animali, ma vista la molteplicità di funzioni svolte dall’intestino, non è detto che l’organo cresciuto in laboratorio sia in grado di svolgere tutti i suoi compiti. Le cellule staminali adulte impiegate per l’esperimento sono state ottenute con una tecnica relativamente nuova, che consiste nel far regredire le cellule adulte allo stadio di staminali. Wells vuole ora controllare se le staminali regredite abbiano la stessa efficacia di quelle embrionali.

Tessuti tumorali dalla cellule staminali

Ricercatori italiani, coordinati da Ruggero De Maria, direttore del dipartimento di Ematologia, Oncologia e Medicina Molecolare dell’Istituto superiore di Sanità, hanno Scoperto il meccanismo con cui le cellule staminali generano i tessuti tumorali. Lo studio pubblicato su Nature ha analizzato il tessuto tumorale di oltre 40 pazienti affetti da glioblastoma multiforme, il più maligno dei tumori cerebrali. Si aprono ora nuovi scenari terapeutici per la cura di molti tumori: “Un importante approccio terapeutico per diversi tipi di tumore”, spiega Enrico Garaci, presidente dell’Istituto superiore di sanità. Alla ricerca hanno contribuito anche la facoltà di medicina dell’università Cattolica di Roma e l’istituto Carlo Besta di Milano, con il contributo finanziario dell’Associazione italiana per la ricerca sul cancro.

Gli scienziati hanno scoperto che le cellule del cancro non si limitano a moltiplicarsi aggiungendo un mattone sull’altro per aumentare la loro massa. Il tumore cerca di rendere più comoda la sua casa all’interno dell’organismo, dotandola di un sistema idraulico. Nel caso del glioblastoma le cellule malate del sistema nervoso si trasformano spontaneamente in cellule endoteliali. Il ruolo di queste cellule è costruire nuovi vasi sanguigni per far affluire il nutrimento e sostenere la crescita impetuosa del tumore. Che il cancro favorisse al suo interno la formazione dei capillari (angiogenesi) era già stato dimostrato. Ma nessuno si aspettava che il cancro sfruttasse cellule già malate costringendole a cambiare natura e a trasformarsi da neurali in endoteliali. A compiere questo salto sono in particolare le cellule staminali del cancro, che da qualche anno si stanno confermando come la vera anima diabolica della malattia, a causa della loro capacità di proliferare e trasformarsi con estrema rapidità.

“Il dubbio che non ci fa dormire la notte è quello che, finora, abbiamo preso di mira il bersaglio sbagliato”.

Parla fuori dai denti Pier Giuseppe Pelicci, direttore scientifico del dipartimento di oncologia sperimentale all’Istituto europeo di oncologia di Milano. La ricerca contro il cancro, negli ultimi anni, sembra essersi concentrata verso un nuovo fronte: eccitante quanto incerto, quello delle cellule staminali.

“Oggi l’obiettivo delle cure è ridurre le dimensioni del tumore – spiega Pelicci – E per questo abbiamo farmaci anche molto efficaci. Ma se distruggiamo le cellule del tumore senza colpire le staminali che di quel tumore sono la benzina, i nostri risultati rischiano di essere temporanei”.

Il problema è che le staminali sono eccezionali nel ripristinare le cellule sane aggredite dal tumore ma, se qualcosa va storto (e ancora non si sa di preciso cosa), allora possono anche aiutare il tumore ad espandersi.

Due studi italiani pubblicati su Nature hanno messo in evidenza nuovi meccanismi legati al funzionamento delle staminali in oncologia. La ricerca più recente, uscita solo lo scorso 22 novembre e curata dall’Istituto superiore di sanità, l’università  Cattolica di Roma e l’istituto Besta di Milano, ha dimostrato la capacità  delle staminali di “cambiare natura” e di riuscirsi a trasformarsi da cellule del sistema nervoso a cellule endoteliali, ricostruendo i vasi che portano il tumore a crescere.

Il secondo studio, proprio di Pelicci e della sua equipe, pubblicato nel 2009, aveva dimostrato la capacità  di queste cellule di resistere agli “attacchi” di chemio e radioterapie. Esse sono infatti in grado di riparare i danni al loro Dna, riprendendo a moltiplicarsi ed evitando di trasmettere gli “errori” alle future generazioni.

Riflessioni

Dalla lettura attenta di questi “dispacci scientifici”, si possono operare delle interessanti valutazioni:

  • Anzitutto, non è nel DNA che, in assoluto, possiamo trovare le risposte sulle patologie e sulla possibilità di manifestazione delle medesime; infatti, i biologi cellulari ci spiegano che, in base a segnali specifici che provengono dall’esterno della membrana cellulare, si attivano recettori ad hoc che consentiranno l’ingresso di sostanze che, volgarmente parlando, inducono la lettura di alcune parti del DNA, piuttosto che di altre; quindi, zone eventualmente alterate, potrebbero non generare manifestazioni alcune;
  • Si è accertato qualcosa di ovvio, a proposito delle cellule staminali e cioè, che, sottoponendo queste ultime, a sollecitazioni ambientali opportune, si otterrà una trasformazione in cellula specializzata; come dire: è fondamentale il ruolo dell’apprendimento;
  • Una cellula tumorale e una cellula indifferenziata hanno molto in comune, sul piano della potenzialità mitotica e di diffusione, al riparo dalla morte cellulare programmata (apoptosi) cui, invece, sono sottoposte tutte le altre cellule;

Conclusioni

Nel caso in cui, motivazioni particolari intrinseche all’identità psicologica di ogni individuo (fatte salve tutte le condizioni di inquinamento cancerogeno esterno), inducano a far entrare all’interno delle cellule (attraverso opportuni canali recettoriali) sostanze capaci di indurre, geneticamente parlando, una perdita di specializzazione cellulare a favore di una indifferenziazione staminale, si attiverebbe la produzione di quel sistema autodistruttivo che è il tumore, non più da considerare come una neoplasia, bensì come un’archeoplasia (“roba” regressiva, di tipo embrionario). Allora, forse, si dovrebbe investire un po’ più di risorse per mappare anamnesticamente, la storia e la personalità di ciascun individuo “a rischio” o portatore di tumore. A quel punto, (con l’aggiunta delle altre terapie più convenzionali) si trarrebbe grande vantaggio prognostico, nell’eliminare quei fattori psicobiologici, responsabili dell’innesco tumorale.

 

Fonti

  • Le Scienze dicembre 2010, n. 508
  • www.edott.it

 


Giorgio Marchese – Medico Psicoterapeuta – docente di Psicologia fisiologica c/o la Scuola di Specializzazione in Psicoterapia ad Indirizzo Dinamico (SFPID) – ROMA